Bin Salman taglia l’offerta di petrolio e triplica l’Iva
La crisi del Covid-19 ridimensiona drasticamente le ambizioni del principe Il crollo dei prezzi rende impossibile finanziare la riconversione economica
Mohammed bin Salman, il principe reggente saudita, ha deciso di tagliare di un milione di barili al giorno la produzione di petrolio. Se a questo si somma il taglio concordato in sede Opec, l’offerta di Riad precipiterà a poco meno di 7,5 mbg,il livello minimo da 20 anni.E nel frattempo, l’Iva nel regno è triplicata.
Alla fine la ricetta per provare a risollevare le quotazioni del greggio è apparsa anche ai riluttanti governanti sauditi soltanto una: tagliare, ancora una volta, peraltro su base volontaria, la produzione petrolifera. E non di poco. Di un altro milione di barili al giorno.
Se a questo volume si somma l’altro taglio concordato in seno all'Opec in aprile, la produzione complessiva di Riad, rispetto ai livelli record raggiunti lo scorso mese durante la guerra dei prezzi con la Russia, verrà così mutilata di 4,8 milioni di barili al giorno (mbg). In altri termini, se Riad manterrà la parola data, la sua estrazione precipiterà il prossimo mese a poco meno di 7,5 mbg. Il livello minimo da 20 anni.
«Attraverso questo ulteriore taglio produttivo il Regno punta a incoraggiare i partecipanti del gruppo Opec+ (l’Opec ed altri importanti esportatori di greggio esterni al Cartello, Ndr), e gli altri Paesi produttori, di rispettare gli impegni di tagli produttivi che si sono assunti, e di portare avanti ulteriori tagli su base volontaria, nello sforzo di sostenere la stabilità dei mercati petroliferi», ha precisato una nota diffusa dal Governo saudita. Una stabilità che la pandemia di Coronavirus (in Arabia i contagi sono 41mila, i decessi 255) ha scombussolato, facendo cadere la domanda mondiale del 30 per cento. Il Kuwait, dal canto suo, ha già fatto sapere di aver deliberato ulteriori tagli produttivi (80mila bg). Resta da vedere se gli altri Paesi produttori, anche esterni al Cartello, seguiranno l’esempio di Riad. E soprattutto se, una volta impegnati a stringere i rubinetti, lo faranno sul serio.
Dopo una prima fiammata, l’effetto sui mercati internazionali, spaventati che la pandemia eroderà ancora a lungo la domanda, è stato a dir poco tiepido. I futures sul greggio hanno reagito con un ribasso: il Brent ha perso circa un dollaro scendendo sotto i 30 dollari al barile, ed il Wti è tornato sotto i 25, a 24,44 (-1,2%).
Il dilemma che attanagliava il giovane principe reggente, Mohammed Bin Salman (Mbs), era tagliare la produzione e far così lievitare i prezzi del greggio dai minimi toccati in marzo, e quindi veder finalmente gonfiarsi le magre entrate energetiche del Regno, oppure mantenere a questi prezzi depressi la produzione, conservando però la propria quota sui mercati soprattutto su quelli asiatici, strategici (dove peraltro Riad stava vendendo il greggio a prezzi scontati). Una mossa che sul medio termine avrebbe messo al tappeto alcuni concorrenti.
Ha prevalso la prima considerazione. E sembra aver contribuito a questa decisione anche il solido legame tra Mbs e Donald Trump, forgiato nel maggio del 2017 a Riad, e la telefonata fra i due avvenuta la scorsa settimana. Se infatti c’è un’industria petrolifera che più di tutte risente dei prezzi bassi, rischiando in parte la bancarotta, questa è proprio quella american dello shale oil. Perché, per quanto siano migliorate le tecnologie e si siano abbassati i costi di produzione, questo tipo di tecnica non convenzionale vanta comunque costi più alti rispetto ai metodi tradizionali di estrazione.
Sono tempi difficili per Riad. Ieri, poche ore prima dell’annuncio del taglio produttivo, il Governo ha reso noto di aver deliberato un sensibile aumento dell’imposta sul valore aggiunto che, a partire dal 1°giugno, salirà dal 5 al 15% . In quella data verrà sospeso l’assegno per il costo della vita. La misura era nell’aria. Il deficit di bilancio rischia di sfondare quest’anno il 13% del Pil, ma diversi analisti parlano di parecchio di più.
Mbs si trova ormai in grandi difficoltà. Il suo grande sogno, Vision 2030, ovvero un faraonico piano per cambiare il volto dell’economia saudita, diversificandola dal greggio e potenziando il settore privato, rischia ora di sfumare. Mbs intendeva diversificare investendo su settori all’avanguardia come l’hi tech ma anche sul turismo. Era deciso anche a realizzare anche il mega polo industriale del futuro, Neom, una megalopoli sulle coste del Mar Rosso, un progetto da 500 miliardi di dollari. Il crollo del greggio è però avvenuto in un momento in cui la transizione era alle primissime battute. Probabile che Vision 2030 rischi di trasformarsi ora in Vision 2040. Se non peggio.
Il compito che si trova davanti il ministro saudita delle Finanze è difficile e delicato. Nominato nel 2016, Mohammed Al-Jadaan, il ministro riformatore e amico di Mbs, colui che doveva traghettare il processo di diversificazione e gestire gli investimenti stranieri, si trova davanti a una scelta difficile; aumentare ancora il deficit del budget o tagliare laddove si è qualche volta tagliato in tempi di vacche magre; nella sanità, nell’ educazione, nel welfare. Ma in questi tempi di Pandemia l’ultima cosa da tagliare è proprio la sanità, e l’esperto ministro delle finanze intende potenziarla ricorrendo ad altro indebitamento. Riad non rischia il default Ha i mezzi per sopravvivere. Secondo molti analisti, anche con prezzi del petrolio a 25 dollari, il Regno è in grado di finanziare un deficit delle partite correnti anche per un decennio.
Certo, il generoso pacchetto di stimoli a sostegno dell’economia potrebbe non bastare. Il governo saudita ha già varato 32 miliardi di dollari di aiuti, in buona parte diretti agli addetti del settore privato che hanno perso il posto. Ma non sembra sia sufficiente per tamponare gli effetti negativi del crollo verticale delle entrate energetiche. Per finanziare il suo budget il Fondo monetario internazionale (Fmi) aveva stimato che Riad avrebbe bisogno di un prezzo del barile introno agli 80 dollari. Siamo a quasi tre volte di meno. Ma Riad possiede i mezzi finanziari per sopravvivere.
Il problema si chiama “Vision 2030”, un piano che solo quest’anno necessita di un budget di almeno 54 miliardi di dollari. Dove trovarli? L’Fmi prevede nel 2020 per l’Arabia Saudita una contrazione del PIl del 2,3% (e del 4% escluso il greggio). Molto meno rispetto alla recessione di altri Paesi occidentali ma abbastanza per spaventare gli indispensabili investitori stranieri .