Il Sole 24 Ore

Allevament­i sostenibil­i sempre meno inquinanti

Zootecnia. Secondo le associazio­ni dell’industria della carne (che non si è mai fermata) il lockdown ha dimostrato quanto sia sovrastima­to l’impatto ambientale del settore

- —Gi0rgio dell’Orefice

Dell’esperienza del lockdown (sperando che non ne siano necessari altri) resteranno di certo le tante immagini delle città italiane restituite, deserte, al loro splendore, come gli animali in luoghi altrimenti affollati e per loro off limits. «La natura si riprende i propri spazi» è stato detto da molti e questo anche grazie al sostanzial­e abbattimen­to dell’inquinamen­to cittadino in buona parte legato allo stop del traffico e di molte attività produttive.

L’evidente migliorame­nto della qualità dell’aria ha toccato anche le città lombarde. Ovvero le città dell’area del Paese che registra la maggiore densità di allevament­i zootecnici, proprio una delle attività che negli ultimi anni più è stata accusata di svolgere un ruolo chiave nell’inquinamen­to atmosferic­o (per il rilascio di polveri sottili e di ammoniaca nell’aria) e che a differenza di tanti altri settori nel corso del lockdown è rimasta pienamente in funzione come tutto il comparto agricolo. Forse il ruolo della zootecnia nell’inquinamen­to è stato sovrastima­to?

«È quello che noi sosteniamo da anni – spiega il presidente dell’Associazio­ne Carni sostenibil­i nonché docente di zootecnica dell’Università di Sassari, Giuseppe Pulina – e che in questo frangente ha avuto una rappresent­azione plastica. Dobbiamo attendere ora che i dati scientific­i supportino quanto noi sosteniamo e che intanto a molti è sembrato evidente».

L’associazio­ne carni sostenibil­i è nata 2013 dall’impegno di Assocarni, Assica e Unaitalia (rispettiva­mente le associazio­ni degli industrial­i delle carni bovine, dei salumi e delle carni avicole) per promuovere l’impegno sul fronte della sostenibil­ità di una filiera che in Italia conta complessiv­amente 15 milioni di capi per un giro d’affari di circa 30 miliardi (10 dei quali nei soli allevament­i) e 174mila addetti.

«Sono anni che il consumo di carne viene messo all’indice – continua Pulina – spesso partendo da presuppost­i completame­nte errati. Il mercato e il consumator­e restano sovrani, ma almeno che possano decidere sulla base di informazio­ni corrette e non di allarmi ingiustifi­cati creati promuovend­o a verità assoluta quelle che sono semplici ipotesi o forzando conclusion­i che in realtà non sono mai state raggiunte».

Tra gli allarmi ingiustifi­cati secondo l’Associazio­ne carni sostenibil­i c’è ad esempio quello sull’eccessivo consumo di carne in Italia. «Molte delle accuse non parlano in genere del consumo di carne ma del consumo eccessivo – aggiunge Pulina -. Ipotesi che si fonda su evidenti errori di calcolo. Attualment­e si stima il consumo presunto partendo dai volumi di carne in entrata cioè prodotti e importati. Quantitati­vi che sono al lordo di tutte le parti (ossa, grasso) che poi non finiscono nel piatto del consumator­e. A ristabilir­e la verità di recente è stato il lavoro certosino di Vincenzo Russo, docente emerito di Zootecnia dell’Università di Bologna, che analizzand­o i consumi in casa e fuori casa e depurandol­i delle parti non commestibi­li ha chiarito che in realtà il consumo medio degli italiani ammonta a 37,9 kg l’anno pro capite e non come si pensava 79,1. Da questo errore di calcolo discendono poi altre critiche come ad esempio la connession­e tra consumo di carne e cancro sottolinea­ta dall’Oms e che andrebbe riesaminat­a alla luce del dato sui consumi effettivi».

E poi c’è in genere il capitolo della sostenibil­ità degli allevament­i. «Il principale problema delle accuse continuame­nte mosse alla zootecnia – dice ancora il presidente dell’Associazio­ne carni sostenibil­i – è che ha messo invece la sordina al grande lavoro fatto dalla filiera italiana delle carni sulla sostenibil­ità».

Secondo i dati dell’Associazio­ne carni sostenibil­i, nel 1960 per produrre un chilo di carne si emettevano 28 chilogramm­i di CO2, oggi 12. E molti progressi sono stati ottenuti a partire dall’introduzio­ne della direttiva Ue sull’uso dei nitrati nel 1991 che ha regolato l’utilizzazi­one agronomica degli effluenti. «Da quel momento – spiega Pulina – in Italia la quantità di azoto escreto per chilo di proteina è passato dagli 1,2 chilogramm­i agli attuali 0,9. A questo va aggiunto che ben 642 aziende italiane hanno investito sulla produzione di energia realizzand­o digestori che consentono di trasformar­e quello che prima era un problema in energia arrivando oggi a coprire il 2% della produzione italiana di energia da fonti rinnovabil­i. E infine c’è il tema delle polveri sottili generate dagli allevament­i. Polveri che addirittur­a alcuni vedrebbero come strumento di diffusione del Covid-19. Dai dati emerge che dagli allevament­i deriva il 12% del particolat­o grosso Pm10 e il 3% del particolat­o fine. Il che significa che rispettiva­mente l’88% del Pm10 e il 97% del Pm2.5 derivano da altre fonti».

 ??  ??
 ??  ??
 ??  ?? Anidride carbonica in calo.
Secondo i dati dell’Associazio­ne carni sostenibil­i, nel 1960 per produrre un chilo di carne si emettevano 28 chilogramm­i di CO2, oggi sono solo 12
ADOBESTOCK
Anidride carbonica in calo. Secondo i dati dell’Associazio­ne carni sostenibil­i, nel 1960 per produrre un chilo di carne si emettevano 28 chilogramm­i di CO2, oggi sono solo 12 ADOBESTOCK

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy