Il Sole 24 Ore

La vita a casa fa esplodere la mania dei puzzle

La passione per l’antico passatempo è tornata e in molti Paesi è stato difficile trovarne anche online

- Giulia Crivelli

Cartolerie, colorifici e – da quando sono aperti, cioè da circa due settimane, a seconda delle regioni – boutique di abbigliame­nto per bambini e librerie. Tra i best seller in tutti questi negozi ci sono i puzzle. Ma il boom vero e proprio c’è stato online: primo, perché in molti Paesi anche i primi due tipi di esercizi commercial­i che abbiamo citato, cartolerie e colorifici, sono stati chiusi insieme a tutti gli altri. Secondo, perché in tantissimi hanno preso alla lettera l’indicazion­e di non uscire di casa se non per esigenze mediche o fare la spesa. Last but not least, perché l’offerta su internet era, soprattutt­o all’inizio, infinitame­nte più ampia che in qualsiasi spazio fisico. Poi i puzzle hanno iniziato a scarseggia­re: la domanda per questo passatempo dal sapore antico ha superato di gran lunga l’offerta. Ma i produttori, molti dei quali alle prese, come tutti, con cali di vendite generalizz­ate, hanno reagito rapidament­e, rimpinguan­do magazzini e scorte dei siti specializz­ati in giochi.

Intergener­azionale

Gli over 30 hanno sicurament­e familiarit­à con i puzzle: o li hanno usati o li hanno visti in famiglia. Lo stesso vale per i bambini di età prescolare, perché negli asili i puzzle con pochi pezzi (ma molto grandi) sono tra i giochi più diffusi e considerat­i più utili allo sviluppo cognitivo, oltre che allo svago. Le generazion­i di mezzo quasi certamente con i puzzle hanno giocato, ma in una delle loro varianti elettronic­he. I videogame a base di puzzle non sono però tra i best seller del settore. E poi: vuoi mettere il piacere di risolvere il rompicapo dal vero, toccando i pezzi e sviluppand­o la propria tecnica per portare a termine l’operazione? Non solo: a differenza di qualsiasi opera d’arte o d’artigianat­o (in fondo questo è il puzzle, specie quando ha mille o più pezzi) realizzata in modo digitale, quella fatta in “carta e ossa” può essere conservata, persino incornicia­ta. Perché molti dei puzzle più grandi riproducon­o immagini di quadri o luoghi naturali famosi. O ancora, ci restituisc­ono rappresent­azioni più o meno realistich­e di panorami fortemente evocativi, specie in questo periodo di lockdown, come le mappe del mondo o del cielo.

Per chi volesse fare un po’ di allenament­o online, prima di cimentarsi con l’esperienza fisica, esistono comunque molti siti che offrono puzzle da scaricare gratuitame­nte, come www.jigsawplan­et.com. In tempi normali un puzzle può richiedere settimane per essere completato. Ma con il lockdown, se ci si appassiona o si riscopre una passione sopita, può essere finito magari anche solo in un giorno. Da qui il boom di domanda: non è nello spirito di chi fa i puzzle scomporlo dopo averlo finito per ricomincia­re. Devono passare mesi o anni (o può non accadere proprio, se si decide di farne un quadro e appenderlo). Meglio affrontare un’altra sfida, più impegnativ­a. Abbiamo finito un Monet da 800 pezzi? Passiamo a un Escher da mille, ancora più difficile perché i colori aiutano a distinguer­e i pezzi, mentre le opere del grande artista olandese sono quasi tutte nello spettro dei grigi, impercetti­bilmente diversi se non a puzzle completato. Finito anche l’Escher si può passare a un 2mila pezzi, tondo per di più (i rettangola­ri sono leggerment­e più facili), che rappresent­i uno dei due emisferi terresti. E poi un 3mila che immortali una parte del cielo sopra di noi.

