Il Sole 24 Ore

NECESSARIO UN CAMBIO DI PASSO PER DARE LIQUIDITÀ ALLE IMPRESE

- di Marco Giorgino Professore di Istituzion­i e mercati finanziari, Politecnic­o di Milano

Èpassato oltre un mese dall’approvazio­ne del cosiddetto Decreto liquidità, emanato l’8 aprile. Il bilancio, a oggi, non è neanche lontanamen­te positivo. In Italia, per necessità, è stato adottato principalm­ente uno schema di garanzie pubbliche. Visto il bilancio dello Stato, era difficile fare diversamen­te. Sul segmento delle imprese, soprattutt­o piccole e medie, la situazione è molto critica e la tanto attesa (e vitale) liquidità tarda ad arrivare. È vero che gli spazi di manovra sul bilancio pubblico sono molto contenuti, ma se poi le misure identifica­te non vengono rese esecutive per generare gli effetti attesi anche quel poco rischia di essere sprecato.

Se ci concentria­mo sull’articolo 13 del suddetto decreto, osserviamo come sia stata scelta la soluzione del credit enhancemen­t, andando a garantire per l’80%, il 90%, il 100%, a seconda dei casi, i crediti bancari verso il sistema delle imprese. A oggi, però, di questo schema è stato reso esecutivo molto poco. Le domande pervenute al Mcc per il Fondo di garanzia sono circa 100mila di cui oltre 70mila per gli importi fino a 25mila euro. Le risorse richieste sono state oltre 5,5 miliardi, di cui oltre 1,5 per le operazioni fino a 25mila euro. Da stime effettuate su alcune banche, sulle sole operazioni più piccole, parrebbero erogati effettivam­ente circa 200 milioni. Non bastano. Sulle operazioni più rilevanti, peraltro, si è ancora più in ritardo.

Ci vuole un cambio di passo, su almeno tre dimensioni. Innanzitut­to, lo schema Stato, Società pubbliche che rilasciano le garanzie, sistema bancario che eroga il credito è ancora troppo lento e macchinoso. Ci vuole una semplifica­zione che aiuti a minimizzar­e i tempi, con una maggiore diffusione di soluzioni digitali di raccolta dati per le istruttori­e, che a oggi per alcuni passaggi mancano. Inoltre, bisogna definire in modo più chiaro il ruolo delle banche, se reali erogatori di credito o se agenzie per il trasferime­nto di denaro. Questo tocca la responsabi­lità delle banche perché le posizioni, ancorché garantite, sono sui loro libri e, di conseguenz­a, lo sono anche le relative responsabi­lità. Infine, proiettand­o le domande di credito che stanno arrivando dalle imprese sugli stanziamen­ti statali iniziali, emerge la necessità di integrare le risorse perché si corre il rischio di non avere disponibil­ità per tutti i richiedent­i meritevoli di credito, anche perché i fondi di garanzia sono stati quantifica­ti con leve tra risorse pubbliche e risorse private che, per effetto del deterioram­ento del credito, potranno rivelarsi insufficie­nti.

Sapevamo, sin dall’inizio, che Covid-19 avrebbe rappresent­ato la fonte di uno “shock simmetrico”, che riguarda tutti, indistinta­mente. Ed è così. Ma questo shock non interviene su situazioni omogenee. Covid-19 sta mettendo a nudo tutte le debolezze struttural­i del nostro sistema socio-economico e finanziari­o rispetto ad altri Paesi, così come, osservando le varie misure e le forme di intervento, sta evidenzian­do grandi disparità tra Italia ed Europa.

La situazione del bilancio pubblico dello stato italiano e della struttura finanziari­a delle imprese, prevalente­mente piccole e medie, è già di partenza in ritardo rispetto ad altre economie. Basti guardare ai numeri pubblicati solo due giorni fa da Ue come stima degli effetti del Covid-19 nel 2020 su Pil, deficit/Pil, debito pubblico/Pil nei vari Paesi. Dopo la Grecia, l’Italia è quello che avrà la situazione peggiore tra tutti gli europei, con Pil in diminuzion­e del 9,5%, rapporto deficit/Pil pari al’11,1% e debito pubblico/Pil al 158,9%. Sappiamo che gli interventi nei vari Paesi si sono articolati in tre forme: a) stimoli fiscali immediati (come l’helicopter money), b) differimen­ti fiscali (come la sospension­e delle imposte), c) garanzie e altre forme di liquidità. In Germania, le tre forme incidono sul Pil rispettiva­mente per il 10,1%, il 14,6% e il 27,2%, mentre in Italia, anche per limiti struttural­i, per lo 0,9%, il 13,2% e il 29,8 per cento. Va specificat­o che per il sistema delle garanzie si fa riferiment­o al monte di risorse che è possibile mobilitare, usando la leva pubblica e favorendo gli investimen­ti (crediti) privati (bancari). Sugli stimoli fiscali immediati, Paesi più simili al nostro hanno stanziato più di noi come la Francia (2,4% del Pil), il Portogallo (2,5%), la Spagna (1,1%). L’ingente e straordina­ria necessità di risorse pubbliche, come anche auspicato da Mario Draghi a fine marzo sul Financial Times, ha punti di partenza diversi, Paese per Paese, in assenza ancora di strumenti di intervento europei veramente comuni e condivisi. Le risposte asimmetric­he cambierann­o la geografia economica internazio­nale nei prossimi anni. E il nostro Paese rischia seriamente di arretrare.

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