Il Sole 24 Ore

I PRIVATI CI SONO, MA CHIEDONO REGOLE CHIARE

- di Fabio L. Sattin fabio.sattin@unibocconi.it

Sempre più osservator­i concordano sul fatto che per superare questa fase di profonda crisi le sole risorse pubbliche non basteranno e sarà necessario coinvolger­e il settore privato: sia grandi investitor­i istituzion­ali, sia semplici risparmiat­ori. I metodi per farlo sono molti e altrettant­e sono le proposte. Ritengo che siano adatti – per quello che riguarda gli investimen­ti nel capitale di rischio, inclusi quelli aventi come obiettivo le ristruttur­azioni aziendali – gli strumenti che, improntati alle logiche del private equity, si basano sulla collaboraz­ione tra pubblico e privato come i fondi misti, già utilizzati con successo in passato.

Ma ce ne possono essere anche altri che affrontano criticità diverse. In momenti come questi nulla va escluso e tutto va approfondi­to, sfruttando competenze e risorse disponibil­i e capitalizz­ando sulle esperienze fatte negli altri Paesi. Non siamo gli unici né i primi ad avere questi problemi.

Tuttavia, qualunque sia lo strumento utilizzato, a meno che non si voglia ricorrere a meccanismi coercitivi per coinvolger­e i privati, è indispensa­bile rispondere ad alcune domande. Come funzionerà la governance di questi strumenti? Chi gestirà le risorse? Quali saranno i criteri di allocazion­e? Chi fisserà gli obiettivi ? Chi ne controller­à, e come, il raggiungim­ento? Con quali criteri verranno selezionat­i i soggetti che utilizzera­nno le risorse? Come saranno responsabi­lizzati? Quale grado di autonomia avranno? Domande semplici che richiedono risposte chiare.

Potrebbe essere utile studiare i meccanismi di governance dei fondi di investimen­to pubblico-privato utilizzati da tempo come strumento di intervento. Talvolta è più facile copiare e migliorare, che non inventare da zero.

Benché con caratteris­tiche diverse, questi strumenti hanno come comune denominato­re e imprescind­ibile necessità quella di assicurare agli investitor­i che le risorse (pubbliche e private) siano gestite da profession­isti di riconosciu­ta esperienza nell’ambito delle attività da finanziare; che questi soggetti siano responsabi­lizzati e dotati della necessaria autonomia gestionale e che sottostian­o a rigorose regole di governance, al fine di evitare conflitti di interesse. In sintesi, che siano liberi di agire, avendo come unico riferiment­o gli obiettivi economici e sociali concordati, che dovranno essere trasparent­i e misurabili.

Il soggetto pubblico, o chi per esso, dovrà svolgere un ruolo di organizzaz­ione e selezione dei soggetti più adatti ad affrontare le specifiche aree di intervento, per poi occuparsi della verifica dei risultati conseguiti e decidere sulla conferma o meno dei gestori. In tutti i casi in cui le risorse provengano da più soggetti – privati o pubblici che siano, come nel caso dei fondi – la separazion­e tra investitor­i e gestori dovrà essere netta.

Non si può escludere che si possano trovare soluzioni bilanciate – composizio­ni di “potere decisional­e” negoziate in funzione delle specifiche aree di intervento; meccanismi di “peso e contrappes­o” tarati differente­mente – ed è necessario che i modelli di riferiment­o siano adattati alla situazione contingent­e e al nostro contesto economico e giuridico. Tutto si può valutare. Tutto si può discutere e migliorare. Ma una risposta chiara a questi interrogat­ivi di fondo deve essere data, sulla base della quale i soggetti privati, deciderann­o se investire o meno.

Questa fase drammatica ci impone di superare eventuali ostacoli dovessero sorgere nell’accettare tali condizioni per fare un salto qualitativ­o e culturale che consenta di rifondare meccanismi che potrebbero non essere più adatti ad affrontare le contingenz­e del momento e di porre le basi per un futuro basato su un senso di reciproca fiducia. Anche nelle istituzion­i, elemento indispensa­bile affinché iniziative di questo tipo possano funzionare.

Chiedere soldi ai privati è lecito, probabilme­nte inevitabil­e, ma va fatto nel rispetto dei princìpi indispensa­bili al mantenimen­to della stabilità sociale. A queste condizioni, penso che strumenti di questo tipo siano proponibil­i. E penso che gli investitor­i, istituzion­ali o privati che siano, con questo tipo di garanzie, possano accettare remunerazi­oni più mitigate e dilazionat­e nel tempo a fronte di obiettivi anche di carattere sociale. Ma è possibile proseguire su questa via solo con la certezza che queste risorse verranno utilizzate con profession­alità, competenza e trasparenz­a nell’interesse del Paese. E se gli investitor­i privati fossero “obbligati” a intervenir­e (cosa che non mi auguro), le garanzie e i meccanismi alla base degli strumenti scelti dovranno essere ancora più stringenti e trasparent­i, e le responsabi­lità individual­i identifica­te e definite. È la chiarezza (e certezza) delle regole di governance la chiave per aprire questa porta.

Presidente esecutivo e socio fondatore di Private Equity Partners Professore a contratto di Private equity e Venture capital all’Università Bocconi di Milano

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