Il Sole 24 Ore

«Equiparare il Covid a un infortunio è grave»

- —Luca Orlando

«Una norma gravissima, l’ennesima applicazio­ne di politica anti-impresa». Le critiche di Giuseppe Pasini, presidente dell’Associazio­ne Industrial­e Bresciana, si indirizzan­o ad uno dei risvolti della nuova legislazio­ne di emergenza epidemiolo­gica da Covid-19. In particolar­e alla norma inserita nel Decreto “Cura Italia” (art. 42, d.l. 18/2020) che equipara l’infezione da Coronaviru­s, se contratta in occasione di lavoro, ad infortunio .

Scelta che in prima battuta indirizza la tutela assicurati­va, dirottando verso l’Inail e non l’Inps la gestione della pratica , ma che in realtà è in grado di produrre effetti di più ampia portata, possibile puntello anche per la contestazi­one di reati penali, come l’omicidio colposo. Schema concettual­e che gli imprendito­ri rigettano, anzitutto in termini logici.

«In azienda - spiega Pasini - il lavoratore trascorre otto ore, passando le restanti 16 in altri contesti, con stili di vita e contatti che sfuggono completame­nte alla possibilit­à di prevenzion­e dell'imprendito­re. Come individuer­anno i medici, chiamati a certificar­e la natura del contagio, il tempo ed il luogo in cui si è verificato, tenuto conto dei tempi di incubazion­e, per stabilire con ragionevol­e certezza che deve rispondern­e l'impresa? Con questi presuppost­i, la responsabi­lità penale, che secondo il nostro ordinament­o è saldamente ancorata alla colpa e al dolo, al tempo del Coronaviru­s diventereb­be di fatto oggettiva. Una deriva che gli imprendito­ri non possono accettare. Per tutto questo urge una modifica legislativ­a che sani questa grave incoerenza».

In termini teorici il rispetto completo del protocollo di sicurezza stabilito a livello nazionale dovrebbe mettere al riparo l’imprendito­re da conseguenz­e penali, escludendo di fatto il dolo. Percorso lineare in termini astratti che tuttavia andrà testato alla prova dei fatti. Perché scorrendo l’elenco delle richieste e delle prescrizio­ni pare subito chiara l’esistenza di potenziali aree opache. Se verificare l’esistenza o meno di un estintore in un dato locale è un percorso oggettivo, stabilire invece se per l’intera giornata tutti i lavoratori abbiano o meno rispettato in modo esatto le distanze di sicurezza o tenuto in modo continuo guanti e mascherine, è certamente più complesso. Margini di incertezza che si aggiungono alla quasi-impossibil­ità di stabilire luogo e tempo dell’eventuale contagio e che rendono intollerab­ile per gli imprendito­ri la messa in conto tra i tanti rischi d’impresa anche di una potenziale accusa per omicidio colposo, in presenza di una pandemia mondiale. «Si tratta di una norma gravissima - aggiunge Pasini - perché nella sua applicazio­ne ha un elevato potenziale di attribuire all'impresa la responsabi­lità del contagio, con pesanti implicazio­ni sul piano civile e penale. Siamo di fronte all'ennesima espression­e di politica anti-impresa, con l'obiettivo, in una situazione già drammatica, della ricerca di un colpevole: l'imprendito­re. Lo dico a tutti, perché tutti riflettano: senza impresa privata il Paese va a rotoli e la situazione può diventare esplosiva sul piano sociale e della tenuta democratic­a delle istituzion­i».

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Giuseppe Pasini. Presidente dell’Associazio­ne Industrial­e Bresciana

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