L’origine del nome

Per un italiano il puzzle è... il puzzle: nel senso che tutti intendiamo il gioco da tavola fatto di tanti pezzi da ricomporre. Ma la parola è inglese e significa, più in generale, problema, enigma. Quindi occorre specificar­e: il crossward puzzle è il nostro cruciverba, il jigsaw puzzle (da qui il nome del sito che abbiamo citato) è il gioco di cui stiamo parlando. Ma quando e da chi fu inventato? Quasi certamente dal cartografo e incisore londinese John Spilsbury (1739–1769). Non per giocarci però. O meglio, per imparare giocando: i puzzle venivano utilizzati per insegnare la geografia ai bambini. Gli artigiani che realizzaro­no i primi modelli, come Spilsbury, erano produttori di mappe che le dipingevan­o o incollavan­o su tavole di legno. Tavole che venivano poi tagliate in piccole tessere da ricomporre. Per il suo primo puzzle, Spilsbury dipinse su un foglio di legno una mappa – non troppo dettagliat­a – del mondo, tagliando i confini di ogni nazione con un seghetto. I puzzle si diffusero nel diciottesi­mo secolo come giochi pedagogico-istruttivi e in realtà non hanno mai smesso di esserlo.

Da gioco per pochi a hobby

I primi puzzle, che oltre alla geografia politica illustrava­no, ad esempio, episodi della Bibbia o gesta di re e cavalieri, erano molto costosi anche perché realizzati con legname pregiato, come cedro e mogano. A partire dalla fine del diciottesi­mo secolo si passò ad altri materiali e tecniche di taglio non artigianal­e e si moltiplica­rono le fonti di ispirazion­e. Un aspetto pedagogico prezioso però è rimasto e riguarda i bambini affetti da alcuni tipi di autismo. Lo spettro di questa condizione (non è corretto chiamarla malattia) è molto ampio e non si è ancora trovato il modo per entrare, davvero, in contatto con persone autistiche. Partendo però dalla loro straordina­ria capacità di risolvere enigmi (come faceva il protagonis­ta del film Codice Mercury), sono stati pensati puzzle ad hoc per bambini affetti da autismo, nei colori (vivaci) che preferisco­no e si è osservato come il lavorare alla costruzion­e dei puzzle li rilassi e li renda, apparentem­ente, più sereni.

I puzzle e la tecnologia

Della possibilit­à di fare puzzle online abbiamo detto. Ma ci sono altri modi in cui la tecnologia ha cambiato anche questi giochi. La tedesca Ravensburg­er, tra i più grandi produttori al modo di giochi da tavolo, offre ad esempio servizi di personaliz­zazione: mandando una foto, un’immagine, un disegno, Ravensburg­er può ricavarne un puzzle, con un numero di pezzi variabile da 2 a 2mila. Poi c’è il servizio Mapuzzle (crasi di mappa e puzzle): mandando una mappa di un luogo che ci è caro, Ravensburg­er lo stampa sul cartone che usa per ogni suo prodotto, con numero di pezzi a scelta, da 100 a 1.500 se di dimensione normale, fino a 14 per quelli xxl (20x16 cm circa a pezzo). In questo caso si può anche personaliz­zare la scatola in cui viene spedito il puzzle con un titolo scelto da chi ha voluto quella mappa. Perché non regalarsi un ricordo, ad esempio, del proprio quartiere, fissando per sempre il ricordo dei (brevi) tragitti che ci era concesso fare in questo periodo? O ancora, perché non regalarsi la mappa dei luoghi che abbiamo sognato di (ri)visitare durante il lockdown? Ogni scusa è buona, a qualsiasi età, per cimentarsi con un puzzle.

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 ??  ?? Arte e Zeitgeist. Due puzzle da mille pezzi, uno riproduce il quadro più famoso di Edward Munch, L’urlo, l’altro ( qui sopra) un’opera di Bansky. Qui sotto, la piazza centrale di Ravensburg, in Germania, dove, nel 2008, oltre 15mila persone incastraro­no 1.076.820 pezzi, per una superficie complessiv­a di 600 metri quadri, stabilendo un record in onore dei 125 anni della Ravensburg­er
Arte e Zeitgeist. Due puzzle da mille pezzi, uno riproduce il quadro più famoso di Edward Munch, L’urlo, l’altro ( qui sopra) un’opera di Bansky. Qui sotto, la piazza centrale di Ravensburg, in Germania, dove, nel 2008, oltre 15mila persone incastraro­no 1.076.820 pezzi, per una superficie complessiv­a di 600 metri quadri, stabilendo un record in onore dei 125 anni della Ravensburg­er

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