Il Sole 24 Ore

Il fondo sovrano norvegese esce dai big del carbone

Addio a Glencore, Anglo American e alla tedesca Rwe Oslo esce anche da Vale Il gruppo italiano è «sotto osservazio­ne»: ha ancora troppe centrali sporche

- Bellomo

Giro di vite della Norvegia sul carbone. Cinque protagonis­ti del settore, tra cui Glencore e AngloAmeri­can, sono stati espulsi dal fondo sovrano di Oslo

Cartellino rosso ai big del carbone, cartellino giallo per l’Enel e altre società che hanno promesso – ma non ancora completato – il phase out. Il fondo sovrano norvegese, il più grande del mondo, con mille miliardi di dollari in gestione, ha alzato la guardia sui temi ambientali, espellendo dal portafogli­o titoli importanti dei settori minerario ed energetico, tra cui Glencore, AngloAmeri­can e Vale.

In tutto le dismission­i annunciate ammontano a 3,3 miliardi di dollari e riguardano anche quattro compagnie petrolifer­e canadesi attive nelle oil sands, bandite da Oslo per il livello «inaccettab­ile» di emissioni di CO2: un motivo di ostracismo che era stato incluso quattro anni fa nel regolament­o del fondo ma che finora non aveva mai colpito nessuno.

Il giro di vite più severo ha comunque riguardato il carbone. I norvegesi hanno ceduto quote di cinque società: oltre a Glencore e ad AngloAmeri­can (che sta cercando di uscire dal settore), anche l’utility tedesca RWE, la danese AGL Energy e il gruppo sudafrican­o Sasol. Altre quattro società sono finite «sotto osservazio­ne», in vista di una possibile espulsione dal fondo: tra i sorvegliat­i speciali c’è un’altra società tedesca, Uniper, il gigante minerario Bhp, la statuniten­se Vistra Energy e per l’appunto Enel, campione delle energie pulite, che però possiede tuttora molte centrali a carbone, in gran parte in Italia.

Il fondo norvegese è uno dei maggiori azionisti del gruppo italiano, con una quota del 2,13% a fine 2019, del valore di 1,7 miliardi di dollari. Oslo potrebbe dismetterl­a in caso di mancato rispetto degli impegni sul phase out, ma il rischio appare remoto.

Enel è incappata nelle nuove regole, molto più restrittiv­e sul carbone, che il Parlamento norvegese ha approvato l’anno scorso e che ora sono state applicate per la prima volta. Il fondo sovrano in precedenza doveva mettere al bando le società con oltre il 30% delle entrate o delle operazioni legate al combustibi­le fossile, mentre ora in blacklist finisce anche chi produce più di 20 milioni di tonnellate l’anno di carbone termico o possiede una capacità di generazion­e a carbone superiore a 10mila MW.

Sono queste nuove soglie assolute ad aver messo Enel nel mirino, appannando la sua nuova immagine ”green”. Il gruppo guidato da Francesco Starace è il primo produttore privato al mondo di energia rinnovabil­e, ha sposato gli Accordi di Parigi sul clima ed è impegnato al phase out totale del carbone. Ma nonostante le numerose dismission­i già effettuate, nel primo trimestre aveva ancora una capacità a carbone installata di 11,7 Gigawatt (benché pari ad appena il 13,6% del totale, a fronte del 50,2% delle fonti pulite).

Enel ricorda che il suo piano industrial­e prevede una discesa a 6,6 GW entro il 2022, che dovrebbe soddisfare Oslo. Inoltre fa notare che solo il 3,5% dei ricavi sono derivati dal carbone nel 2019. Quanto al parco centrali italiano, martedì il gruppo ha chiesto la Valutazion­e di impatto ambientale (Via) per riconverti­re a gas l’impianto di Brindisi, mentre l’iter autorizzat­ivo è già avviato per le centrali di La Spezia, Fusina e Civitavecc­hia. Enel con tutta probablità verrà graziata dal fondo norvegese, le cui strategie spesso vengono seguite anche da altri investitor­i.

Tra le dismission­i appena effettuate – con una certa difficoltà, confessa Oslo, viste le condizioni spesso illiquide del mercato – rientrano anche società estranee al carbone. Tra queste la brasiliana Vale, gigante del ferro espulso per le stragi e i danni ambientali provocati dal crollo di dighe nel 2015 e nel 2019. Per motivi etici sono state cedute anche un’altra società brasiliana, Eletrobras, e l’egiziana ElSewedy Electric. Le «inaccettab­ili» emissioni di CO2 delle sabbie bituminose hanno invece spinto Oslo ad abbandonar­e Imperial Oil (controllat­a da ExxonMobil), Canadian Natural Resources, Cenovus Energy e Suncor Energy. Anche l’Oil & Gas sembrava destinato ad entrare nel mirino del fondo, ma le regole alla fine sono state molto annacquate: gli investimen­ti nelle Major (tra cui Eni, di cui i norvegesi posseggono l’1,5%) per ora sono tutti salvi.

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Per Saipem commessa da 2,7 miliardi di dollari
ANSA Maxi-progetto Maxi- progetto in Nigeria. Per Saipem commessa da 2,7 miliardi di dollari

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