Tribunali, la nuova normalità sacrifica i processi non urgenti
Da domani nei tribunali scatta il «rientro» ma l’obbligo di distanziamento riduce gli spazi utilizzabili. Nonostante l’aiuto della tecnologia processi ancora limitati alle urgenze
Da domani la giustizia entra nella fase 2. Ma lo fa con grande cautela e rinviando i procedimenti meno urgenti a dopo l’estate. Anche se oggi si chiude il periodo di sospensione delle udienze e dei termini operativo da inizio marzo, le difficoltà a gestire l’attività giurisdizionale in modo compatibile con l’emergenza sanitaria sono tutt’altro che superate.
È questo il quadro che emerge analizzando le linee guida elaborate dai presidenti dei tribunali per gestire la fase 2, che, per ora, durerà fino al 31 luglio. Ogni ufficio ha scelto la propria strada indicando le priorità e le modalità di trattazione con regole che cambiano da una sede all’altra. È comunque possibile individuare dei tratti comuni.
Nelle linee guida degli uffici si punta su trattazione scritta e collegamenti da remoto per ampliare l’attività
Ripresa rallentata
Anche nella fase 1 da cui si esce oggi è stata assicurata la trattazione di alcuni procedimenti, individuati dal decreto legge cura Italia (18/2020) con un elenco via via ritoccato. Si tratta, in sintesi, delle cause civili che riguardano le urgenze delle famiglie e della tutela delle persone e, nel penale, delle convalide di arresto e dei processi che coinvolgono detenuti, se loro o i difensori chiedono di andare avanti.
Da domani gli uffici giudiziari continueranno in primo luogo ad assicurare la trattazione di queste cause urgenti e poi amplieranno un po’ il perimetro, ma non sarà possibile garantire i volumi di lavoro pre-Covid.
Ad esempio, a Roma, le linee guida prevedono che le cause da trattare vengano individuate dai giudici in base a criteri come: iscrizione a ruolo più risalente, cause relative a diritti fondamentali o che necessitano pronta decisione, cause già istruite o che non richiedono l’istruttoria. Al tribunale di Bari, nel diritto di famiglia, si tratteranno anche le cause di modifica delle condizioni di separazione e di divorzio e quelle di divorzio congiunto, finora ritenute non urgenti perché partono da rapporti già regolamentati. Mentre al tribunale di Firenze la ripresa è divisa in due step: nel civile fino al 31 maggio ripartiranno alcune udienze, dal 1° giugno tutte quelle compatibili con la trattazione scritta o da remoto.
Gli strumenti
L’esigenza di mantenere le distanze e di evitare gli assembramenti si scontra con le vecchie prassi di tenere le udienze in spazi piccoli e molto affollati, spesso nelle stanze dei giudici. Impossibile, quindi, riaprire i tribunali con i flussi di personale ed esterni normali fino a due mesi e mezzo fa. Le parole d’ordine sono, piuttosto, ingressi limitati, prenotazioni , fasce orarie, udienze in numero limitato e a porte chiuse, utilizzo solo delle aule più grandi.
Un aiuto per svolgere le udienze in sicurezza arriva dalla tecnologia. Nel civile viene dato ampio spazio alla trattazione scritta, utilizzabile quando è richiesta solo la presenza dei difensori. Viene sfruttato il canale del processo civile telematico, che, dall’inizio dell’emergenza, ha esteso il suo raggio d’azione: è diventato obbligatorio per gli atti introduttivi del processo e ha debuttato in Cassazione. E a puntare sul digitale prova anche l’ufficio del giudice di Pace di Milano e Rho: il processo telematico non opera ma da domani, per evitare un flusso eccessivo di utenti, sarà possibile anticipare gli atti via Pec.
C’è poi la strada delle udienze da remoto che nel civile sono possibili quando la partecipazione è limitata ad avvocati, parti e ausiliari del giudice.
I collegamenti da remoto sono utilizzabili anche per (alcune) udienze penali. Ma qui la situazione è più difficile perché, oltre alle criticità connaturate all’oralità del processo, lo stop and go del governo ha creato diverse incertezze. Prima, la legge di conversione del Dl cura Italia ha esteso i collegamenti da remoto a indagini preliminari e udienze con imputati liberi. Ma il Dl 28 del 30 aprile, con una parziale marcia indietro, ha reso necessario il consenso delle parti per le udienze di discussione finale e ha escluso la modalità “video” nelle udienze in cui vanno sentiti testimoni, parti, consulenti o periti.
L’arma della tecnologia non può però sopperire del tutto all’impossibilità di vedersi in aula. Innanzitutto, non tutte le udienze si possono svolgere senza la presenza fisica delle persone coinvolte. Inoltre, le udienze da remoto richiedono (almeno per ora) tempi più lunghi rispetto a quelli abituali in aula. E ci sono anche i limiti all’attività che il personale di cancelleria può svolgere da remoto: chi lavora in modalità agile non può per ora accedere ai registri e “processare” gli atti depositati. È un collo di bottiglia lamentato da vari uffici, ma che dovrebbe aprirsi un po’ con l’aumento delle presenze in sede degli amministrativi.