«Equiparare il Covid a un infortunio è grave»
«Una norma gravissima, l’ennesima applicazione di politica anti-impresa». Le critiche di Giuseppe Pasini, presidente dell’Associazione Industriale Bresciana, si indirizzano ad uno dei risvolti della nuova legislazione di emergenza epidemiologica da Covid-19. In particolare alla norma inserita nel Decreto “Cura Italia” (art. 42, d.l. 18/2020) che equipara l’infezione da Coronavirus, se contratta in occasione di lavoro, ad infortunio .
Scelta che in prima battuta indirizza la tutela assicurativa, dirottando verso l’Inail e non l’Inps la gestione della pratica , ma che in realtà è in grado di produrre effetti di più ampia portata, possibile puntello anche per la contestazione di reati penali, come l’omicidio colposo. Schema concettuale che gli imprenditori rigettano, anzitutto in termini logici.
«In azienda - spiega Pasini - il lavoratore trascorre otto ore, passando le restanti 16 in altri contesti, con stili di vita e contatti che sfuggono completamente alla possibilità di prevenzione dell'imprenditore. Come individueranno i medici, chiamati a certificare la natura del contagio, il tempo ed il luogo in cui si è verificato, tenuto conto dei tempi di incubazione, per stabilire con ragionevole certezza che deve risponderne l'impresa? Con questi presupposti, la responsabilità penale, che secondo il nostro ordinamento è saldamente ancorata alla colpa e al dolo, al tempo del Coronavirus diventerebbe di fatto oggettiva. Una deriva che gli imprenditori non possono accettare. Per tutto questo urge una modifica legislativa che sani questa grave incoerenza».
In termini teorici il rispetto completo del protocollo di sicurezza stabilito a livello nazionale dovrebbe mettere al riparo l’imprenditore da conseguenze penali, escludendo di fatto il dolo. Percorso lineare in termini astratti che tuttavia andrà testato alla prova dei fatti. Perché scorrendo l’elenco delle richieste e delle prescrizioni pare subito chiara l’esistenza di potenziali aree opache. Se verificare l’esistenza o meno di un estintore in un dato locale è un percorso oggettivo, stabilire invece se per l’intera giornata tutti i lavoratori abbiano o meno rispettato in modo esatto le distanze di sicurezza o tenuto in modo continuo guanti e mascherine, è certamente più complesso. Margini di incertezza che si aggiungono alla quasi-impossibilità di stabilire luogo e tempo dell’eventuale contagio e che rendono intollerabile per gli imprenditori la messa in conto tra i tanti rischi d’impresa anche di una potenziale accusa per omicidio colposo, in presenza di una pandemia mondiale. «Si tratta di una norma gravissima - aggiunge Pasini - perché nella sua applicazione ha un elevato potenziale di attribuire all'impresa la responsabilità del contagio, con pesanti implicazioni sul piano civile e penale. Siamo di fronte all'ennesima espressione di politica anti-impresa, con l'obiettivo, in una situazione già drammatica, della ricerca di un colpevole: l'imprenditore. Lo dico a tutti, perché tutti riflettano: senza impresa privata il Paese va a rotoli e la situazione può diventare esplosiva sul piano sociale e della tenuta democratica delle istituzioni».