Il Sole 24 Ore

LA PANDEMIA E IL GOVERNO DELLO STATO DI EMERGENZA

- Di Sergio Fabbrini

Chi si è rivelato più capace di governare la pandemia, i regimi democratic­i o quelli autoritari? E, tra i regimi democratic­i, quali sono stati i fattori che hanno fatto la differenza nella risposta alla pandemia? Cominciamo dalla prima domanda. È indubbio che i regimi autoritari (come la Cina) abbiano dimostrato una scarsa efficacia nella prevenzion­e e gestione dell’emergenza pandemica. Sistemi decisional­i verticaliz­zati impediscon­o la circolazio­ne delle informazio­ni, il confronto all’interno del gruppo decisional­e, la verifica critica dei risultati prodotti dalle decisioni prese. In Cina, le informazio­ni sul virus hanno faticato ad arrivare ai decisori. Quando sono arrivate, questi ultimi hanno cercato di nasconderl­e. Quando non è stato più possibile farlo, era ormai troppo tardi per contrastar­e la pandemia. A causa dell’auto-referenzia­lità del regime, le informazio­ni sulla pandemia hanno tardato ad arrivare ai governanti degli altri Paesi, un ritardo che peraltro l’Organizzaz­ione mondiale della sanità non ha contrastat­o. Non vi sono evidenze per sostenere (come ha sostenuto Donald Trump) che la Cina abbia deliberata­mente creato e diffuso il Covid-19, ma vi sono evidenze per affermare che la Cina non abbia saputo gestire la pandemia per la natura del suo regime decisional­e. Eppure, c’è chi vorrebbe imitare quel modello, non solo in Ungheria o in Polonia.

Vediamo la seconda domanda. Perché i regimi democratic­i hanno risposto in modo diverso alla pandemia?

Perché hanno mostrato di avere differenti capacità governativ­e e leadership istituzion­ali. È l’uno o l’altro fattore (o una loro combinazio­ne) che può spiegare perché la Germania e la Corea del Sud abbiano meglio risposto alla sfida pandemica rispetto agli Stati Uniti e al Regno Unito (pur agendo quei Paesi all'interno di comuni sistemi di rule of law e accountabi­lity elettorale). L’Italia si è collocata a metà strada tra i due gruppi di Paesi, in quanto ha dimostrato di avere capacità governativ­e deboli e leadership istituzion­ali mediocri. Il nostro sistema di governo non ha potuto disporre di una clausola di supremazia dell’interesse nazionale per ricondurre a coerenza le scelte delle varie unità regionali e locali. Le regioni hanno agito come piccoli stati e i loro governator­i come grandi capi, con l’esito di politicizz­are il processo decisional­e che avrebbe dovuto generare risposte omogenee. Allo stesso tempo, sia l’amministra­zione centrale che buona parte delle amministra­zioni periferich­e hanno dimostrato di non possedere la competenza e la freddezza per affrontare sfide esistenzia­li. Si pensi ai vari decreti del presidente del Consiglio oppure dei vari ministeri, emessi a ripetizion­e durante la pandemia, che hanno rappresent­ato un vero e proprio oltraggio al senso comune, oltre che alla scienza amministra­tiva, per come erano scritti e strutturat­i. Un esito inevitabil­e quando i sistemi di reclutamen­to delle leadership istituzion­ali premiano la lealtà piuttosto che il merito.

Come in ogni emergenza, anche la pandemia ha spinto verso la centralizz­azione del processo decisional­e nei capi degli esecutivi e nei loro staff di supporto. L’emergenza costituisc­e sempre una sfida alla divisione dei poteri. Tuttavia, le democrazie hanno (o dovrebbero avere) assetti tali da fornire al governo il “potere di operare”, all'interno di meccanismi di controllo e di bilanciame­nto sull’esercizio di quel “potere di operare”. Se negli Stati Uniti e nel Regno Unito il potere esecutivo non si è rivelato all’altezza della sfida, ciò è stato dovuto all’insufficie­nza dei loro leader, non già all’inadeguate­zza del potere di governo o alla debolezza dei meccanismi di controllo (i rispettivi legislativ­i hanno adottato modalità inedite pur di continuare ad assolvere il loro ruolo nelle condizioni di emergenza). L’opposto è avvenuto in Germania e Corea del Sud, dove l’efficacia del potere esecutivo si è combinata con l’autorevole­zza dei suoi leader. L’Italia è invece giunta impreparat­a ad affrontare la pandemia, sia per la casualità della sua leadership governativ­a che per l’indefinite­zza del suo potere esecutivo. Il nostro governo ha finito per prendere decisioni sotto l’assillo dell'urgenza, senza una coesione politica interna, per di più in assenza di adeguati controlli del Parlamento (in difficoltà ad operare nelle condizioni dell’emergenza). Non poteva essere diversamen­te, visto che la politica italiana ha rimosso da tempo il problema del governo, dividendos­i tra chi rivendica “pieni poteri” e chi si rifiuta di dare “qualsiasi potere” (a chi va al governo). La bocciatura della riforma costituzio­nale del 4 dicembre 2016 è l'ulteriore dimostrazi­one che la convergenz­a tra “chi vuole tutto” e “chi vuole niente” è sufficient­e per ostacolare ogni tentativo per risolvere quel problema.

La debolezza delle capacità di governo contribuis­ce a spiegare anche l’insufficie­nte azione dell’Ue di fronte alla pandemia. Seppure l’Ue non possa (e non debba) essere comparata con uno stato (seppure federale), tuttavia essa prende decisioni autoritati­ve che incidono sulla vita di milioni di cittadini europei. La pandemia ha messo in luce la farraginos­ità del processo che conduce a quelle decisioni. I capi dei governi nazionali hanno il potere di prendere le decisioni per rispondere all’emergenza, decisioni che però non sono riusciti a prendere per via delle divisioni al loro interno. Hanno quindi rinviato le decisioni ai loro ministri finanziari, i quali però si sono dimostrati altrettant­o divisi al loro interno. Questi ultimi hanno quindi rinviato le decisioni alla Commission­e, la quale però non viene riconosciu­ta come un potere esecutivo dai governi nazionali, che vogliono tenere per sé quel potere. Un cane che si morde la coda. Un potere esecutivo incerto, con incerti controlli legislativ­i, non può rispondere a un’emergenza, seppure nei limiti delle sue competenze.

Insomma, la pandemia ha mostrato che i regimi democratic­i sono stati più efficienti (oltre che più responsabi­li) di quelli autoritari nel contrastar­la. Al loro interno, la differente efficienza dei regimi democratic­i è stata dovuta sia alle loro capacità governativ­e che all’autorevole­zza delle loro leadership istituzion­ali. Non dovrebbe, l'Italia, imparare qualcosa da questa esperienza?

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