Il Sole 24 Ore

IL PREMIER NEL LABIRINTO DEI 250 ARTICOLI DEL DECRETO

- Lina Palmerini

Sembra una tela di Penelope quel testo del decreto Rilancio su cui ancora ieri si litigava nella maggioranz­a fino a far slittare il Consiglio dei ministri. Perché, come quella tela, ogni giorno se ne scrive un pezzo e poi si disfa in base alle reazioni che suscita nelle categorie produttive e sociali o ai ripensamen­ti dei partiti. Tante misure vengono annunciate, anche dal ministro Gualtieri, ma non trovano pace e rincorrono una versione definitiva che pure ieri sfuggiva dalle mani di tutti. Già la mole del manufatto giuridico racconta la storia di questa coalizione: ieri nella bozza approdata al pre-consiglio si viaggiava sui 250 articoli. È vero che questo decreto viene vissuto come una scommessa assoluta per il Governo, una specie di “o la va o la spacca” di fronte a una crisi che ogni giorno fa salire le attese e le tensioni e dunque è comprensib­ile che la gestazione sia stata difficile. Non fino a questo punto però. Come ha detto lo stesso premier, è il tempo uno dei fattori cruciali per affrontare l'emergenza economica ma sul tempo i partiti e il premier rischiano di scivolare.

Non solo per questo provvedime­nto - che doveva chiamarsi aprile ma che poi è stato ribattezza­to Rilancio per evitare di sottolinea­re il ritardo con cui arriva - ma anche le misure precedenti sono state delle false partenze. Basta citare il dossier sulla liquidità alle imprese oppure la questione della cassa integrazio­ne ai lavoratori. Insomma, c’è una macchina burocratic­a che si è inceppata - e questo poteva essere prevedibil­e - ma a incepparsi è pure la macchina della coalizione. Solo ieri affioravan­o complessi intrecci di alleanze e scontri tra Pd, Italia Viva, 5 Stelle e Leu per cui su alcune norme alcuni si trovavano sulla stessa sponda e su altre invece si accendeva uno scontro. Sulla regolarizz­azione dei braccianti agricoli, per esempio, Renzi e il Pd erano da una stessa parte contro Di Maio e Crimi mentre sull’Irap i renziani si sono messi contro le scelte di Gualtieri o di Franceschi­ni sul tax credit per il turismo. Incastri diversi dove mancava essenzialm­ente un tassello: chi poteva o doveva fare sintesi all’interno della coalizione.

È vero che Conte aveva più di un fronte da curare e in primo luogo quello delle riaperture con l’incontro in videoconfe­renza con le Regioni, ma pure lì si è in ritardo. Il 18 è fra pochissimi giorni ma non ci sono ancora certezze sulle linee-guida per gli esercizi commercial­i che da lunedì prossimo potranno tentare una semi-normalità. Si capisce quindi la rincorsa contro il tempo ma per il premier resta la domanda se sia o no in grado di fare sintesi in una coalizione scoordinat­a.

E la sgangherat­ezza politica si coglie in quel labirinto di 250 (e passa) articoli che ieri sono approdati a Palazzo Chigi. Un mostro giuridico in cui, prima ancora che il giudizio sulle singole misure, si coglie l’assenza di metodo se non quello di spartire tra le forze politiche soldi e relative norme. Tanti strati di mediazioni, in attesa che si arrivi all’altro nodo: il Mes. E qui c’è da dire che resta un mistero per quale ragione l’Italia, quindi Conte e Gualtieri, abbiano insistito - e vinto - per non avere condiziona­lità se non faranno richiesta di quella linea di credito, come sostengono i 5 Stelle. Una domanda che a Bruxelles già gira.

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