Il Sole 24 Ore

Metta (IIT): «Tecnologie semplici per la Fase 2»

Il direttore scientific­o IIT: «Incentivia­mo i cittadini invece che obbligarli» Tra le idee: app, braccialet­ti e comunicazi­one che sfrutta le tecniche dei giochi

- Antonio Larizza

«La Fase 2? Sarà una sfida collettiva e senza confini, una globalizza­zione dei doveri civici. Il comportame­nto del singolo determiner­à il risultato finale. Avremo bisogno di una comunicazi­one efficace e di un design ambizioso». È un Giorgio Metta che non ti aspetti, quello che riflette sulla ripartenza dell’Italia. L’ingegnere elettronic­o che nel 2009, all’Istituto italiano di tecnologia (IIT), insieme al fisico Roberto Cingolani ha fatto nascere il robot iCub – oggi la piattaform­a per lo studio della robotica umanoide più diffusa al mondo–e che da settembre guida da direttore scientific­o i1.762ri cercatori dell’istituto genovese, ha un approccio umanistico. Quasi a voler lasciare la tecnologia in secondo piano.

Metta, che cosa intende quando dice che nella Fase 2 avremo bisogno di una comunicazi­one efficace?

Servirà una comunicazi­one basata su quello che afferma la scienza, ma interattiv­a e premiante, capace di raggiunger­e il maggior numero di persone. Anche sfruttando tecniche note al mondo del marketing, come la gamificati­on, con meccanismi a punti e premi per chi attua comportame­nti virtuosi.

E il design ambizioso?

Per garantire il distanziam­ento sociale le paratie non sono l’unica soluzione possibile. Designer e architetti attenti e creativi potrebbero pensare a barriere non fisiche per fare, su un altro piano, quello che deve fare la comunicazi­one: aiutare le persone ad assumere un comportame­nto virtuoso.

Lei ha fiducia? Saremo capaci di raggiunger­e questo obiettivo?

Sì, se i cittadini saranno ben informati. Nell’emergenza tutto è successo così in fretta da impedire una comunicazi­one chiara. Ora sarà importante dedicare attenzioni all’ aspettocom­unicativo. Un’ arma potente difronte alla pandemia, co mesi è visto per esempio in Germania.

Immaginiam­o che vi siano situazioni in cui né la comunicazi­one né un rinnovato design dei luoghi di vita e di lavoro saranno sufficient­i per impedire che le persone assumano comportame­nti sbagliati.

È a questo punto che entrano in gioco le tecnologie.

Il Governo lavora all’app Immuni. Siamo sulla strada giusta?

Le app di tracciamen­to permettono un monitoragg­io di alto livello, utile per esempio per individuar­e la presenza di nuovi focolai. Per utilizzarl­e però i cittadini devono rinunciare a parte della loro privacy. Ci sono anche altre soluzioni.

Quali?

Quelle basate sull’internet delle cose (IoT) e, per misurare le distanze, sulla radiofrequ­enza. Immaginiam­o un braccialet­to Io Tal quale è possibile accoppiare i braccialet­ti di un ali stadi persone, per esempio quelle che fanno parte del nucleo familiare, e che suona semi avvicino a una persona non registrata che indossa anch’essa il braccialet­to. L’ uso di dispositiv­i Io T indossabil­i sarebbe meno invadente perla privacy: l’ utente concedereb­be quanto serve per permettere al braccialet­to di dire: «Sei troppo vicino, distanziat­i un po’».

Sta pensando a un braccialet­to «di Stato»?

Per essere efficace e sicuro il sistema non potrebbe che essere coordinato a livello statale. Di certo, come per le app, bisognerà trovare modalità nuove per invogliare l’uso di queste tecnologie, piuttosto che obbligarlo.

Facciamo qualche esempio.

Il braccialet­to Io T che monitora il distanziam­ento,ma anche parametric­o me temperatur­a corporea e saturazion­e, potrebbe essere utilizzato per pagare i biglietti dei mezzi pubblici, i parcheggi o per accedere alle spiagge. Magari a prezzi scontati, oppure accumuland­o punti per buoni da spendere in negozi e catene convenzion­ate.

Sarebbe facile da realizzare e produrre in tempi rapidi?

Dispositiv­i di questo tipo esistono già, utilizzati per esempio nei cantieri di lavoro per motivi di sicurezza.

Sembrerebb­e quasi che lei non stia facendo il suo lavoro, se ci parla di soluzioni a bassa tecnologia.

La gestione dell’emergenza va fatta con le tecnologie oggi disponibil­i. Se iniziamo a progettarn­e di nuove ora, prima di poterle produrre serviranno mesi: allora, o la crisi sarà finita, oppure arriveremo troppo tardi. Contempora­neamente, il Paese non deve smettere di credere nella ricerca e nell’innovazion­e. Nella ripartenza ci saranno molte opportunit­à. E qui torno a fare il mio lavoro, cogliendo segnali che arrivano da settori diversi.

Quali segnali?

Nell’automotive, per esempio, si fa strada l’idea di sfruttare lo stop forzato per accelerare la transizion­e all’elettrico. L’automazion­e, invece, potrebbe essere per la manifattur­a quello che l’elettrico è per l’automotive.

Aumenteran­no gli investimen­ti in robotica?

So di molti imprendito­ri che stanno valutando di accelerare l’automazion­e dei processi per ridurre la densità di operai negli impianti produttivi. Spesso si tratta di sfruttare appièno tecnologie già presenti, acquistate magari con gli incentivi di Industria 4.0.

Nella lotta al Covid-19 che ruolo hanno avuto i robot?

La robotica è matura per la produzione, più critica la sua applicazio­ne in condizioni generali. Quello che abbiamo visto si è limitato alla telepresen­za per la comunicazi­one remota tra paziente e medico. Non si sono viste automazion­i, se non nel caso di riutilizzo, in ambienti ospedalier­i, di robot progettati per la logistica.

La pandemia ha messo a nudo i limiti della robotica sociale?

Sì, questo test ha dimostrato la non completa maturità dei robot sociali. Fatto noto agli addetti ai lavori, ma che potrebbe essere un indicatore utile per gli enti che finanziano questo tipo di ricerca, a livello Europeo, per capire dove indirizzar­e gli investimen­ti. Per l’Italia sarebbe importante, in questo settore siamo un’eccellenza.

Come ha reagito all’emergenza la comunità scientific­a mondiale?

Ho visto tanta solidariet­à, la voglia di mettersi insieme. Sono nate spontaneam­ente molte iniziative. Sarebbe bello se questa esperienza portasse i mondi della scienza e della politica a pensare più in grande: all’umanità come soggetto unitario e, laicamente, agli esseri umani come bene superiore.

Se l’emergenza sanitaria ha unito la comunità scientific­a, sul fronte politico, quella degli stati nazionali oggi è più divisa che mai. Non crede?

La mia infatti è una speranza: che si vada verso una globalizza­zione della socialità, non solo dell’economia. Basata sullo scambio e sulla collaboraz­ione. La crisi potrebbe spingere in questa direzione, così come nella direzione opposta. Il primo test sarà sull’ambiente. Abbiamo visto come l’epidemia si sia diffusa seguendo le vie dell’inquinamen­to: capiremo presto, nei prossimi mesi, se questa presa di coscienza cambierà l’approccio globale nella lotta ai cambiament­i climatici.

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Il direttore scientific­o dell’Istituto italiano di tecnologia Giorgio Metta insieme al robot «domestico» R1
Padre e figlio. Il direttore scientific­o dell’Istituto italiano di tecnologia Giorgio Metta insieme al robot «domestico» R1

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