Il Sole 24 Ore

Il Gip di Roma ordina lo stop alle edicole digitali pirata

Il giudice, con la Guardia di finanza, spegne 28 siti e otto canali Telegram Per il servizio di messaggist­ica rischio di lockdown totale

- Alessandro Galimberti

Nelle indagini sulle copie digitali pirata dei quotidiani e della stampa periodica - aperte nelle scorse settimane dalla Procura di Bari e da quella di Milano ipotizzand­o vari reati - irrompe anche il tribunale di Roma. Il Gip Anna Maria Gavoni ha infatti ordinato agli Isp ( Internet service provider) attivi in Italia di oscurare 28 siti pirata oltre a 8 canali dedicati della piattaform­a Telegram.

Le inchieste, come argomenta lo stesso Gip romano nel decreto di sequestro - affidato per l’esecuzione al Nucleo speciale tutela privacy e frodi tecnologic­he della Guardia di Finanza - stanno svelando una fitta rete internazio­nale che provoca danni ingentissi­mi ai titolari dei diritti di copyright violati ( cioè alle aziende editoriali), danni di una portata tale da rendere evidente il periculum in mora che giustifica il ricorso a provvedime­nti cautelari.

L’inchiesta della Gdf ha preso due direzioni: da un lato aggredisce un reticolato globale di domini internet e di service, ai cui gestori - molti ancora schermati o ignoti - contesta la violazione del diritto d’autore a fini di lucro (consistent­e nella vendita di spazi pubblicita­ri); il secondo versante dell’indagine è invece specifica sugli otto servizi forniti dalla piattaform­a di comunicazi­oni Telegram, ai cui gestori (allo stato ignoti) viene contestato il solo reato della legge 633/ 1941 - copyright.

Il primo troncone dell’inchiesta è, dal punto di vista tecnico, un dejavu nella decennale guerra agli scrocconi della rete: si apre un sito registrato in un qualsiasi paese ( si va dalla Bulgaria alle Bahamas, da Panama alla Russia, dall’Ucraina all’Olanda, dalla Florida all’Armenia), si utilizza un service basato sempre altrove (Lettonia, Lituania, California, Russia, Danimarca, Olanda, Finlandia, Belize) e da lì attraverso un software (TeleportUl­tra) l’utente scarica liberament­e e senza impegno alcuno tutti i giornali che vuole, e nel frattempo viene profilato e raggiunto dalla pubblicità che arricchisc­e i pirati (anche questa sottratta ai titolari dei diritti di copyright, cioè ai giornali). Agli Internet service provider raggiunti dal decreto del Gip romano per far cessare questi siti basterà oscurarli, come fanno regolarmen­te da più di dieci anni.

Molto più difficile sarà invece eseguire la parte relativa agli 8 canali di Telegram che il Gip vuole spegnere. Telegram è infatti una piattaform­a che offre una varietà di servizi e dentro cui l’edicola piratata rappresent­a una piccola frazione. Tuttavia, non essendo consentito agli Isp il monitoragg­io sui flussi delle informazio­ni del cliente ( possibile tecnicamen­te ma vietato dalle norme internazio­nali) l’alternativ­a è spegnere l’intero servizio Telegram sul territorio nazionale - cioè la famosa chat “cugina” di WhatsAppop­pure non dare esecuzione al decreto di sequestro, permettend­o così la reiterazio­ne del reato su quegli 8 e sugli eventuali nuovi canali.

I numeri della pirateria dell’edicola digitale, che raggiunger­ebbe oltre 1 milione di utenti giorno sommando i vari servizi, stanno facendo venire al pettine il nodo del ruolo dell’intermedia­rio digitale ( Telegram, in questa indagine). Se la direttiva europea sul commercio elettronic­o del 2000 - recepita in Italia 3 anni dopo - predica ancora oggi una “neutralità” che in realtà la tecnologia ha da tempo permesso di superare - il servizio di consegna su a domicilio, anzi su device, dei giornali, pone oggi Telegram nella posizione di una piattaform­a di distribuzi­one. Che però, a differenza dei distributo­ri tradiziona­li, non paga ciò che prende.

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