Il Sole 24 Ore

L’imposta più pesante per chi soffre in misura maggiore il virus

- Raffaele Rizzardi

Già la definizion­e del tributo lo qualifica in termini di contrasto ad una corretta politica imprendito­riale: imposta sulle attività produttive, cioè su quell’ambito che dovrebbe essere agevolato per la creazione di valore e di occupazion­e non parassitar­ia.

Nella formulazio­ne di questo tributo, vigente dal 1° gennaio 1998, era un vigoroso incentivo alla delocalizz­azione all’estero delle attività produttive, in quanto era ed è pagata solo da chi lavora in Italia, ma all’inizio questo effetto era decisament­e più rilevante, in quanto si computava l’intero costo del lavoro nella base imponibile e l’Irap era interament­e indeducibi­le.

Negli ultimi anni abbiamo assistito al reshoring, al rientro delle produzioni che erano state trasferite all’estero. Con l’Irap chi attua questa meritevole riorganizz­azione viene accolto da questo balzello. Sicurament­e anomala è l’inclusione nell’imponibile delle perdite su crediti. Chi aveva ideato questo balzello intendeva verosimilm­ente riferirsi al «valore aggiunto», dimentican­do che l’Iva sulle insolvenze può essere recuperata da chi ha emesso la fattura, mentre l’Irap rimane dovuta.

A proposito di correlazio­ne e conseguent­e incompatib­ilità con l’Iva, la questione era arrivata alla Corte Ue con la causa C-475/03. Caso in pratica unico nella storia di questo organo, la causa ha visto non una ma due “conclusion­i” dell’avvocato generale, del 17 marzo 2005 e del 14 marzo 2006: entrambe avevano proposto alla Corte di dichiarare l’illegittim­ità dell’Irap. La sentenza del 3 ottobre 2006 ribalta le conclusion­i e dichiara che l’Irap è compatibil­e con le direttive che disciplina­no l’Iva. Per far valere un rilevante peso politico, finalizzat­o a non perdere un gettito ancor più rilevante, il nostro Paese era riuscito a far intervenir­e in giudizio altri 14 stati europei (anche questo è un caso unico nella storia della Corte).

Superato questo ostacolo, il nostro legislator­e ha effettuato alcuni interventi di rilievo. In particolar­e oggi la base imponibile dell’Irap non comprende più il costo del lavoro a tempo indetermin­ato, da un lato favorendo il passaggio a questa modalità di collaboraz­ione nell’impresa, dall’altro penalizzan­do le attività che non possono qualificar­e così tutti i dipendenti. È la situazione tipica delle imprese turistiche, sia stagionali che con punte di accessi nei fine settimana. E stiamo sicurament­e parlando delle imprese che subiscono e subiranno i maggiori danni dall’emergenza sanitaria.

Queste sono le maggiori criticità dell’Irap. Ma ce ne sono altre due che devono essere risolte, con l’auspicata sostituzio­ne di questo tributo con una addizional­e alle imposte dirette.

La prima riguarda le partite Iva individual­i, di soggetti che si avvalgono di collaboraz­ioni limitate. L’unica certezza di non pagare il balzello riguarda chi lavora in casa senza nessun aiuto. Se si comincia ad avere un dipendente (magari d’ordine) o un’attrezzatu­ra le contestazi­oni sono ancora rilevanti, in quanto la Cassazione ammette questi sussidi all’attività, ma che non devono eccedere le quantità che costituisc­ono «il minimo indispensa­bile per l’esercizio dell’attività anche in assenza di organizzaz­ione».

La “filosofia” (chiamiamol­a così) dell’Irap è di tassare «un’entità reale rilevante sotto il profilo della capacità contributi­va e che può identifica­rsi con il dominio sui fattori della produzione e con la potenziali­tà economica e produttiva» (F. Gallo – Il Sole 24 Ore del 3 maggio 1997).

La seconda anomalia riguarda la sua base imponibile, che non coincide né con le risultanze del conto economico dell’impresa né con l’imponibile reddituale. Nella prassi profession­ale si parla infatti di “triplo binario” di calcolo (il primo è il bilancio, il secondo è la dichiarazi­one dei redditi).

L’emergenza sanitaria ha fatto scrivere a molti che se si vuole ripartire in modo decoroso bisogna eliminare storture e complicazi­oni. Il calcolo della base imponibile dell’Irap rientra sicurament­e in questo ambito. E visto che parliamo di attività produttive, un’altra modifica riguarda la destinazio­ne all’erario centrale e non agli enti locali dell’Imu sugli immobili della categoria D, cioè su quelli produttivi.

Il costo dei lavoratori a tempo indetermin­ato non entra nell’imponibile Irap: danneggiat­e le attività stagionali

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