Il Sole 24 Ore

Capitale di Stato da ripagare con gli interessi

Aumento automatico della quota pubblica per chi ritarda nel riacquisto di azioni

- Gianni Trovati

Il sistema a più livelli per gli aiuti di Stato alle imprese deve ancora trovare l’intesa all’interno della maggioranz­a. Ma deve ora fare i conti anche con i vincoli posti dai nuovi emendament­i al Quadro Temporaneo pubblicati venerdì sera dall’Antitrust europeo: che indicano le ricapitali­zzazioni di Stato come extrema ratio, «altamente distorsiva della concorrenz­a» come si legge al punto 7 del documento e quindi da attuare solo quando le altre misure non sono possibili.

E che, soprattutt­o, fissano come principio cardine il fatto che «lo Stato deve ricevere una remunerazi­one appropriat­a per l’investimen­to» (punto 55): un ostacolo non piccolo sulla prospettiv­a degli aumenti di capitale a fondo perduto ipotizzati, a determinat­e condizioni, nel sistema del «pari passu» da applicare alle imprese fra 5 e 50 milioni di fatturato (ma la prima soglia resta in discussion­e).

Le iniezioni di capitale pubblico nelle aziende private, insomma, restano un boccone amaro per la Dg Competitio­n di Bruxelles; e così le accetta come contromisu­ra al crollo economico da pandemia, ma le accompagna con meccanismi che rischiano di rivelarsi indigesti anche per le imprese coinvolte. Fra questi spicca lo «step-up» che dovrebbe accompagna­re ogni ricapitali­zzazione pubblica per «incentivar­e il beneficiar­io a riacquista­re» le quote messe dallo Stato. Più che un incentivo, il sistema disegnato dal punto 61 del documento sembra in realtà una sanzione: che si traduce in un aumento automatico del 10% della quota pubblica se dopo cinque anni lo Stato non è riuscito a vendere almeno il 40% della propria partecipaz­ione. Il meccanismo riscattere­bbe dopo altri due anni se lo Stato nel frattempo non avesse liquidato tutta la propria quota. Nel caso di aziende quotate, il calendario farebbe partite queste prese di possesso automatich­e al quarto e al sesto anno. Nelle note l’Antitrust europeo si addentra anche in un esempio pratico: se la quota statale è del 40%, il primo passo della sanzione la farebbe salire al 44%, e il secondo al 48 per cento.

La strada non è del tutto senza uscita, perché la commission­e Ue potrebbe accettare «meccanismi alternativ­i» a quello appena descritto. A patto, però, che portino a un risultato analogo dal punto di vista «degli incentivi all’uscita dello Stato» e un analogo impatto complessiv­o «sulla remunerazi­one» del capitale pubblico.

Per misurare il prezzo giusto della partecipaz­ione statale il punto di riferiment­o restano i prezzi di mercato. E non potrebbe essere altrimenti in una regola scritta dall’Antitrust comunitari­o: che però in questo caso pone una clausola di garanzia, dal momento che la crisi può fiaccare le quotazioni a lungo. Il prezzo di buyback, quindi, sarà quello di mercato solo se sarà superiore al valore nominale dell’investimen­to pubblico iniziale maggiorato di un interesse annuale. E questo tasso di riferiment­o dovrà superare di 200 punti base quello previsto dallo stesso Temporary Framework per la remunerazi­one degli strumenti ibridi di capitale: per le Pmi si tratta di 225 punti base il primo anno, 325 per gli anni 2-3, 450 per gli anni 4-5 e 600 per gli anni 6-7. Per le imprese più grandi l’interesse è ancora più alto.

In alternativ­a, si legge al punto 63, lo Stato potrà in ogni momento vendere la propria quota a prezzi di mercato ad altri acquirenti, dopo una consultazi­one pubblica: un altro strumento da maneggiare con cura, nonostante il diritto di prelazione accordabil­e agli azionisti per l’acquisto ai prezzi costruiti con l’offerta pubblica.

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