Eni, oltre 9 miliardi di richieste per il doppio prestito obbligazionario
Due tranche da 2 miliardi Impatto da 150 milioni per il virus nel 1° trimestre
Oltre 9 miliardi di ordini per il ritorno di Eni sul mercato, la prima corporate a ribussare alle porte degli investitori dopo l’emergenza coronavirus. Un esito non scontato considerate l’alta volatilità di questa fase e le enormi difficoltà del settore oil&gas, penalizzato dalla doppia dinamica Covid-19 e crollo del prezzo del greggio, che non ha impedito al gruppo guidato da Claudio Descalzi di chiudere con un ampio riscontro la doppia emissione obbligazionaria da 2 miliardi, a 6 e a 11 anni, lanciata ieri. Il tutto alla vigilia dell’assemblea degli azionisti che domani sarà chiamata a sancire il terzo mandato del ceo e in vista della quale, nelle risposte alle domande dei soci, il gruppo ha confermato l’impegno nella transizione energetica nonostante le nuove sfide poste dalla pandemia.
Il cui impatto, stima l’Eni, è stato di 150 milioni nel primo trimestre.
Tornando all’operazione messa in pista ieri, l’emissione con scadenza maggio 2026 da un miliardo (a fronte di 4,8 miliardi di ordini), paga una cedola annua dell’1,250% e ha un prezzo di re-offer di 99,308% (che corrisponde a uno spread di 165 punti base sul tasso mid swap di riferimento). L’altra, invece, paga una cedola annua del 2% e un prezzo di re-offer di 99,941% (pari a uno spread di 210 punti base): l’ammontare sarà di un miliardo, rispetto a una domanda di 4,3 miliardi, con scadenza maggio 2031. Per entrambe le tranche, a guidare la lista degli investitori di lungo termine - a testimonianza dell’apprezzamento del mercato per la strategia di Eni -, è stata la Francia (21,8% sulla tranche a 6 anni e 30,3% sul bond a 11 anni), seguita dalla Germania (21,7% e 28,9%, rispettivamente, per la scadenza più breve e per quella più lunga) e dalla Gran Bretagna (17,7% per l’emissione che scade nel 2026 e 14% per quella a maggio 2031). A seguire il doppio collocamento è stato un pool di banche (active bookrunner): Barclays, Bnp Paribas, Crédit Agricole, Jp Morgan, Mediobanca e UniCredit.
Insomma, Eni raccoglie provvista e si prepara ad affrontare uno scenario ancora sfavorevole. Che, però, non distoglie il gruppo dai suoi obiettivi, a partire dagli investimenti nei business “verdi” per 4 miliardi nel piano 2020-2023, di cui 2,6 miliardi in rinnovabili - dove la crescita, si precisa, avverrà per linee organiche ma senza escludere M&A (fusioni e acquisizioni) selettive e rafforzando la presenza in paesi come Italia, Europa, Australia e Usa -, 600 milioni nella decarbonizzazione, altri 600 milioni in economia circolare e 200 milioni in tecnologie innovative a basse emissioni e start up ad alto potenziale innovativo. Quanto alle mosse future, il gruppo esclude sia delocalizzazioni sia manovre straordinarie sul personale, mentre sul fronte di potenziali dismissioni «abbiamo diverse opzioni finalizzate a ottimizzare/derischiare il portafoglio che saranno valutate in coerenza con l’evoluzione dello scenario».