Sugli sconti Tari incognita elenchi delle utenze chiuse
L’Authority interviene sulle tariffe ma dimentica gli scostamenti comunali
Arera allarga il suo campo di azione, e con la delibera n.158/2020 (Sole 24 Ore del 7 maggio) interviene anche nel campo delle riduzioni tariffarie per emergenza Covid-19.
Per le utenze non domestiche costrette alla chiusura forzata, e successivamente riaperte, è prevista una riduzione “obbligatoria”, da applicare alla parte variabile delle tariffe e da proporzionare al periodo di chiusura. L’articolo 1 riporta la formula da applicare, che a sua volta rinvia al coefficiente di produzione (Kd) individuato dal Dpr n. 158/1999. Tuttavia, la formula rinviando ai minimi e massimi del 158, non considera che i Comuni hanno la facoltà di discostarsi da questi nei limiti di un più o meno 50%, sicché si sarebbe dovuto fare riferimento ai Kd deliberati dai Comuni e utilizzati per calcolare le tariffe.
Per le attività chiuse e non ancora riaperte, invece, è prevista una riduzione della quota variabile pari al 25%, corrispondente a tre mesi di chiusura.
La previsione risulta di difficile attuazione, perché nei gestionali Tari di norma l’utenza è iscritta per categoria di contribuenza di cui al Dpr n. 158/1999, e non per codici Ateco, sicché si dovrebbe effettuare un inserimento manuale su ogni singola utenza per poter quantificare le riduzioni spettanti, fatta eccezione per poche residuali categorie, come quella dei cinema o delle discoteche.
Occorrerebbe poi una modifica dei software, anche questa impossibile da ottenere in un mese, ovvero in tempo utile per approvare le tariffe il 30 giugno. Senza considerare che molti codici Ateco, in realtà, pur obbligati alla chiusura, hanno ottenuto la deroga dalla Prefettura, sicché in automatico (in realtà) si può fare ben poco.
Per le utenze non domestiche non obbligate alla chiusura, l’Ato, e non il Comune, può, se vuole, o meglio sé è in grado tecnicamente di farlo, concedere delle riduzioni, ma solo su istanza dell’utente, che deve dimostrare “documentalmente” la minor produzione di rifiuti.
Nella delibera si anticipa anche il bonus sociale previsto dal Dl 124/2019, ma qui si tratta di mera possibilità, e non è chiaro a chi spetta la decisione, se all’Ato o al Comune. Di certo è previsto che l’ammontare è quantificato dall’Ato “in accordo con l’Ente locale”. Anche qui il beneficio è subordinato alla presentazione di certificazioni varie, e si traduce in un importo da portare in compensazione di quanto dovuto a titolo di Tari, e non può comunque superare la quota variabile dovuta.
Al punto 3.1 del deliberato, si precisa che l’Ato può “approvare” eventuali riduzioni decise dal Comune.
Infine, Arera chiede ai comuni di tradurre la sua stessa delibera in “un linguaggio comprensibile” e di darne notizia sul proprio sito, entro 30 giorni. Questa pare l’incombenza più temibile per gli uffici comunali che operano in un contesto emergenziale forse ancora non completamente compreso dall’Autorità.
La delibera Arera suscita poi non poche perplessità, perché interviene su un ambito, quello tributario, di competenza dei Comuni, almeno a normativa vigente, sicché appare di dubbia legittimità la previsione di un meccanismo di validazione da parte delle Ato delle riduzioni autonomamente decise dai Comuni. Che rapporto c’è tra il regolamento Tari o la delibera di approvazione delle tariffe e la delibera di Arera? in caso di contrasto cosa prevale? E i Comuni sono sanzionabili se non rispettano le indicazioni di Arera?
Come si fa, infine, a garantire la copertura integrale dei costi, quando la delibera di Arera rinvia ad un successivo provvedimento le modalità di copertura? Come si giustifica la delibera tariffaria del Comune, che rimane comunque atto impugnabile da parte del Mef? Come si fa a confermare le tariffe 2019, se le riduzioni devono essere finanziate, come sembra, dal sistema?
Una cosa è riscrivere il metodo tariffario, ovvero le nuove regole per costruire le tariffe all’utenza, altra cosa sono interventi estemporanei su riduzioni specifiche.