LA PANDEMIA E IL GOVERNO DELLO STATO DI EMERGENZA
Chi si è rivelato più capace di governare la pandemia, i regimi democratici o quelli autoritari? E, tra i regimi democratici, quali sono stati i fattori che hanno fatto la differenza nella risposta alla pandemia? Cominciamo dalla prima domanda. È indubbio che i regimi autoritari (come la Cina) abbiano dimostrato una scarsa efficacia nella prevenzione e gestione dell’emergenza pandemica. Sistemi decisionali verticalizzati impediscono la circolazione delle informazioni, il confronto all’interno del gruppo decisionale, la verifica critica dei risultati prodotti dalle decisioni prese. In Cina, le informazioni sul virus hanno faticato ad arrivare ai decisori. Quando sono arrivate, questi ultimi hanno cercato di nasconderle. Quando non è stato più possibile farlo, era ormai troppo tardi per contrastare la pandemia. A causa dell’auto-referenzialità del regime, le informazioni sulla pandemia hanno tardato ad arrivare ai governanti degli altri Paesi, un ritardo che peraltro l’Organizzazione mondiale della sanità non ha contrastato. Non vi sono evidenze per sostenere (come ha sostenuto Donald Trump) che la Cina abbia deliberatamente creato e diffuso il Covid-19, ma vi sono evidenze per affermare che la Cina non abbia saputo gestire la pandemia per la natura del suo regime decisionale. Eppure, c’è chi vorrebbe imitare quel modello, non solo in Ungheria o in Polonia.
Vediamo la seconda domanda. Perché i regimi democratici hanno risposto in modo diverso alla pandemia?
Perché hanno mostrato di avere differenti capacità governative e leadership istituzionali. È l’uno o l’altro fattore (o una loro combinazione) che può spiegare perché la Germania e la Corea del Sud abbiano meglio risposto alla sfida pandemica rispetto agli Stati Uniti e al Regno Unito (pur agendo quei Paesi all'interno di comuni sistemi di rule of law e accountability elettorale). L’Italia si è collocata a metà strada tra i due gruppi di Paesi, in quanto ha dimostrato di avere capacità governative deboli e leadership istituzionali mediocri. Il nostro sistema di governo non ha potuto disporre di una clausola di supremazia dell’interesse nazionale per ricondurre a coerenza le scelte delle varie unità regionali e locali. Le regioni hanno agito come piccoli stati e i loro governatori come grandi capi, con l’esito di politicizzare il processo decisionale che avrebbe dovuto generare risposte omogenee. Allo stesso tempo, sia l’amministrazione centrale che buona parte delle amministrazioni periferiche hanno dimostrato di non possedere la competenza e la freddezza per affrontare sfide esistenziali. Si pensi ai vari decreti del presidente del Consiglio oppure dei vari ministeri, emessi a ripetizione durante la pandemia, che hanno rappresentato un vero e proprio oltraggio al senso comune, oltre che alla scienza amministrativa, per come erano scritti e strutturati. Un esito inevitabile quando i sistemi di reclutamento delle leadership istituzionali premiano la lealtà piuttosto che il merito.
Come in ogni emergenza, anche la pandemia ha spinto verso la centralizzazione del processo decisionale nei capi degli esecutivi e nei loro staff di supporto. L’emergenza costituisce sempre una sfida alla divisione dei poteri. Tuttavia, le democrazie hanno (o dovrebbero avere) assetti tali da fornire al governo il “potere di operare”, all'interno di meccanismi di controllo e di bilanciamento sull’esercizio di quel “potere di operare”. Se negli Stati Uniti e nel Regno Unito il potere esecutivo non si è rivelato all’altezza della sfida, ciò è stato dovuto all’insufficienza dei loro leader, non già all’inadeguatezza del potere di governo o alla debolezza dei meccanismi di controllo (i rispettivi legislativi hanno adottato modalità inedite pur di continuare ad assolvere il loro ruolo nelle condizioni di emergenza). L’opposto è avvenuto in Germania e Corea del Sud, dove l’efficacia del potere esecutivo si è combinata con l’autorevolezza dei suoi leader. L’Italia è invece giunta impreparata ad affrontare la pandemia, sia per la casualità della sua leadership governativa che per l’indefinitezza del suo potere esecutivo. Il nostro governo ha finito per prendere decisioni sotto l’assillo dell'urgenza, senza una coesione politica interna, per di più in assenza di adeguati controlli del Parlamento (in difficoltà ad operare nelle condizioni dell’emergenza). Non poteva essere diversamente, visto che la politica italiana ha rimosso da tempo il problema del governo, dividendosi tra chi rivendica “pieni poteri” e chi si rifiuta di dare “qualsiasi potere” (a chi va al governo). La bocciatura della riforma costituzionale del 4 dicembre 2016 è l'ulteriore dimostrazione che la convergenza tra “chi vuole tutto” e “chi vuole niente” è sufficiente per ostacolare ogni tentativo per risolvere quel problema.
La debolezza delle capacità di governo contribuisce a spiegare anche l’insufficiente azione dell’Ue di fronte alla pandemia. Seppure l’Ue non possa (e non debba) essere comparata con uno stato (seppure federale), tuttavia essa prende decisioni autoritative che incidono sulla vita di milioni di cittadini europei. La pandemia ha messo in luce la farraginosità del processo che conduce a quelle decisioni. I capi dei governi nazionali hanno il potere di prendere le decisioni per rispondere all’emergenza, decisioni che però non sono riusciti a prendere per via delle divisioni al loro interno. Hanno quindi rinviato le decisioni ai loro ministri finanziari, i quali però si sono dimostrati altrettanto divisi al loro interno. Questi ultimi hanno quindi rinviato le decisioni alla Commissione, la quale però non viene riconosciuta come un potere esecutivo dai governi nazionali, che vogliono tenere per sé quel potere. Un cane che si morde la coda. Un potere esecutivo incerto, con incerti controlli legislativi, non può rispondere a un’emergenza, seppure nei limiti delle sue competenze.
Insomma, la pandemia ha mostrato che i regimi democratici sono stati più efficienti (oltre che più responsabili) di quelli autoritari nel contrastarla. Al loro interno, la differente efficienza dei regimi democratici è stata dovuta sia alle loro capacità governative che all’autorevolezza delle loro leadership istituzionali. Non dovrebbe, l'Italia, imparare qualcosa da questa esperienza?