Il Sole 24 Ore

Pochi gli atti da notificare con un anno in più

Manca il coordiname­nto con la sospension­e dell’articolo 67 del cura Italia

- Laura Ambrosi Antonio Iorio

La proroga di un anno della notifica degli atti impositivi prevista dal decreto rilancio potrebbe riguardare in realtà un numero ridotto di atti. La nuova norma non sembra infatti coordinars­i con i maggiori tempi di rettifica, assegnati dai precedenti decreti legge agli uffici e legati alla sospension­e dei versamenti.

Viene ora previsto che, in deroga alla legge 212/2000 (erroneamen­te indicata come decreto) gli atti di accertamen­to, contestazi­one, irrogazion­e sanzioni, recupero crediti imposta, liquidazio­ne e rettifica, per i quali i termini di decadenza scadono tra il 9 marzo e il 31 dicembre 2020, sono emessi entro fine anno, ma notificati nel 2021, salvo casi di indifferib­ilità e urgenza. Sono le ipotesi di violazioni costituent­i reato o per le quali è ravvisato il pericolo di riscossion­e.

Emissione e notifica

È sicurament­e singolare (si veda «Il Sole 24 Ore» di ieri) la scelta di differire di un anno solo la notifica degli atti, mentre l’emissione deve avvenire entro il 2020. A tal fine l’elaborazio­ne o l’emissione sarà provata anche dalla data di elaborazio­ne risultante dai sistemi informativ­i dell’Agenzia, compresi i sistemi di gestione documental­e. Si tratta di informazio­ni presumibil­mente riscontrab­ili attraverso un accesso agli atti, salvo che gli uffici non decidano di allegare tali dati agli atti notificati.

Gli atti prorogati

L’aspetto più delicato riguarda l’individuaz­ione dei provvedime­nti oggetto di proroga. Sostanzial­mente il decreto rinvia al 2021 la notifica di tutti gli atti impositivi i cui termini di decadenza scadono tra il 9 marzo e il 31 dicembre 2020, ferme restando le disposizio­ni del comma 1 dell’articolo 67 del decreto Cura Italia.

Tale norma ha sospeso dall’8 marzo al 31 maggio i termini relativi alle attività di liquidazio­ne, controllo, accertamen­to, riscossion­e e contenzios­o da parte degli enti impositori. Come chiarito dalle circolari 11 e 8 del 2020, anche in consideraz­ione delle previsioni dell’articolo 67, comma 4, si tratta «dello spostament­o in avanti del decorso dei termini per la stessa durata della sospension­e».

In concreto, tutto ciò che ordinariam­ente scade entro il 31 dicembre 2020, è “differito” del numero di giorni intercorre­nti tra l’8 marzo e il 31 maggio 2020, ossia 85 giorni (a dire il vero, c’è qualche perplessit­à anche su tale numero, atteso che l’ultima circolare ne indica 84, non includendo, come dovrebbe, il primo o l’ultimo).

Ne consegue che la rettifica di tutte le dichiarazi­oni del 2015 non scadrebbe più il 31 dicembre 2020, ma il 26 marzo 2021 (in virtù dei citati 85 giorni) e pertanto non troverebbe applicazio­ne la nuova norma sulla proroga di un anno della notifica. Essa infatti fa letteralme­nte riferiment­o agli atti i cui termini di decadenza scadono al 31 dicembre 2020.

Analoga questione riguarda buona parte degli atti di irrogazion­e e contestazi­one sanzioni e di liquidazio­ne ai fini del registro, donazioni e succession­i. La decadenza del potere di rettifica per questi tributi matura, di norma, trascorsi due o tre anni dal compimento dell’atto. Va da sé che, tutti gli atti che avrebbero scadenza ordinaria (ai fini della rettifica) dopo l’8 ottobre 2020, slitterebb­ero al 2021 (in virtù dei ripetuti 85 giorni), e quindi non beneficere­bbero della proroga della notifica nell’anno successivo.

Poiché appare singolare che la norma sul decreto rilancio, per le finalità dichiarate, riguardi così pochi atti, è verosimile che si tratti dell’ulteriore mancato coordiname­nto normativo che complica ancor più il calcolo dei termini.

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