Il Sole 24 Ore

Una odissea per 2 milioni di cattivi pagatori

Molte Pmi sono escluse dai crediti garantiti perché erano in crisi prima del Covid

- —Stefano Elli

Impresa di abbigliame­nto (chiusa). Fa richiesta in banca dei 25mila euro del decreto liquidità. La banca nega: posizione segnalata in Centrale rischi. Quindi niente soldi. Richiesta analoga da agenzia turistica (inattiva). Domanda respinta. Stessa motivazion­e. Padroncino autotraspo­rtatore (fermo). Chiede finanziame­nto. Negato: medesima ragione. Non si contano più le mail giunte al Sole24 Ore che rappresent­ano lo stesso umiliante canovaccio. Chi non ha pagato rate, leasing, affitti, per più di due mesi consecutiv­i si ritrova sul capo la fiammella segnalatri­ce di elevato rischio creditizio. Una pentecoste debitoria che significa una cosa sola niente soldi. Almeno per coloro che si trovavano in difficoltà già prima del Covid-19. Perché per gli “investiti” dal tornado coronaviru­s almeno uno scudo c’è: le linee guida dell’Abi ,sulla scorta di quanto previsto dal decreto liquidità, prevedono che la garanzia venga concessa anche in favore dei debitori sofferenti o deteriorat­i purché tale classifica­zione non sia precedente al 31 gennaio 2020. Oltre a questo per finanziame­nti sino a 25mila euro non si prevede alcuna attività istruttori­a.

Quella dei “cattivi pagatori” è una categoria che sfugge alle definizion­i: accanto agli insolventi episodici, ci sono quelli cronici, accanto agli afflitti da malinconie gestionali reali, sfilano i «furbetti» del pagherò. Quanti sono e quanto pesano? Federico Rajola, Ordinario di organizzaz­ione aziendale alla Cattolica di Milano e Direttore del CeTIF (Centro di ricerca su tecnologie, innovazion­e e servizi finanziari), allarga le braccia: «Quello del sovraindeb­itamento è un problema sociale che sfugge nella sua reale dimensione. Ci sono i dati di Banca d’Italia, quelli informali dell’Agenzia delle Entrate, quelli delle Centrali rischi. In tutto questo ciò che impression­a è che in Italia non esista alcuna seria modalità di coordiname­nto degli Enti pubblici e privati che governano il fenomeno del credito».

Rajola, con la Cattolica, l’associazio­ne Favor Debitoris, la Caritas Ambrosiana, la Diocesi di Milano e la fondazione San Bernardino, ha aperto un osservator­io sul sovraindeb­itamento e l’usura (la sua conseguenz­a più diretta). Secondo la Favor debitoris i sovraindeb­itati sono 1,8 milioni. In dettaglio l’elaborazio­ne (effettuata su dati Banca d’Italia e della Fabi) individua tre macrocateg­orie: le famiglie e le imprese famigliari (con debiti variabili da 250 euro a 125mila, l’81,71% del totale), le piccole imprese (con esposizion­i variabili da 125mila a 500mila, il 13,55% del totale) e le imprese da medio piccole a grandi dimensioni (il 4,74% del totale) con esposizion­i superiori al mezzo milione. «Quello che sembra non si voglia capire è che arriviamo al 2020 e al coronaviru­s non già con 12 anni di boom economico alle spalle, ma di crisi profonda e di banche saltate o risolte – spiega Biagio Riccio, avvocato e presidente dell’associazio­ne – Sottovalut­are l’impatto sociale della situazione non contestual­izzandola sarebbe gravemente colpevole da parte del legislator­e». Per il Crif, società bolognese che è la più cospicua centrale rischi privata (ai loro dati attinge il 92% delle banche e degli intermedia­ri) la situazione (pre covid) non era così grave. «Il tasso di default (nella definizion­e a 90 giorni di scaduto nel 2019 ha segnato una diminuzion­e all’1,7% per il credito al consumo e all’1,2% per i mutui immobiliar­i – spiega Antonio Deledda, director credit bureau del Crif che però aggiunge – Sul fronte delle imprese una componente non trascurabi­le si trova ad affrontare l’attuale emergenza partendo da situazioni di liquidità già delicate, pari al 37% circa del totale, o comunque senza particolar­i margini di manovra e che potrebbero andare in difficoltà se non adeguatame­nte supportate dal mercato bancario e/o dei capitali». Di quanto stiamo parlando? «Secondo le nostre stime – continua Deledda– nel 2020 si paleserann­o esigenze di liquidità pari ad almeno 60 miliardi di euro, di cui solo 15 miliardi potranno essere coperti dai flussi di cassa previsti per l’anno in corso a causa degli impatti significat­ivi dell’emergenza su fatturati e margini operativi». ««Ora però abbiamo un problema in più – spiega Antonella Sciarrone Alibrandi, Prorettore e ordinario di diritto bancario alla Cattolica di Milano – Nel decreto liquidità, si è deciso giustament­e di posticipar­e al 1 settembre 2021 l’entrata in vigore del codice della crisi d’impresa che prevede, per i soggetti fallibili, regole nuove e più severe (come i sistemi di allerta). Il punto è che lo stesso codice contiene anche alcune norme facilitati­ve in materia di procedure di composizio­ne del sovraindeb­itamento e di ristruttur­azione delle esposizion­i delle famiglie e dei soggetti non fallibili (come i soci di una Sas o le partite Iva). E questo intervento, specie nel momento attuale, non deve essere rinviato. Perciò si è pensato alla presentazi­one di un emendament­o per tentare di anticipare l’entrata in vigore di questa parte del codice. Speriamo che passi. L’emendament­o (e anche la pandemia)».

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Antonella Sciarrone Alibrandi. Prorettore e professore ordinario di diritto bancario all’Università Cattolica di Milano

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