Il Gip di Roma ordina lo stop alle edicole digitali pirata
Il giudice, con la Guardia di finanza, spegne 28 siti e otto canali Telegram Per il servizio di messaggistica rischio di lockdown totale
Nelle indagini sulle copie digitali pirata dei quotidiani e della stampa periodica - aperte nelle scorse settimane dalla Procura di Bari e da quella di Milano ipotizzando vari reati - irrompe anche il tribunale di Roma. Il Gip Anna Maria Gavoni ha infatti ordinato agli Isp ( Internet service provider) attivi in Italia di oscurare 28 siti pirata oltre a 8 canali dedicati della piattaforma Telegram.
Le inchieste, come argomenta lo stesso Gip romano nel decreto di sequestro - affidato per l’esecuzione al Nucleo speciale tutela privacy e frodi tecnologiche della Guardia di Finanza - stanno svelando una fitta rete internazionale che provoca danni ingentissimi ai titolari dei diritti di copyright violati ( cioè alle aziende editoriali), danni di una portata tale da rendere evidente il periculum in mora che giustifica il ricorso a provvedimenti cautelari.
L’inchiesta della Gdf ha preso due direzioni: da un lato aggredisce un reticolato globale di domini internet e di service, ai cui gestori - molti ancora schermati o ignoti - contesta la violazione del diritto d’autore a fini di lucro (consistente nella vendita di spazi pubblicitari); il secondo versante dell’indagine è invece specifica sugli otto servizi forniti dalla piattaforma di comunicazioni Telegram, ai cui gestori (allo stato ignoti) viene contestato il solo reato della legge 633/ 1941 - copyright.
Il primo troncone dell’inchiesta è, dal punto di vista tecnico, un dejavu nella decennale guerra agli scrocconi della rete: si apre un sito registrato in un qualsiasi paese ( si va dalla Bulgaria alle Bahamas, da Panama alla Russia, dall’Ucraina all’Olanda, dalla Florida all’Armenia), si utilizza un service basato sempre altrove (Lettonia, Lituania, California, Russia, Danimarca, Olanda, Finlandia, Belize) e da lì attraverso un software (TeleportUltra) l’utente scarica liberamente e senza impegno alcuno tutti i giornali che vuole, e nel frattempo viene profilato e raggiunto dalla pubblicità che arricchisce i pirati (anche questa sottratta ai titolari dei diritti di copyright, cioè ai giornali). Agli Internet service provider raggiunti dal decreto del Gip romano per far cessare questi siti basterà oscurarli, come fanno regolarmente da più di dieci anni.
Molto più difficile sarà invece eseguire la parte relativa agli 8 canali di Telegram che il Gip vuole spegnere. Telegram è infatti una piattaforma che offre una varietà di servizi e dentro cui l’edicola piratata rappresenta una piccola frazione. Tuttavia, non essendo consentito agli Isp il monitoraggio sui flussi delle informazioni del cliente ( possibile tecnicamente ma vietato dalle norme internazionali) l’alternativa è spegnere l’intero servizio Telegram sul territorio nazionale - cioè la famosa chat “cugina” di WhatsAppoppure non dare esecuzione al decreto di sequestro, permettendo così la reiterazione del reato su quegli 8 e sugli eventuali nuovi canali.
I numeri della pirateria dell’edicola digitale, che raggiungerebbe oltre 1 milione di utenti giorno sommando i vari servizi, stanno facendo venire al pettine il nodo del ruolo dell’intermediario digitale ( Telegram, in questa indagine). Se la direttiva europea sul commercio elettronico del 2000 - recepita in Italia 3 anni dopo - predica ancora oggi una “neutralità” che in realtà la tecnologia ha da tempo permesso di superare - il servizio di consegna su a domicilio, anzi su device, dei giornali, pone oggi Telegram nella posizione di una piattaforma di distribuzione. Che però, a differenza dei distributori tradizionali, non paga ciò che prende.