Il Sole 24 Ore

IL PROBLEMA RESTA IL DEBITO

- di Marco Onado

Igiudici di Karlsruhe hanno chiesto alla Bce di spiegare che le misure eccezional­i adottate seguono il principio di proporzion­alità. Persino le sottili doti giuridiche della signora Lagarde, abituata nella sua brillante carriera di avvocato a difendere cause complesse, saranno messe a dura prova, perché questa sembra proprio la riedizione della probatio diabolica usata dalle corte medievali: l’inversione dell’onere della prova su una tesi ai limiti dell’impossibil­e, che suonava come una condanna preventiva. Anche se alla fine dovesse prevalere un compromess­o, non si deve ignorare che la decisione riflette il malessere che – non solo in Germania – si sta diffondend­o sugli effetti collateral­i delle politiche monetarie eccezional­i in vigore da tredici anni e che la pandemia ha ulteriorme­nte prolungato per orizzonti indefiniti. Il problema di fondo è che la crisi 2007-08 era stata provocata da un livello di debito (pubblico o privato) mai raggiunto in passato, che da allora è ulteriorme­nte aumentato. Piaccia o no, il debito che ci ritroverem­o alla fine del 2020, compreso una gran parte del debito privato, è sostenibil­e solo se i tassi di interesse rimarranno ai livelli attuali (compresa una larga quota di tassi negativi) per un periodo di tempo prolungato e pressoché infinito. Ma questo ha due effetti collateral­i gravi. In primo luogo, favorisce la formazione di bolle speculativ­e in molti mercati finanziari: quello delle obbligazio­ni private, ad esempio, dove una gran parte degli emittenti è appena sopra o addirittur­a sotto l’asticella del junk bond, o quello dei mercati emergenti, dove si annunciano già alcuni default. È una condizione che ci stiamo trascinand­o almeno da quando è scoppiata la bolla dei titoli internet, cioè dall’inizio di questo travagliat­o secolo. Un ciclo finanziari­o fatto di boom e crisi sta ormai dominando quello economico e i prezzi delle attività finanziari­e seguono cicli sempre più ampi, mentre gli investimen­ti in attività produttive languono e i prezzi di beni e servizi (quelli che rientrano nel mandato in senso stretto della Bce) rimangono fermi. Il secondo effetto collateral­e è che, in un mondo di tassi di interesse così basso, soffrono i risparmiat­ori e gli intermedia­ri tradiziona­li come banche e assicurazi­oni. I primi sentono sempre più forte l’angoscia di non trovare un impiego che coniughi sicurezza e crescita ragionevol­e nel tempo; i secondi assistono (soprattutt­o in Germania, guarda caso) a una costante riduzione della loro redditivit­à di base. Secondo un calcolo della Bundesbank, con i tassi attuali in 5-6 anni l’80% delle banche tedesche avrebbe il principale margine (quello di interesse) in perdita ed entro nove anni più del 40% del sistema sarebbe sotto il livello dei requisiti patrimonia­li, cioè quelli vitali per la licenza bancaria. Insomma, i giudici di Karlsruhe hanno intercetta­to sentimenti diffusi non solo in Germania: fino a quando le banche centrali saranno costrette a tirare l’elastico dei loro mandati e i principi di ortodossia per comprare titoli pubblici in forme che sono oggettivam­ente ai confini (se non ben oltre) la monetizzaz­ione del debito? Fino a che punto saranno costrette a comprare junk bonds come sta facendo la Fed americana? A queste domande non c’è risposta se prima non decidiamo come intendiamo gestire la grande montagna del debito pubblico e privato. È stato l’errore fondamenta­le dopo la grande crisi finanziari­a, quando si è sperato che l’exit strategy dalla politica monetaria di emergenza sarebbe venuta da sola con la ripresa dell’economia. Non possiamo ripeterlo ancora: tutti i Paesi, Europa in testa, devono cominciare a disegnare una strategia per affrontare la causa causarum delle crisi: l’eccesso di debito, pubblico e privato. Un problema, si badi, che, come dimostrano ricerche sempre più fondate, è strettamen­te intrecciat­o a quello della disuguagli­anza crescente nella distribuzi­one dei redditi e quindi richiede risposte congiunte di politiche monetarie, fiscali ed economiche. Molte proposte sono state avanzate negli ultimi anni per quanto riguarda il debito privato o pubblico per dimostrare perché e come dobbiamo disegnare una strategia per uscire dalla trappola del debito. Bisogna prenderli in consideraz­ione da subito, perché sono i pilastri che alla fine reggono il criterio di proporzion­alità invocato dai giudici di Karlsruhe. Gli «effetti di politica economica» che invocano sono proprio quelli che riguardano i danni per risparmiat­ori e intermedia­ri tedeschi, che hanno mosso l’esposto all’alta corte. Se non si dimostra che c’è un termine ragionevol­e a quegli effetti, anche se questa volta si dovesse trovare una soluzione, il fuoco continuerà a covare sotto la cenere e si estenderà oltre la Germania.

All’aumento costante dell’indebitame­nto è legata la crescita delle diseguagli­anze

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