Allarme di Confcommercio: a rischio 270mila negozi
È la prima volta che in Italia si registra una mortalità del 10% , in media è al 3%
Senza una forte ripartenza economica in autunno il 10% delle attività commerciali e dei servizi della Penisola sarà a rischio chiusura definitiva. È il conto che il lockdown provocato dal virus cinese presenta al commercio che sta vivendo il periodo più nero della storia repubblicana: per quasi 270mila negozi del dettaglio non alimentare, dell’ingrosso e dei servizi c’è la concreta possibilità che le saracinesche si abbassino per sempre. È quanto rivela il rapporto dell’Ufficio Studi di Confcommercio presentato ieri che evidenzia anche quali saranno i settori più falcidiati. Si tratta degli ambulanti, dei negozi di abbigliamento, alberghi, bar e ristoranti oltre alle imprese legate alle attività di intrattenimento e alla cura della persona, estetiste e parrucchieri. Tutte attività che stanno affrontando il periodo più lungo di chiusura dettato dall’emergenza sanitaria.
Il primo campanello d’allarme è suonato la scorsa settimana quando l’Istat ha registrato il crollo delle vendite non alimentari con un -40,5% sull’anno precedente. Un terremoto che si è abbattuto in particolare sull’abbigliamento (-57%), calzature, giocattoli, sport e campeggio (-54%). Ieri l’allarme lanciato da Confcommercio sulle chiusurea cui si aggiunge il tonfo delle partite iva con un calo del 20% delle aperture nel primo trimestre. Cerved ha invece calcolato che nel corso dell’anno verranno persi tra i 348 e i 475 miliardi di fatturato delle imprese mentre nel 2021 la cifra oscillerà tra i 161 e i 196 miliardi rispetto a quanto previsto prima del Covid 19.
«È la prima volta che in Italia si registra una mortalità del 10% contro il 2,5-3% che si registra in media - spiega Mariano Bella, direttore dell’ufficio studi di Confcommercio -. È una stima prudenziale perché le imprese “ad alto rischio” potrebbero non riaprire per tutto l’anno o non operare a causa dell’insufficiente domanda che fa venire meno la convenienza economica a proseguire l’attività a causa dei profitti economici nulli o negativi». Un risultato su cui impattano gli elevati costi fissi, al 54% dei costi di esercizio per un dettagliante specializzato.
A preoccupare non è solo la mortalità stimata al 10%, si tratta di quasi 270mila attività ma il fatto che in un prossimo futuro a causa del momento congiunturale verrà a mancare quel fisiologico ricambio tra commercianti ed esercenti che durante le trattative permetteva di riconoscere un certo valore economico all’avviamento.
Scorrendo tra i settori, il maggiore tasso di chiusura definitiva previsto si stima vicino al 30%, sarà tra gli ambulanti e, più in generale, le micro imprese. Strutture senza dipendenti, leggere, in cui i costi fissi si aggirano intorno al 15%. Per loro già un calo del 10% del fatturato le spinge verso l’area di non sopravvivenza, in cui è conveniente cessare l’attività. Come se non bastasse gli ambulanti si sentono come degli invisibili, dei dimenticati. A dirlo Giacomo Errico, presidente Fiva Confcommercio, perché a fine anno scadranno le concessioni di posteggio e nel decreto maggio non è prevista nessuna disposizione. Una dimenticanza che non permette di affrontare il futuro con fiducia. Così l’ombra lunga della chiusura si allunga su oltre 63mila imprese tra dettaglio a sede fissa e ambulanti, di cui meno di 38mila sarebbero micro aziende.
Non sarà risparmiato nemmeno il commercio all’ingrosso: qui le chiusure si aggireranno intorno al 10%, ben 39mila attività questa volta maggiormente strutturate sia in termini di risorse umane che di giro d’affari. Ma le perdite più consistenti si registreranno tra le professioni e nell’ambito della ristorazione dove, già in condizioni economiche normali la mortalità è tra le maggiori. Tra le micro imprese legate alla ricettività e l’ospitalità come alberghi, bar e ristoranti con la perdita di oltre il 20-30% dei ricavi salterebbe l’equilibrio economico. Qui a rischio ci sono quasi 53mila attività a cui si devono aggiungere altre 16mila tra agenzie di viaggio, attività di noleggio e servizi alle imprese. Per finire tra estetisti, barbieri e parrucchieri, uno su sette non ce la farà: si tratta di poco più di 18mila esercizi.