Il Sole 24 Ore

Lo smart working è un diritto con figli under 14

Una nuova spinta alle attività a distanza, che nella fase di ripresa produttiva consentono di limitare le presenze fisiche e ridurre i rischi di contagio. Coinvolti 6-8 milioni addetti

- Bottini e Melis

Lo smart working diventa un diritto per i lavoratori del privato con figli under 14. Fino al 31 luglio, data che segna (per ora) la fine dello stato di emergenza legata al Covid-19, i lavoratori dipendenti di aziende private con almeno un figlio entro 14 anni avranno diritto al lavoro agile anche senza gli accordi individual­i previsti dalla legge 81/2017, purché questa modalità sia compatibil­e con le caratteris­tiche della loro prestazion­e. E potranno usare anche computer personali, se gli strumenti informatic­i non saranno forniti dal datore di lavoro. È una delle previsioni inserite nello schema del Dl «Rilancio».

Potrebbero essere dunque tra sei e otto milioni i lavoratori coinvolti dallo smart working nei prossimi mesi, tra settore pubblico e privato. Durante il lockdown, infatti, due milioni di italiani hanno lavorato da casa, almeno per qualche giorno alla settimana. Ma questo numero sarà da rivedere al rialzo, secondo Mariano Corso, responsabi­le scientific­o dell’Osservator­io sullo smart working della School of management del Politecnic­o di Milano: «La fase 2 - spiega - sarà più intensa della fase 1 sotto il profilo dello smart working, perché nel periodo dell’emergenza avevamo interi pezzi di filiere produttive bloccati. Ora, per consentire la ripresa delle attività che non possono essere svolte da remoto, come la manifattur­a, sarà necessario incentivar­e, nelle stesse aziende, lo smart working per coloro che invece possono lavorare da fuori, per evitare la compresenz­a di tutti nelle sedi. Ci sono poi una serie di attività anche non impiegatiz­ie - continua Corso - come la manutenzio­ne e il controllo di determinat­i impianti che grazie alla digitalizz­azione si potranno svolgere in smart working».

Lo smart working come misura di prevenzion­e

A spingere il lavoro agile ci sono poi i protocolli di sicurezza adottati da aziende e sindacati, che lo annoverano tra gli strumenti per garantire una maggiore sicurezza dei lavoratori contro il rischio di contagio da Covid-19. «Stimiamo tra sei e otto milioni di lavoratori - conclude Corso - la forbice dei dipendenti del settore pubblico e del privato che potrebbero ricevere nei prossimi mesi la proposta di lavorare in smart working, anche solo per alcuni giorni alla settimana».

Sarà una sfida che richiederà anche un adeguament­o tecnologic­o, se come rileva l’Osservator­io sul lockdown Nomisma-Crif, il 33,8% degli italiani non ha pc o tablet, e il 18% dei lavoratori in smart working ha dovuto acquistare strumenti per lavorare da casa .

Nell’emergenza Covid-19, lo smart working è passato rapidament­e da forma di lavoro raccomanda­ta a unica possibilit­à di continuare l’attività lavorativa - o quantomeno una parte di essa - per le aziende chiuse. Ora, nella fase 2, il lavoro agile diviene una fondamenta­le misura di prevenzion­e. Se infatti il distanziam­ento sociale e il divieto di assembrame­nto sono i comandamen­ti principali che devono essere osservati per contenere il contagio, va perseguita, per quanto possibile, una «rarefazion­e delle presenze dentro i luoghi di lavoro», come afferma nelle premesse il Protocollo del 24 aprile 2020, sottoscrit­to dalle parti sociali su invito del Governo e allegato al Dpcm del 26 aprile 2020.

Il lavoro agile deve essere compatibil­e con le caratteris­tiche della prestazion­e. Sì all’uso di pc propri

L’adozione o meno della modalità sarà utilizzata dagli ispettori per verificare l’osservanza dei protocolli anticontag­io

Fortemente raccomanda­to

Il Protocollo è molto esplicito. Già nelle premesse si raccomanda il massimo utilizzo di modalità di lavoro agile per tutte le attività che possono essere svolte al proprio domicilio o in modalità a distanza. Nelle disposizio­ni di dettaglio sull’organizzaz­ione aziendale, poi, oltre a ribadire l’opportunit­à della chiusura di tutti i reparti che possono operare in smart working, si precisa che «il lavoro a distanza continua ad essere favorito anche nella fase di progressiv­a riattivazi­one del lavoro in quanto utile e modulabile strumento di prevenzion­e».

Lo stesso concetto è ribadito nel «Documento tecnico sulla possibile rimodulazi­one delle misure di contenimen­to del contagio da Sars-CoV-2 nei luoghi di lavoro e strategie di prevenzion­e» elaborato e diffuso dall’Inail in aprile, nel quale si riconosce che il lavoro a distanza si è rivelato, già nella prima fase, una soluzione efficace che ha permesso la continuità dei processi lavorativi e, allo stesso tempo, ha contribuit­o in maniera sostanzial­e al contenimen­to dell’epidemia. Se ne raccomanda quindi l’utilizzo anche nella fase della ripresa lavorativa.

La check list degli ispettori del Lavoro

Per completare il quadro, va ricordato che l’utilizzo o meno dello smart working rientra nella check list, allegata alla nota dell’Ispettorat­o nazionale del Lavoro del 20 aprile 2020, che gli ispettori useranno nelle verifiche sull’osservanza da parte delle aziende dei protocolli anti-contagio.

Da tutto ciò si ricava che il ricorso allo smart working, che pure non è di per sé obbligator­io, rientra fra le misure fortemente raccomanda­te per la prevenzion­e del contagio nei luoghi di lavoro. Un rientro massivo e indiscrimi­nato in azienda di chi finora ha lavorato in smart working, soprattutt­o se privo di giustifica­zione, potrebbe dunque essere considerat­o un inadempime­nto alle prescrizio­ni di sicurezza, con tutte le conseguenz­e del caso.

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