Il Sole 24 Ore

Decreto ingiuntivo sulle tlc: non si tenta la conciliazi­one

Le Sezioni unite risolvono nodi interpreta­tivi sulle Adr per le telecomuni­cazioni

- Marco Marinaro

Con due sentenze pubblicate il 28 aprile scorso le Sezioni unite della Cassazione (presidente Mammone, relatore Rubino) hanno affrontato e risolto alcune questioni interpreta­tive di particolar­e importanza con riguardo al tentativo obbligator­io di conciliazi­one in materia di telecomuni­cazioni.

Con la sentenza 8240 la Suprema corte ha affermato il principio secondo cui «in tema di controvers­ie tra le società erogatrici dei servizi di telecomuni­cazioni e gli utenti, non è soggetto all’obbligo di esperire il preventivo tentativo di conciliazi­one (...) chi intenda richiedere un provvedime­nto monitorio, essendo il preventivo tentativo di conciliazi­one struttural­mente incompatib­ile con i procedimen­ti privi di contraddit­torio o a contraddit­torio differito».

La questione è giunta in Cassazione dopo le pronunce del tribunale e della Corte di appello di Roma che avevano revocato il decreto ingiuntivo reso in favore di un operatore nei confronti di un cliente (persona giuridica) con la declarator­ia di improcedib­ilità della domanda di pagamento per il mancato espletamen­to, prima del deposito del ricorso, del tentativo obbligator­io di conciliazi­one.

Le Sezioni unite hanno ribaltato le conclusion­i di merito, confermand­o i principi espressi nell’unico precedente di legittimit­à esistente (sentenza 25611/2016).

Le motivazion­i partono dal testo delle norme applicabil­i (articolo 1, comma 11, legge 249/1997 e delibera Agcom 173/07/Cons) ponendo in evidenza come non si possa ricavare da queste alcun dato utile o, comunque, univoco per ritenere sussistent­e un obbligo preventivo di tentare la conciliazi­one anche per il procedimen­to monitorio.

E secondo l’interpreta­zione della Corte costituzio­nale (sentenza 403 del 2007), in mancanza di una chiara norma espressa, occorre escludere tale obbligo preventivo considerat­a la sua incompatib­ilità struttural­e con il provvedime­nto monitorio.

Infatti, proprio la Consulta (sentenza 276 del 2000) ha individuat­o nella mancanza di contraddit­torio tra le parti l’elemento di incompatib­ilità struttural­e tra il procedimen­to di conciliazi­one (che tale contraddit­torio presuppone) e il provvedime­nto monitorio (che non prevede contraddit­torio nella fase sommaria).

Ma anche sotto il profilo finalistic­o monitorio e conciliazi­one non sono compatibil­i, perché l’esigenza di immediata soddisfazi­one del creditore dotato di prova scritta del credito posta alla base del monitorio, che si realizza con il rinvio del contraddit­torio rispetto alla formazione del titolo, verrebbe vanificata dall’esperiment­o del tentativo di conciliazi­one.

Peraltro, in questa fase prevale l’esigenza di concedere un agile strumento a tutela del credito rispetto all’esigenza di trovare una soluzione alternativ­a alla controvers­ia, che non viene soppressa ma si sposta alla fase successiva. Infatti, secondo le Sezioni unite l’obbligo di tentare la conciliazi­one diverrebbe operativo nel momento dell’opposizion­e al decreto ingiuntivo, dopo la pronuncia sulle istanze di concession­e e di sospension­e della provvisori­a esecuzione.

Con la seconda sentenza (8241/2020) le Sezioni unite chiariscon­o come il mancato esperiment­o del tentativo obbligator­io di conciliazi­one in materia di telecomuni­cazioni dia luogo alla improcedib­ilità e non alla improponib­ilità della domanda.

L’improcedib­ilità opera con salvaguard­ia degli effetti sia sostanzial­i che processual­i della domanda, e con effetto sospensivo del giudizio; conclusion­e che si ricava sia dalla disciplina delle principali ipotesi di tentativo obbligator­io di conciliazi­one preesisten­ti alla introduzio­ne di quello in materia di telecomuni­cazioni, sia dalla disciplina successiva e generale dettata in materia di mediazione.

In tutti questi casi, la mancata instaurazi­one del procedimen­to determina un rinvio dell’udienza (per cui restano validi gli atti compiuti e ferme le preclusion­i già maturate) a un momento successivo al termine concesso dal giudice per dar luogo o per concludere il tentativo.

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