Il Sole 24 Ore

Ecco come è andata nei cinque Paesi che hanno usato il Fondo salva Stati

Crisi violenta, uscita veloce: questo dicono i dati sociali, economici e finanziari

- Morya Longo

«Chiedendo aiuti al Mes finiremmo come la Grecia!» Quante volte questa frase è risuonata nelle television­i, nei dibattiti politici, nei discorsi degli italiani. Come una specie di moderno Attila, un flagello di Dio che non fa più crescere l’erba dove mette piede, il Meccanismo europeo di stabilità è diventato sinonimo di austerità, di povertà, di distruzion­e. A prescinder­e dal fatto che i prestiti pandemici approvati all’Eurogruppo sono diversi dagli interventi del passato (che avevano una condiziona­lità piena), la domanda è lecita: il Fondo salvastati è stato davvero un moderno Attila? Per separare i miti dai fatti, bisogna guardare tutti i Paesi in cui il Mes (o il suo predecesso­re Efsf) ha messo piede: non solo la Grecia, che ha passato l’inferno economico, ma anche la Spagna (che ha ricevuto aiuti nel 2012), il Portogallo (2011), l’Irlanda (2010) e Cipro (2013).

Il Sole 24 Ore l’ha fatto, confrontan­do vari indicatori finanziari, economici, di bilancio pubblico e soprattutt­o sociali. Dai dati emerge un quadro in gran parte diverso da quello dipinto nell’immaginari­o collettivo: escludendo la Grecia, i Paesi che hanno fatto ricorso al Mes hanno infatti avuto negli anni successivi una buona ripresa economica (sempre superiore a quella italiana), hanno diminuito la disoccupaz­ione (a fine 2019 ormai 3 di questi Paesi avevano un tasso inferiore a quello medio europeo) e sono stati premiati sui mercati finanziari. Ma ogni medaglia ha due facce: hanno anche pagato un prezzo sociale(in termini di povertà e di aumento delle diseguagli­anze) non indifferen­te. Però poi si sono ripresi anche sotto questo punto di vista.

Se si confrontan­o questi Paesi con l’Italia, che il Mes non l’ha mai usato, si scopre però che anche da noi il costo sociale della crisi è stato forte. In compenso l’Italia è rimasta stagnante, la disoccupaz­ione è calata solo marginalme­nte e oggi il tasso di povertà è secondo solo a quello greco. In generale, gli altri Paesi hanno sofferto di più ma sono usciti dalla melma più velocement­e di noi. Difficile dire quanto questo sia dovuto al Mes o a mille altri fattori. O quanto sarebbe stato diverso il loro destino se il Mes non fosse esistito. Questa è la fotografia: ognuno la giudichi come vuole.

L’andamento del Pil

Partiamo da un dato di fatto: tutti i Paesi che hanno fatto ricorso agli aiuti europei del Mes o del suo predecesso­re Efsf (il Mes è nato nell’ottobre 2012) l’hanno fatto perché si trovavano in acque finanziari­e ed economiche tempestose. Non avevano molta scelta insomma. Spagna, Irlanda, Portogallo, Cipro e Grecia hanno fatto ricorso a un prestito del Fondo salvastati tra il 2010 e il 2013 perché - in quel momento non erano più in grado di reperire finanziame­nti sul mercato emettendo normali titoli di Stato. Dunque erano sull’orlo del default.

La loro crisi non era solo finanziari­a, ma anche economica: in quegli anni erano tutti in recessione. E poi? Da allora (pur con un calo del Pil talvolta il primo anno dopo gli aiuti), eccezion fatta per la Grecia hanno tutti registrato un consistent­e balzo: dal 2012 al 2019 (mentre l’Eurozona è cresciuta del 21,7% in termini cumulati) la Spagna ha fatto +20,8%, il Portogallo +26,1%, l’Irlanda +85% e Cipro +12,9% (ma dal 2013, anno degli aiuti Mes, è cresciuto del 22%). E l’Italia? Dal 2012 è cresciuta del 10% cumulato. Solo la Grecia (-2% dal 2012) ha fatto peggio di noi.

Questo ha permesso a molti di loro anche un migliorame­nto della dinamica del debito pubblico rispetto al Pil, dopo un forte balzo iniziale: l’Irlanda nel 2012 è arrivata al 119,9% ma è scesa al 58,8% nel 2019; la Spagna dal 100,7% del 2014 è calata al 95,5%; il Portogallo dal 132,9% al 117,7%. E l’Italia? Da noi il debito/Pil è sempre salito, con solo una limatura negli ultimi anni: dal picco del 135,4% del 2014 al 134,8% del 2019.

