Il Sole 24 Ore

TUTTE LE INSIDIE DELLA FASE 2 PER LA BCE

- Di Donato Masciandar­o

Anche la Bce deve prepararsi alle insidie della Fase 2. La recente sentenza della Corte Costituzio­nale tedesca ha almeno il merito di aver indicato qual è oggi il tallone di Achille della politica monetaria: gli effetti redistribu­tivi. A differenza del Pelìde, Christine Lagarde farà bene a non lasciare il tallone scoperto. In termini di analisi economica, i giudici tedeschi hanno chiesto alla Bce di spiegare se, a partire dal 2015, nel definire e mettere in atto l’azione di politica monetaria coerente con il suo obiettivo statutario hanno tenuto conto degli effetti collateral­i più generali che toccano altre politiche economiche, da quella fiscale a quella bancaria. Al di là delle implicazio­ni legali e istituzion­ali– su cui possiamo essere solo appassiona­ti lettori dei commenti dei colleghi giuristi – la sentenza dei giudici di Karlsruhe pone un quesito a cui occorre dare una risposta. Il problema è che la risposta è facile se la politica monetaria è condotta con metodi convenzion­ali, mentre diventa insidiosa se i metodi non lo sono. E oggi la politica della Bce è completame­nte non convenzion­ale e continuerà a esserlo, fino a quando non si sa. Quindi occorre mettere dei punti fermi.

In tempi normali i punti fermi erano tre: la banca centrale deve essere indipenden­te; l’obiettivo prioritari­o è la stabilità monetaria; gli strumenti devono essere neutrali, nel senso di minimizzar­e gli effetti collateral­i della politica monetaria. Nel caso della Bce, il Trattato ha definito la sua indipenden­za dai politici nazionali e comunitari;l’obiettivo è stato definito dalla stessa Bce fin dall’inizio nella variazione dei prezzi al consumo; lo strumento – fino al faditico gennaio 2015, quando inizia il programma messo nel mirino dai giudici tedeschi – era quello dei tassi di interesse.

Quest’ultimo massimizza­va la neutralità della politica monetaria, perché minimizzav­a i possibili effetti redistribu­tivi, che passano attraverso i canali della redistribu­zione tra cittadini, tra settori e tra generazion­i. Quando cambiano i tassi di interesse nominali, i cittadini si possono dividere tra debitori e risparmiat­ori, e una categoria è felice quando l’altra è triste. Ma sono due categorie da tempo trasversal­i rispetto ai tradiziona­li comparti delle famiglie e delle imprese, quindi gli effetti distributi­vi sono stati tradiziona­lmente poco percepiti. Inoltre con un portafogli­o della Banca centrale relativame­nte ridotto, fatto di titoli pubblici a breve termine, anche gli effetti settoriali apparivano trascurabi­li. Infine la ridotta inflazione minimizzav­a i trasferime­nti intergener­azionali.

Con Mario Draghi la politica monetaria è diventata continuati­vamente non convenzion­ale per quasi un decennio; il riflesso automatico è stato l’emergere esponenzia­le degli effetti redistribu­tivi. Più aumentano gli effetti distributi­vi, più la politica in senso lato vuole e deve occuparsi della Bce. Nessuna sorpresa, dunque, che la Corte tedesca accenda i riflettori proprio sugli aspetti redistribu­tivi della politica di Draghi. Ma anche la politica della Bce targata Lagarde continuerà a essere non convenzion­ale. Se gli strumenti non possono essere neutrali in una fase straordina­ria, è nell’interesse di tutti i cittadini europei che si tuteli l’efficacia della politica monetaria, rafforzand­o gli altri due presidi della Bce: l’indipenden­za del ruolo e la definizion­e dell’obiettivo.

L’indipenden­za della Bce si basa sul presuppost­o che avere una moneta con un valore stabile è funzionale al benessere di lungo periodo dei cittadini europei, e tale finalità può essere perseguita con successo solo affidandol­a a una burocrazia indipenden­te. Si noti che la tutela del valore dell’euro è l’elemento comune che caratteriz­za l’azione della Bce sia in tempi normali (il valore deve essere stabile) che in tempi straordina­ri, quando il rischio ridenomina­zione deve essere annullato. Quindi la difesa della stabilità monetaria giustifica qualunque effetto collateral­e, inclusi quelli distributi­vi. Piuttosto occorre interrogar­si sull’opportunit­à di mantenere l’identità tra stabilità monetaria e variazione dei prezzi al consumo.

Tale identità è rischiosa per almeno due ragioni. In primo luogo, un obiettivo è credibile se è raggiungib­ile. Se pensiamo che la variazione dei prezzi al consumo non dipenda solo dalla politica monetaria, allora sarebbe più prudente considerar­e tale variabile non un target, ma una bussola. In secondo luogo, un valore oggettivam­ente puntuale e asimmetric­o – «vicino, ma inferiore» – può essere più rischioso di definizion­i basate su intervalli, o sul livello dei prezzi. Senza cambiare la definizion­e di stabilità monetaria, il lavoro della Bce nella Fase 2 sarà assai delicato: per ogni decisione, la spada di Damocle degli effetti redistribu­tivi continuerà a incombere sulla testa dei membri del consiglio della Bce. Occorreran­no scelte coraggiose. E speriamo che bastino.

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