Una odissea per 2 milioni di cattivi pagatori
Molte Pmi sono escluse dai crediti garantiti perché erano in crisi prima del Covid
Impresa di abbigliamento (chiusa). Fa richiesta in banca dei 25mila euro del decreto liquidità. La banca nega: posizione segnalata in Centrale rischi. Quindi niente soldi. Richiesta analoga da agenzia turistica (inattiva). Domanda respinta. Stessa motivazione. Padroncino autotrasportatore (fermo). Chiede finanziamento. Negato: medesima ragione. Non si contano più le mail giunte al Sole24 Ore che rappresentano lo stesso umiliante canovaccio. Chi non ha pagato rate, leasing, affitti, per più di due mesi consecutivi si ritrova sul capo la fiammella segnalatrice di elevato rischio creditizio. Una pentecoste debitoria che significa una cosa sola niente soldi. Almeno per coloro che si trovavano in difficoltà già prima del Covid-19. Perché per gli “investiti” dal tornado coronavirus almeno uno scudo c’è: le linee guida dell’Abi ,sulla scorta di quanto previsto dal decreto liquidità, prevedono che la garanzia venga concessa anche in favore dei debitori sofferenti o deteriorati purché tale classificazione non sia precedente al 31 gennaio 2020. Oltre a questo per finanziamenti sino a 25mila euro non si prevede alcuna attività istruttoria.
Quella dei “cattivi pagatori” è una categoria che sfugge alle definizioni: accanto agli insolventi episodici, ci sono quelli cronici, accanto agli afflitti da malinconie gestionali reali, sfilano i «furbetti» del pagherò. Quanti sono e quanto pesano? Federico Rajola, Ordinario di organizzazione aziendale alla Cattolica di Milano e Direttore del CeTIF (Centro di ricerca su tecnologie, innovazione e servizi finanziari), allarga le braccia: «Quello del sovraindebitamento è un problema sociale che sfugge nella sua reale dimensione. Ci sono i dati di Banca d’Italia, quelli informali dell’Agenzia delle Entrate, quelli delle Centrali rischi. In tutto questo ciò che impressiona è che in Italia non esista alcuna seria modalità di coordinamento degli Enti pubblici e privati che governano il fenomeno del credito».
Rajola, con la Cattolica, l’associazione Favor Debitoris, la Caritas Ambrosiana, la Diocesi di Milano e la fondazione San Bernardino, ha aperto un osservatorio sul sovraindebitamento e l’usura (la sua conseguenza più diretta). Secondo la Favor debitoris i sovraindebitati sono 1,8 milioni. In dettaglio l’elaborazione (effettuata su dati Banca d’Italia e della Fabi) individua tre macrocategorie: le famiglie e le imprese famigliari (con debiti variabili da 250 euro a 125mila, l’81,71% del totale), le piccole imprese (con esposizioni variabili da 125mila a 500mila, il 13,55% del totale) e le imprese da medio piccole a grandi dimensioni (il 4,74% del totale) con esposizioni superiori al mezzo milione. «Quello che sembra non si voglia capire è che arriviamo al 2020 e al coronavirus non già con 12 anni di boom economico alle spalle, ma di crisi profonda e di banche saltate o risolte – spiega Biagio Riccio, avvocato e presidente dell’associazione – Sottovalutare l’impatto sociale della situazione non contestualizzandola sarebbe gravemente colpevole da parte del legislatore». Per il Crif, società bolognese che è la più cospicua centrale rischi privata (ai loro dati attinge il 92% delle banche e degli intermediari) la situazione (pre covid) non era così grave. «Il tasso di default (nella definizione a 90 giorni di scaduto nel 2019 ha segnato una diminuzione all’1,7% per il credito al consumo e all’1,2% per i mutui immobiliari – spiega Antonio Deledda, director credit bureau del Crif che però aggiunge – Sul fronte delle imprese una componente non trascurabile si trova ad affrontare l’attuale emergenza partendo da situazioni di liquidità già delicate, pari al 37% circa del totale, o comunque senza particolari margini di manovra e che potrebbero andare in difficoltà se non adeguatamente supportate dal mercato bancario e/o dei capitali». Di quanto stiamo parlando? «Secondo le nostre stime – continua Deledda– nel 2020 si paleseranno esigenze di liquidità pari ad almeno 60 miliardi di euro, di cui solo 15 miliardi potranno essere coperti dai flussi di cassa previsti per l’anno in corso a causa degli impatti significativi dell’emergenza su fatturati e margini operativi». ««Ora però abbiamo un problema in più – spiega Antonella Sciarrone Alibrandi, Prorettore e ordinario di diritto bancario alla Cattolica di Milano – Nel decreto liquidità, si è deciso giustamente di posticipare al 1 settembre 2021 l’entrata in vigore del codice della crisi d’impresa che prevede, per i soggetti fallibili, regole nuove e più severe (come i sistemi di allerta). Il punto è che lo stesso codice contiene anche alcune norme facilitative in materia di procedure di composizione del sovraindebitamento e di ristrutturazione delle esposizioni delle famiglie e dei soggetti non fallibili (come i soci di una Sas o le partite Iva). E questo intervento, specie nel momento attuale, non deve essere rinviato. Perciò si è pensato alla presentazione di un emendamento per tentare di anticipare l’entrata in vigore di questa parte del codice. Speriamo che passi. L’emendamento (e anche la pandemia)».