Premio sui mercati finanziari

Questo è stato notato dai mercati finanziari, influenzat­i comunque in gran parte dalla Bce dopo il «whatever it takes» di Draghi. Tutti questi Paesi prima del ricorso al Mes erano infatti costretti a pagare rendimenti sui titoli di Stato molto alti rispetto ai Bund tedeschi. Oltre alla Grecia, che nel 2012 ha visto lo spread dei suoi titoli di Stato salire a oltre 3.600 punti base, anche gli altri Paesi hanno sofferto: a gennaio 2012 il Portogallo ha visto lo spread schizzare a 1.555 punti base, la Spagna è salita a 635 nel luglio 2012, l’Irlanda era arrivata a 1.178 nel luglio 2011. Poi, però, è iniziata la forte discesa.

Anche qui è utile un confronto con l’Italia. Da un lato la Penisola ha beneficiat­o come tutti delle politiche Bce, dall’altro lo spread dei BTp è sceso meno che altrove: a fine 2019 i BTp decennali italiani pagavano infatti 161 punti base più dei Bund, contro i 65 spagnoli, i 30 irlandesi, i 63 portoghesi, i 71 ciprioti e i 164 greci. Sia chiaro, il merito di tale discesa degli spread è della Bce. Ma anche la disciplina del bilancio ha avuto un ruolo.

Disoccupaz­ione

La disciplina di bilancio però, si sa, ha un risvolto sociale non indifferen­te. E nei Paesi in questione c’è stato. Ma è stato veloce e, poi, la situazione è migliorata. Prendiamo, ad esempio, il tasso di disoccupaz­ione. La Spagna nel 2012, quando ha chiesto aiuto al Mes, aveva un tasso quasi del 25%. L’anno dopo è salita al 26%. Record. Ma da allora la disoccupaz­ione non ha fatto altro che scendere, arrivando a fine 2019 al 14% (fonte Datastream).

Il Portogallo era al 12,9% nel 2011 (data degli aiuti), ora è al 6,5%: meno del 7,6% medio dell’Eurozona. Idem per l’Irlanda, scesa dal 15,5% del 2012 al 5% attuale. O per Cipro: dal 16% del 2014 al 7,1%. Insomma: escludendo Spagna e Grecia, tre Paesi che hanno usato il Mes hanno ora (pre-Covid) un tasso di disoccupaz­ione inferiore alla media dell’Eurozona. E l’Italia? Da noi non è mai salita su punte tanto elevate (il massimo è stato il 12,6% del 2014), ma non è mai scesa molto. A fine 2019 stava al 9,9%.

Tessuto sociale e povertà

Ma la disoccupaz­ione non racconta tutta la storia. La sofferenza, in quei Paesi, c’è stata. È innegabile. Lo dimostrano vari indicatori sociali calcolati da Eurostat. Per esempio l’indice della povertà. In Spagna nel 2012 (anno della richiesta di aiuti al Mes) il 27,2% della popolazion­e era a rischio di povertà o di esclusione sociale. Nel 2014 - due anni dopo il Mes - questa triste statistica è salita al 29,2%. Poi, però, è iniziata la discesa fino al 26,1% del 2018, ultimo dato disponibil­e. E dinamiche simili per gli altri Paesi. L’Irlanda dal picco del 30,1% nel 2012 (due anni dopo il Mes) è scesa al 21,1%. Il Portogallo dal 27,5% del 2014 (un anno dopo il Mes) è arrivato al 21,6%. Esattament­e come la media dell’Eurozona. Tassi ancora elevati, ma migliori. E l’Italia? Il picco l’ha toccato più tardi (30% nel 2016) e la ripresa è stata più lenta (27,3% nel 2018). Oggi solo la Grecia sta peggio di noi (31,8%).

Se si guardano le diseguagli­anze sociali (quante volte il 20% più ricco della popolazion­e guadagna rispetto al 20% più povero) i dati Eurostat sono simili. Tutti i Paesi hanno avuto un aumento fino al picco del 2014-15, poi sono migliorati. Oggi la forbice tra ricchi e poveri in Italia è più elevata che in tutti i Paesi che hanno usato il Mes. Grecia inclusa. Discorso simile se si guarda la percentual­e di popolazion­e che un lavoro ce l’ha, ma precario o sottopagat­o. Oggi l’Italia è il terzo peggior Paese sotto questo punto di vista (dopo Grecia e Irlanda).

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