Agricoltura, scontro sui migranti Le aziende: sono indispensabili
Il ministro Bellanova: inutile rimanere se c’è opposizione strumentale
Viaggia sulle sabbie mobili il provvedimento per regolarizare 600mila migranti da impiegare soprattutto in agricoltura ma anche in edilizia. Il ministro delle Politiche agricole, Bellanova adombra anche le dimissioni contro le critiche che arrivano dall’opposizione e dalla stessa maggioranza di Governo. Le organizazzioni agricole: meglio riattivare vaucher e corridoi verdi.
«Togliere braccianti agricoli dalle mani dei caporali, eliminare uno strumento di concorrenza sleale tra imprese che operano nel sommerso e quelle che rispettano le regole e portare fino in fondo una battaglia di civiltà per garantire ai lavoratori immigrati condizioni dignitose di lavoro e di vita». Sono queste le motivazioni alla base della forte spinta della ministra per le Politiche agricole, Teresa Bellanova per inserire nel prossimo decreto (Dl maggio) allo studio del Governo norme per consentire la regolarizzazione di circa 600mila lavoratori immigrati che in buona parte lavorano nel sommerso in agricoltura ma anche nei comparti dell'edilizia, del commercio o quelli che operano come colf e badanti. Per quanto riguarda l’agricoltura si punta attraverso la sanatoria a coprire parte dell’attuale fabbisogno che per l’intero settore primario è stimato in 250mila lavoratori.
L'obiettivo del provvedimento di regolarizzazione (che segue quelle già effettuate nel 2002, 2009 e 2012) è quello di consentire a lavoratori immigrati di ottenere un permesso di soggiorno di sei mesi (rinnovabile per altri sei) per cercare un contratto di lavoro presso un’azienda agricola sempre con una durata minimo semestrale. Una prospettiva che però scontenta le organizzazioni agricole le cui opzioni principali erano altre. In primo luogo la riapertura dei corridoi verdi con i Paesi dell'Est europeo per riportare in Italia lavoratori specializzati fuggiti all’inizio della pandemia; il rinnovo dei permessi di soggiorno in scadenza il prossimo 15 giugno per gli addetti già in Italia e soprattutto lo strumento dei voucher. Quest'ultimo però ha incontrato, la ferma opposizione dei sindacati e suscitato divisioni anche all'interno della maggioranza che sostiene il Governo. «Siamo in grandissimo ritardo – ha commentato il presidente di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti – da mesi denunciamo la mancanza di lavoratori e prima che le misure diventino operative occorrerà ancora aspettare. Sono previsti adempimenti rigidi: almeno sei mesi di contratto quando nelle nostre aziende abbiamo bisogno di manodopera anche solo per 15 giorni. Temo che pochi dei 600mila immigrati che si intende regolarizzare sarà impiegato in agricoltura. La natura non aspetta i tempi della politica e rischiamo di lasciare in campo una fetta rilevante dei raccolti». «Secondo i nostri calcoli – ha aggiunto il presidente di Coldiretti, Ettore Prandini – circa il 40% dei raccolti di frutta estiva rischia di rimanere in campo. E assisteremo a quantitativi di pesche e nettarine a marcire nei campi con i relativi prezzi che cresceranno allo scaffale. Temo che ci siamo focalizzati troppo sulla sanatoria degli irregolari e sull'impiego in agricoltura di coloro che percepiscono il reddito di cittadinanza. Mentre era fondamentale riaprire quanto prima i corridoi verdi che avrebbero riportato in Italia manodopera specializzata».
«È ora di finirla - ha ribadito Giansanti - con l’idea dell’attività agricola che può essere svolta da chiunque. Non si può potare un vigneto, operare in una serra o guidare macchine agricole senza alcuna competenza. Anzi quanto più un operaio è specializzato maggiori sono le probabilità che venga stabilizzato». «La sanatoria - ha aggiunto il presidente di Cia-Agricoltori italiani, Dino Scanavino - è solo uno dei tanti strumenti che servono per risolvere il deficit di manodopera agricola. Credo poi che nella lotta al caporalato saranno più efficaci le misure di contenimento del Covid19. Se saranno effettuati i dovuti controlli infatti basteranno i vincoli del distanziamento sociale (di certo contrari a ghetti e baraccopoli al Sud) o i divieti di assembramento (che impediranno di caricare 30 immigrati su un solo camion) a rendere difficile la vita ai caporali».