Clorochina e prevenzione al via maxi-studio
In Italia sono almeno 800 i volontari, tra medici, infermieri e operatori sanitari, che hanno deciso di partecipare a uno studio in collaborazione con l'Università di Oxford, che mira a indagare se l'idrossiclorochina ha un ruolo di prevenzione dell'infezione da Covid-19. Il tema è caldo e molto discusso per l'uso fuori dalle indicazioni ufficiali sia in ospedale sia tra chi si cura a casa. Per rispondere alla domanda e placare le polemiche l'AifA ha appena deciso di approvare il più grande studio italiano tra il personale sanitario, il più esposto a rischio d’infezione, per verificare se il suo uso prima dell’esposizione al coronavirus diminuisca la probabilità di ammalarsi. Lo studio Cop-Cov (clorochina profilassi – coronavirus) promosso dall'Università di Oxford e coordinato dalla sua unità di ricerca in malattie tropicali dell'Università Mahidol di Bangkok (Moru), con 40.000 partecipanti in Asia, Africa ed Europa distribuiti tra circa 100 ospedali, vede come centro capofila per l’Italia l’Irccs Sacro Cuore Don Calabria di Negrar, in provincia di Verona, in collaborazione con l’Ospedale Careggi di Firenze.
«La clorochina è un antimalarico noto dagli anni ’30, mentre il suo analogo idrossiclorochina viene impiegato in Europa contro le malattie autoimmuni, come l’artrite reumatoide e il lupus eritematoso – spiega Dora Buonfrate, coordinatrice della ricerca e medico infettivologo del dipartimento di Malattie infettive e tropicali del Negrar – In Italia entrambi i farmaci sono già stati impiegati off-label come terapia anti-Covid-19 sulla base di una attività antivirale dimostrata in vitro. Ma gli studi clinici sono ancora pochi e i risultati su pazienti, al momento, scarsi. Questa sperimentazione, grazie ai suoi grandi numeri, avrà invece le carte in regola per darci una risposta definitiva sull’efficacia o meno del farmaco nel ridurre il rischio di contagio da Sars-Cov-2». I volontari saranno divisi in due gruppi: uno riceverà idrossiclorochina a basso doaggio una volta al giorno per tre mesi, l’altro un placebo. Alla fine dello studio si paragoneranno i tassi di infezione dei due gruppi e si valuterà se il farmaco offre un vantaggio nella prevenzione del contagio o nella gravità dell’infezione. I risultati potrebbero arrivare già entro l’anno, quando con tutta probabilità non avremo ancora il vaccino.