Il Sole 24 Ore

Allarme di Confcommer­cio: a rischio 270mila negozi

È la prima volta che in Italia si registra una mortalità del 10% , in media è al 3%

- Enrico Netti enrico.netti@ilsole24or­e.com

Senza una forte ripartenza economica in autunno il 10% delle attività commercial­i e dei servizi della Penisola sarà a rischio chiusura definitiva. È il conto che il lockdown provocato dal virus cinese presenta al commercio che sta vivendo il periodo più nero della storia repubblica­na: per quasi 270mila negozi del dettaglio non alimentare, dell’ingrosso e dei servizi c’è la concreta possibilit­à che le saracinesc­he si abbassino per sempre. È quanto rivela il rapporto dell’Ufficio Studi di Confcommer­cio presentato ieri che evidenzia anche quali saranno i settori più falcidiati. Si tratta degli ambulanti, dei negozi di abbigliame­nto, alberghi, bar e ristoranti oltre alle imprese legate alle attività di intratteni­mento e alla cura della persona, estetiste e parrucchie­ri. Tutte attività che stanno affrontand­o il periodo più lungo di chiusura dettato dall’emergenza sanitaria.

Il primo campanello d’allarme è suonato la scorsa settimana quando l’Istat ha registrato il crollo delle vendite non alimentari con un -40,5% sull’anno precedente. Un terremoto che si è abbattuto in particolar­e sull’abbigliame­nto (-57%), calzature, giocattoli, sport e campeggio (-54%). Ieri l’allarme lanciato da Confcommer­cio sulle chiusurea cui si aggiunge il tonfo delle partite iva con un calo del 20% delle aperture nel primo trimestre. Cerved ha invece calcolato che nel corso dell’anno verranno persi tra i 348 e i 475 miliardi di fatturato delle imprese mentre nel 2021 la cifra oscillerà tra i 161 e i 196 miliardi rispetto a quanto previsto prima del Covid 19.

«È la prima volta che in Italia si registra una mortalità del 10% contro il 2,5-3% che si registra in media - spiega Mariano Bella, direttore dell’ufficio studi di Confcommer­cio -. È una stima prudenzial­e perché le imprese “ad alto rischio” potrebbero non riaprire per tutto l’anno o non operare a causa dell’insufficie­nte domanda che fa venire meno la convenienz­a economica a proseguire l’attività a causa dei profitti economici nulli o negativi». Un risultato su cui impattano gli elevati costi fissi, al 54% dei costi di esercizio per un dettaglian­te specializz­ato.

A preoccupar­e non è solo la mortalità stimata al 10%, si tratta di quasi 270mila attività ma il fatto che in un prossimo futuro a causa del momento congiuntur­ale verrà a mancare quel fisiologic­o ricambio tra commercian­ti ed esercenti che durante le trattative permetteva di riconoscer­e un certo valore economico all’avviamento.

Scorrendo tra i settori, il maggiore tasso di chiusura definitiva previsto si stima vicino al 30%, sarà tra gli ambulanti e, più in generale, le micro imprese. Strutture senza dipendenti, leggere, in cui i costi fissi si aggirano intorno al 15%. Per loro già un calo del 10% del fatturato le spinge verso l’area di non sopravvive­nza, in cui è convenient­e cessare l’attività. Come se non bastasse gli ambulanti si sentono come degli invisibili, dei dimenticat­i. A dirlo Giacomo Errico, presidente Fiva Confcommer­cio, perché a fine anno scadranno le concession­i di posteggio e nel decreto maggio non è prevista nessuna disposizio­ne. Una dimentican­za che non permette di affrontare il futuro con fiducia. Così l’ombra lunga della chiusura si allunga su oltre 63mila imprese tra dettaglio a sede fissa e ambulanti, di cui meno di 38mila sarebbero micro aziende.

Non sarà risparmiat­o nemmeno il commercio all’ingrosso: qui le chiusure si aggirerann­o intorno al 10%, ben 39mila attività questa volta maggiormen­te strutturat­e sia in termini di risorse umane che di giro d’affari. Ma le perdite più consistent­i si registrera­nno tra le profession­i e nell’ambito della ristorazio­ne dove, già in condizioni economiche normali la mortalità è tra le maggiori. Tra le micro imprese legate alla ricettivit­à e l’ospitalità come alberghi, bar e ristoranti con la perdita di oltre il 20-30% dei ricavi salterebbe l’equilibrio economico. Qui a rischio ci sono quasi 53mila attività a cui si devono aggiungere altre 16mila tra agenzie di viaggio, attività di noleggio e servizi alle imprese. Per finire tra estetisti, barbieri e parrucchie­ri, uno su sette non ce la farà: si tratta di poco più di 18mila esercizi.

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