IL PREMIER NEL LABIRINTO DEI 250 ARTICOLI DEL DECRETO
Sembra una tela di Penelope quel testo del decreto Rilancio su cui ancora ieri si litigava nella maggioranza fino a far slittare il Consiglio dei ministri. Perché, come quella tela, ogni giorno se ne scrive un pezzo e poi si disfa in base alle reazioni che suscita nelle categorie produttive e sociali o ai ripensamenti dei partiti. Tante misure vengono annunciate, anche dal ministro Gualtieri, ma non trovano pace e rincorrono una versione definitiva che pure ieri sfuggiva dalle mani di tutti. Già la mole del manufatto giuridico racconta la storia di questa coalizione: ieri nella bozza approdata al pre-consiglio si viaggiava sui 250 articoli. È vero che questo decreto viene vissuto come una scommessa assoluta per il Governo, una specie di “o la va o la spacca” di fronte a una crisi che ogni giorno fa salire le attese e le tensioni e dunque è comprensibile che la gestazione sia stata difficile. Non fino a questo punto però. Come ha detto lo stesso premier, è il tempo uno dei fattori cruciali per affrontare l'emergenza economica ma sul tempo i partiti e il premier rischiano di scivolare.
Non solo per questo provvedimento - che doveva chiamarsi aprile ma che poi è stato ribattezzato Rilancio per evitare di sottolineare il ritardo con cui arriva - ma anche le misure precedenti sono state delle false partenze. Basta citare il dossier sulla liquidità alle imprese oppure la questione della cassa integrazione ai lavoratori. Insomma, c’è una macchina burocratica che si è inceppata - e questo poteva essere prevedibile - ma a incepparsi è pure la macchina della coalizione. Solo ieri affioravano complessi intrecci di alleanze e scontri tra Pd, Italia Viva, 5 Stelle e Leu per cui su alcune norme alcuni si trovavano sulla stessa sponda e su altre invece si accendeva uno scontro. Sulla regolarizzazione dei braccianti agricoli, per esempio, Renzi e il Pd erano da una stessa parte contro Di Maio e Crimi mentre sull’Irap i renziani si sono messi contro le scelte di Gualtieri o di Franceschini sul tax credit per il turismo. Incastri diversi dove mancava essenzialmente un tassello: chi poteva o doveva fare sintesi all’interno della coalizione.
È vero che Conte aveva più di un fronte da curare e in primo luogo quello delle riaperture con l’incontro in videoconferenza con le Regioni, ma pure lì si è in ritardo. Il 18 è fra pochissimi giorni ma non ci sono ancora certezze sulle linee-guida per gli esercizi commerciali che da lunedì prossimo potranno tentare una semi-normalità. Si capisce quindi la rincorsa contro il tempo ma per il premier resta la domanda se sia o no in grado di fare sintesi in una coalizione scoordinata.
E la sgangheratezza politica si coglie in quel labirinto di 250 (e passa) articoli che ieri sono approdati a Palazzo Chigi. Un mostro giuridico in cui, prima ancora che il giudizio sulle singole misure, si coglie l’assenza di metodo se non quello di spartire tra le forze politiche soldi e relative norme. Tanti strati di mediazioni, in attesa che si arrivi all’altro nodo: il Mes. E qui c’è da dire che resta un mistero per quale ragione l’Italia, quindi Conte e Gualtieri, abbiano insistito - e vinto - per non avere condizionalità se non faranno richiesta di quella linea di credito, come sostengono i 5 Stelle. Una domanda che a Bruxelles già gira.