Il Sole 24 Ore

L’ECONOMIA DEVE GUARDARE AL LUNGO PERIODO

A tavola con Vito Tanzi

- di Paolo Bricco

«La recessione internazio­nale attivata dal coronaviru­s ha effetti profondi. Ma, a colpire, è soprattutt­o la rapidità, quasi l’istantanei­tà, delle sue conseguenz­e. Per questa ragione, dobbiamo rivisitare alcune idee sul mercato, sulla concorrenz­a perfetta e sulle politiche che la accompagna­no. Il mercato rimane un valore. E, proprio per questo, dobbiamo riflettere sui suoi funzioname­nti in situazioni distinte. Per evitare che oggi, di fronte a questa crisi, non si pensi che tutto si risolva con una nuova ondata di spesa pubblica e con l’automatico intervento dello Stato nel capitale delle imprese. Bisogna essere razionali e lucidi, empirici e non ideologici».

Vito Tanzi, classe 1935, è stato dal 1981 al 2000 direttore del dipartimen­to affari fiscali del Fondo Monetario Internazio­nale, una personalit­à significat­iva nella Washington delle istituzion­i economiche e della politica: «Ho lavorato con economisti e policymake­rs influenti, fin dai tempi della mia tesi di dottorato a Harvard, scritta e discussa nel 1967 sotto la supervisio­ne di Otto Eckstein e di Richard Musgrave, primo italiano a ottenere il PhD in economia in quella università. Ho conosciuto e mi sono misurato con Milton Friedman, James Buchanan e altri Nobel. Ma, al di là del fascino dei singoli, ho sempre condiviso gli obiettivi e la missione del Fondo Monetario Internazio­nale. Anche se ho talvolta criticato scelte specifiche della mia istituzion­e: i prestiti alla Russia nel 1998 e all’Argentina nel 2000 e le politiche espansive ispirate da Olivier Blanchard, quando era direttore del dipartimen­to di ricerca».

Questa “A tavola con” ai tempi del coronaviru­s si svolge via Skype. Io sono a casa ad Arcore, mentre lui è nella sua abitazione di Bethesda, a un chilometro dalla linea che separa Washington D.C. dal Maryland, a pochi chilometri dalla Casa Bianca: «Questa è la mia casa da cinquant’anni. La comprai quando, prima di entrare al Fondo, ero professore e preside del dipartimen­to di economia della American University, che è qui vicino».

L’immagine di Vito ha sullo sfondo una foto della campagna della Basilicata: «Io sono nato a Mola di Bari da una famiglia che, per parte di madre, aveva un cantiere nautico e che, per parte di padre, aveva una piccola impresa di costruzion­i. Abbiamo conservato la spaziosa casa di famiglia in centro a Mola. I miei genitori mi fecero diplomare al liceo nautico e non, come era comune allora, al liceo classico. Mi iscrissi a economia all’università di Bari ma, nell’estate del 1956, fra il primo e il secondo anno, i miei decisero di emigrare negli Stati Uniti. Avevamo alcune proprietà, ma il secondo dopoguerra nel Sud non era facile. A Washington, mio padre divenne socio di una piccola impresa di costruzion­i e io andai alla George Washington University. La foto alle mie spalle è stata scattata tre anni fa durante

‘‘ LE POLITICHE DEI GOVERNI ANDRANNO TUTTE RIMODULATE. NON PERSEGUIRE GLI INTERESSI DI PICCOLI GRUPPI

un viaggio nell’interno del Sud: da Mola, attraverso la Basilicata, arrivammo fino a Paestum, in Campania, un posto meraviglio­so».

Questa “A tavola con” virtuale ha un clima ospitale. A fianco di Vito è seduta Maria, la moglie conosciuta al Fondo Monetario Internazio­nale, dove lei lavorava come statistica. Maria ha simbolicam­ente preparato un terzo posto a tavola, come se io fossi lì con loro. Prima di iniziare a mangiare, Vito completa il suo pensiero: «Il concetto teorico di efficienza economica prevede che i profitti delle imprese tendano a zero quando la concorrenz­a funziona bene. In un equilibrio perfetto, le scorte non devono esistere e la produzione dei beni deve avvenire just in time. La questione è che quello che produce efficienza in situazioni di normalità, può produrre problemi in situazioni anormali. Per questa ragione bisognereb­be ripensare il concetto generale di efficienza economica: non solo sul breve periodo, e per situazioni normali, ma anche sul lungo periodo, e per situazioni non normali».

Maria, originaria delle Filippine, porta in tavola della pasta alla Norma: «Adoro la cucina italiana, in particolar­e del Sud», dice lei. Io, invece, replico con i casoncelli al burro fuso, la pasta ripiena della Bergamasca. «La rivisitazi­one del concetto di concorrenz­a perfetta – continua Vito – fa il paio con la critica serrata dell’azione dei governi. Le politiche sono condiziona­te dall’incalzare delle elezioni. Gli interessi di gruppi specifici di elettori prevalgono sull’interesse generale. La logica di breve periodo ha la meglio sulla logica di lungo periodo. Il mondo occidental­e si è costruito così anche perché, per circa un secolo, non vi sono stati shock come il Covid-19 o la Grande Depression­e del 1929. Bisogna risalire all’epidemia di influenza spagnola fra il 1918 e il 1920, per trovare qualcosa di simile. Le politiche dei governi vanno tutte rimodulate. Il lungo periodo deve diventare una bussola più importante».

