TUTTE LE INSIDIE DELLA FASE 2 PER LA BCE
Anche la Bce deve prepararsi alle insidie della Fase 2. La recente sentenza della Corte Costituzionale tedesca ha almeno il merito di aver indicato qual è oggi il tallone di Achille della politica monetaria: gli effetti redistributivi. A differenza del Pelìde, Christine Lagarde farà bene a non lasciare il tallone scoperto. In termini di analisi economica, i giudici tedeschi hanno chiesto alla Bce di spiegare se, a partire dal 2015, nel definire e mettere in atto l’azione di politica monetaria coerente con il suo obiettivo statutario hanno tenuto conto degli effetti collaterali più generali che toccano altre politiche economiche, da quella fiscale a quella bancaria. Al di là delle implicazioni legali e istituzionali– su cui possiamo essere solo appassionati lettori dei commenti dei colleghi giuristi – la sentenza dei giudici di Karlsruhe pone un quesito a cui occorre dare una risposta. Il problema è che la risposta è facile se la politica monetaria è condotta con metodi convenzionali, mentre diventa insidiosa se i metodi non lo sono. E oggi la politica della Bce è completamente non convenzionale e continuerà a esserlo, fino a quando non si sa. Quindi occorre mettere dei punti fermi.
In tempi normali i punti fermi erano tre: la banca centrale deve essere indipendente; l’obiettivo prioritario è la stabilità monetaria; gli strumenti devono essere neutrali, nel senso di minimizzare gli effetti collaterali della politica monetaria. Nel caso della Bce, il Trattato ha definito la sua indipendenza dai politici nazionali e comunitari;l’obiettivo è stato definito dalla stessa Bce fin dall’inizio nella variazione dei prezzi al consumo; lo strumento – fino al faditico gennaio 2015, quando inizia il programma messo nel mirino dai giudici tedeschi – era quello dei tassi di interesse.
Quest’ultimo massimizzava la neutralità della politica monetaria, perché minimizzava i possibili effetti redistributivi, che passano attraverso i canali della redistribuzione tra cittadini, tra settori e tra generazioni. Quando cambiano i tassi di interesse nominali, i cittadini si possono dividere tra debitori e risparmiatori, e una categoria è felice quando l’altra è triste. Ma sono due categorie da tempo trasversali rispetto ai tradizionali comparti delle famiglie e delle imprese, quindi gli effetti distributivi sono stati tradizionalmente poco percepiti. Inoltre con un portafoglio della Banca centrale relativamente ridotto, fatto di titoli pubblici a breve termine, anche gli effetti settoriali apparivano trascurabili. Infine la ridotta inflazione minimizzava i trasferimenti intergenerazionali.
Con Mario Draghi la politica monetaria è diventata continuativamente non convenzionale per quasi un decennio; il riflesso automatico è stato l’emergere esponenziale degli effetti redistributivi. Più aumentano gli effetti distributivi, più la politica in senso lato vuole e deve occuparsi della Bce. Nessuna sorpresa, dunque, che la Corte tedesca accenda i riflettori proprio sugli aspetti redistributivi della politica di Draghi. Ma anche la politica della Bce targata Lagarde continuerà a essere non convenzionale. Se gli strumenti non possono essere neutrali in una fase straordinaria, è nell’interesse di tutti i cittadini europei che si tuteli l’efficacia della politica monetaria, rafforzando gli altri due presidi della Bce: l’indipendenza del ruolo e la definizione dell’obiettivo.
L’indipendenza della Bce si basa sul presupposto che avere una moneta con un valore stabile è funzionale al benessere di lungo periodo dei cittadini europei, e tale finalità può essere perseguita con successo solo affidandola a una burocrazia indipendente. Si noti che la tutela del valore dell’euro è l’elemento comune che caratterizza l’azione della Bce sia in tempi normali (il valore deve essere stabile) che in tempi straordinari, quando il rischio ridenominazione deve essere annullato. Quindi la difesa della stabilità monetaria giustifica qualunque effetto collaterale, inclusi quelli distributivi. Piuttosto occorre interrogarsi sull’opportunità di mantenere l’identità tra stabilità monetaria e variazione dei prezzi al consumo.
Tale identità è rischiosa per almeno due ragioni. In primo luogo, un obiettivo è credibile se è raggiungibile. Se pensiamo che la variazione dei prezzi al consumo non dipenda solo dalla politica monetaria, allora sarebbe più prudente considerare tale variabile non un target, ma una bussola. In secondo luogo, un valore oggettivamente puntuale e asimmetrico – «vicino, ma inferiore» – può essere più rischioso di definizioni basate su intervalli, o sul livello dei prezzi. Senza cambiare la definizione di stabilità monetaria, il lavoro della Bce nella Fase 2 sarà assai delicato: per ogni decisione, la spada di Damocle degli effetti redistributivi continuerà a incombere sulla testa dei membri del consiglio della Bce. Occorreranno scelte coraggiose. E speriamo che bastino.