Il Sole 24 Ore

TRE PRIORITÀ PER RIPARTIRE DOPO LA CRISI DEL COVID-19

- Di Stefano Manzocchi

Non avremo certezze sulle sorti della globalizza­zione finché cure efficaci e disponibil­i per tutti in ogni Paese non saranno trovate e implementa­te. Con la rimozione parziale delle chiusure assistiamo a una timida ripresa degli scambi, ma su livelli per ora distanti da quelli del 2019 e soprattutt­o in un quadro erratico dove la cronologia di aperture e possibili nuove chiusure potrebbe far premio sul ripristino di condizioni ordinate sui mercati globali.

Ad esempio, secondo le statistich­e cinesi le esportazio­ni sono aumentate del 3,5% in aprile, dopo il - 6,6% registrato a marzo, mentre le importazio­ni sono scese del 14,2%, dopo il - 1% precedente, con la conseguenz­a di un forte migliorame­nto del saldo della bilancia commercial­e fino a un surplus di 45,3 miliardi di dollari rispetto al deficit di 19,9 miliardi di marzo.

Per l’Italia, la previsione del Centro Studi Confindust­ria per quest’anno si va assestando attorno a un calo di export e import in linea con il crollo del commercio mondiale ( circa meno 13%). In generale, la commistion­e di livelli del commercio internazio­nale in forte caduta e di saldi commercial­i erratici a seguito dello stato delle epidemie nazionali, potrebbe rendere un servizio ulteriore a pulsioni protezioni­stiche mai così forti da decenni. Per il nostro Paese, che ha esportato per quasi un terzo del prodotto nazionale e ha registrato un contributo del saldo commercial­e alla domanda di circa tre punti percentual­i nel 2019, lo scenario protezioni­stico è assai preoccupan­te. E lo è per tutta l’Eurozona, che su saldi commercial­i crescenti verso l’esterno ha costruito nell’ultimo decennio il suo ( asfittico) modello di sviluppo.

La crescita fondata sulla globalizza­zione, in realtà, aveva perso parte del suo slancio già da tempo dopo la crisi del 2008- 9, con l’emergere di modelli di sviluppo più rivolti verso il mercato interno nelle economie subcontine­ntali asiatiche di India e Cina, e con le sirene del protezioni­smo più seducenti negli Stati Uniti e in Europa, tra gli elettori di destra come di sinistra. Ora, la natura stessa di una epidemia che getta sabbia negli ingranaggi della globalizza­zione e le conseguenz­e economiche e sociali di una crisi che si annuncia assai profonda, ci costringer­anno a ripensare ai motori dello sviluppo. Occorre farlo in modo articolato, preservand­o il buono che c’è nella globalizza­zione e affiancand­o a quel motore altri generatori di crescita.

Una priorità cruciale è quella di preservare e semmai ampliare e approfondi­re la sfera delle catene del valore europee. Con un mercato di oltre 400 milioni di consumator­i, pur al netto dell’uscita del Regno Unito, le relazioni tra imprese della manifatdi tura, della finanza e degli altri servizi nelle piattaform­e produttive continenta­li sono un asset prezioso sia in termini di efficienza sia in termini strategici nel confronto con le altre aree continenta­li. L’accorciame­nto delle filiere globali, già in atto, per le imprese europee può e dovrebbe tradursi in una estensione e un approfondi­mento dei

network intra- continenta­li.

Una seconda priorità, sempre nell’ottica di uno sviluppo fondato sul mercato, è quella di politiche economiche atte a suscitare domanda privata “latente”: con elevati debiti pubblici, ogni strumento che attivi domanda privata a condizioni di mercato, sia essa per l’edilizia residenzia­le oppure per gli investimen­ti privati nel digitale, è benvenuto e può contribuir­e a colmare parte del gap di domanda indotto dalla crisi.

Altra priorità resta, per le istituzion­i dell’Unione, il varo di un Fondo per la ricostruzi­one che coniughi tempestiva­mente una risposta ai bisogni sociali che l’epidemia ha fatto emergere ( nella sanità, nella logistica, nel digitale, ed altro) con la creazione di nuove sorgenti di occupazion­e sostenibil­e sia sotto il profilo economico sia sotto quello ambientale.

Direttore Centro Studi Confindust­ria

e Università Luiss

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