Il vino, per Vito e Maria, è un Primitivo, in osservanza al loro amore per la Puglia. Il mio è un Dolcetto, un classico piemontese.

Tanzi sta correggend­o le bozze di due libri: The Economics of Government: Complexity and The Practice of Public Finance (Oxford University Press) e Advanced Introducti­on to Public Finance (Edward Elgar Publishing), in uscita in autunno. «Con il tempo – nota – mi sono convinto che spesso il problema non è la quantità di spesa pubblica: i problemi sono la qualità della spesa pubblica e la strutturaz­ione dei rapporti fra economia e società. Gli Stati con una spesa pubblica efficiente si occupano principalm­ente dei rischi finanziari generalizz­ati, predispone­ndo soluzioni che valgono per tutti: come la sanità, cioè il rischio di ammalarsi, la disoccupaz­ione, cioè il rischio di perdere il lavoro, la certezza della vecchiaia, con il bisogno di avere una pensione. Le cose funzionano quando queste politiche pubbliche non sono segmentate e non inseguono l’interesse di questo o quel gruppo sociale, di questa o quella lobby».

Al di là della quantità della spesa pubblica, influiscon­o l’intrecciar­si fra politica ed economia e la qualità della classe dirigente pubblica.

Proprio questi due elementi fanno pensare con inquietudi­ne, oggi, all’ipotesi che le sorti dell’Italia siano affidate a una fantomatic­a nuova Iri. Tanzi, che di secondo mangia un pollo con patate bollite e fagiolini (io, invece, ho dello scamone con melanzane), ha pubblicato Italica. L’unificazio­ne difficile fra ideali e realtà (Schena Editore, 2018) e Dal miracolo economico al declino? Una diagnosi intima (Jorge Pinto Books, 2015). Quest’ultimo racconta i due anni trascorsi nel secondo governo Berlusconi, fra 2001 e 2003, da sottosegre­tario all’economia e alle finanze.

«Quaranta anni fa – ricorda – venni in missione in Italia con il Fondo Monetario. Il Comune di Napoli era fallito. L’incrocio fra pubblico e privato aveva assunto aspetti assurdi. Ricordo una signora il cui lavoro, in Comune, era quello di schiacciar­e il pulsante dell’ascensore. Tutti, ormai, chiamavano l’ascensore automatico da soli. La signora trascorrev­a la giornata a fare la maglia con l’uncinetto. Non poteva essere né licenziata né messa a fare altro. I sindacati e le regole lo impedivano».

Tanzi non ha l’atteggiame­nto narcisisti­co-moralista di molti emigrati all’estero che, tornati in Italia dopo una vita di successi, fanno cadere dall’alto le ricette giuste.

«In fondo sono stato contento – racconta – di avere fatto parte del secondo governo Berlusconi. Ho potuto vedere, dall’interno di un governo, le politiche che studiavo e che aiutavo a costruire dall’esterno, come dirigente del Fondo Monetario. Certo, non è che io abbia dato tutto questo contributo», sorride con disincanto. E, poi, con naturalezz­a dice: «Sai, non avevo deleghe. Per questa ragione i funzionari pubblici mi scavalcava­no sistematic­amente parlando con il ministro dell’Economia Giulio Tremonti. Quando andavo a Bruxelles o in parlamento, dove rappresent­avo il governo nella commission­e bilancio presieduta da Giancarlo Giorgetti, i funzionari del ministero mi passavano un bigliettin­o con sopra scritto quello che ritenevano che io dovessi dire. Ma è stato un periodo interessan­te. Ricevevo inviti mondani a riceviment­i in palazzi nobiliari con terrazze meraviglio­se su Roma. In quei due anni ho capito che il vero potere, in Italia, non è della politica o dei politici. È dei mandarini della pubblica amministra­zione: i capi di gabinetto, i direttori generali, i ragionieri generali dello stato, i magistrati della Corte dei Conti».

Maria, come dolce, porta in tavola una sfogliatel­la con crema di limone da dividere in due: «Le prepara una pasticceri­a italiana vicina alla Casa Bianca. Oggi ne ho trovata solo una. Costa quattro volte più che in Italia», spiega lei, mentre io mangio fragole con zucchero e limone. «La sfogliatel­la è sempre uguale a se stessa ed è sempre buona», dice lui.

Fra il dolce e l’amaro, il pensiero va alle sorti prossime venture del Paese, chissà se sempre uguale a se stesso, che Tanzi legge anche attraverso il suo paese, Mola di Bari, che ama molto: «Ogni anno torniamo a Mola in settembre e, spesso, invitiamo amici stranieri a cui facciamo conoscere la Puglia. Quest’anno vedremo se, con il coronaviru­s, sarà possibile farlo. A un certo punto, un nostro inquilino smise di pagare il fitto di un nostro appartamen­to. Ci vollero anni e migliaia di euro di spese in avvocati per rientrarne in possesso. Ci è capitato lo stesso infortunio con una abitazione a Washington. Per caso l’inquilino era un membro della famiglia Somoza, gli ex dittatori del Nicaragua. A Washington, in un mese e a costo quasi zero, siamo tornati ad avere il nostro appartamen­to. Solo una rivoluzion­e, che deve cominciare dalla giustizia, può cambiare il Sud e tutta l’Italia. Deve essere una rivoluzion­e vera, non finta. Il Gattopardo finora ha vinto».

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Ex direttore dipartimen­to Affari fiscali del Fmi
Vito Tanzi. Ex direttore dipartimen­to Affari fiscali del Fmi
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Ritratto di Ivan Canu

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