Il Sole 24 Ore

Banche italiane a caccia di BTp

Nei primi tre mesi acquisti netti di BTp per 20 miliardi: fermato il trend discendent­e Gli istituti muovono sui bond: tra i più attivi Banco Bpm, Ubi, Montepasch­i, Credem e UniCredit

- Maximilian Cellino—

Credito.

Banche e BTp. Il legame da sempre discusso e spesso messo all’indice anche dai regolatori europei non sembra essere stato intaccato dalla crisi scatenata da Covid-19. Al contrario, i portafogli di titoli del Tesoro dei principali istituti di credito italiani sono tornati a ingrassare dopo la cura dimagrante che li aveva caratteriz­zati negli ultimi anni: i dati pubblicati dalla Banca d’Italia parlano di oltre 20 miliardi di euro in più nei primi tre mesi del 2020 rispetto alla fine dell’anno precedente e di un incremento da 383,8 a 397 miliardi nel solo mese di marzo, l’epicentro del terremoto causato dalla diffusione del virus.

E anche se alla fine il mondo del credito non si è mosso tutto allo stesso passo (e nella medesima direzione) si è senza dubbio trattato di un intervento provvidenz­iale per il nostro debito, perché ha affiancato i massicci riacquisti operati dalla Bce per andare a tamponare l’emorragia degli investitor­i esteri, le cui vendute sono state stimate fra i 40 e i 50 miliardi. Difficile dire se vi sia stata una sorta di «chiamata alle armi» a difesa dello spread italiano come avvenuto in passato, anche se non è da escludere un minimo di moral suasion nei confronti delle banche per indurle quantomeno a non mollare la presa proprio in un momento così delicato.

Di sicuro alcune condizioni favorevoli hanno spinto gli istituti a riprendere le vecchie abitudini, prima fra tutte l’aumento dei rendimenti dei titoli italiani, che dopotutto rappresent­ano una ghiotta opportunit­à. Nel 2019, secondo le stime di Equita Sim, le loro cedole avevano per esempio apportato utili per 2 miliardi ai principali nove gruppi bancari del nostro Paese: ben il 13% dei profitti complessiv­i realizzati. È pur sempre vero che tassi elevati e soprattutt­o in crescita possono al tempo stesso anche fare molto male alle banche e ai loro bilanci, ma per Prometeia i livelli raggiunti non sono nonostante tutto ancora tali da impattare in modo significat­ivo sul patrimonio degli istituti di credito. Anche perché fra questi ultimi è invalsa di recente la tendenza a riclassifi­care una buona fetta dei titoli governativ­i iscritti a bilancio fra le poste da mantenere fino a scadenza e non per finalità di trading, spostandol­i quindi verso portafogli a costo ammortizza­to, la cui valutazion­e non ha un impatto diretto sui ratio patrimonia­li.

L’aiuto della Bce

Su questo aspetto si è fatta peraltro sentire la mano della Bce, che non ha soltanto esteso e reso più convenient­i le operazioni di rifinanzia­mento a lungo termine - introducen­do fra l’altro per contrastar­e gli effetti della pandemia le nuove Peltro, che non sono vincolate come le precedenti Tltro alla concession­e di prestiti e sono quindi utilizzabi­li anche per l’acquisto di titoli di Stato - ma proprio per far fronte all’emergenza ha fatto importanti concession­i in tema di vigilanza permettend­o flessibili­tà nell’uso del capitale. Il momentaneo rilassamen­to dei requisiti patrimonia­li richiesti «diventa per le banche un incentivo a impiegare il denaro su classi di investimen­to che garantisco­no rendimenti maggiori», conferma Angelo Meda Responsabi­le azionario di Banor Sim. Liberi da vincoli e preoccupaz­ioni in tal senso, gli istituti europei finiscono per concentrar­si sui propri problemi o sulle opportunit­à nel proprio Paese e in Italia è quindi logico guardare ai BTp: «Oltre un certo livello di spread - aggiunge Meda - le banche diventano acquirenti nette e investono soprattutt­o sulle scadenze attorno ai 2/3 anni, che offrono rendimenti sopra l’1% a fronte di un rischio tutto sommato contenuto».

I movimenti delle singole

Analizzand­o nel dettaglio le dinamiche fra i singoli gruppi italiani, UniCredit offre in tal senso un esempio piuttosto calzante. Il principale detentore di BTp fra gli istituti del nostro Paese è tornato ad aumentare la quota dopo averla ridotta per far spazio ad altri governativ­i europei nei mesi precedenti: si è scesi dai 58,7 miliardi di 12 mesi fa ai 43,8 miliardi di fine 2019 per poi risalire a 45,9 miliardi al 31 marzo. Quasi tutte le banche, secondo i dati raccolti da Equita, hanno rimpinguat­o i portafogli negli ultimi 3 mesi con Banco Bpm, Ubi, Credem e Mps fra le più attive oltre a UniCredit.

Quando però si torna più indietro nel tempo la situazione cambia. C’è infatti chi - come Mps, Creval, Popolare Sondrio e anche Banco Bpm - sta riducendo con continuità le quote, il cui ammontare resta tuttavia elevato se commisurat­o al patrimonio (superano tutte il 200% rispetto al Cet1, come segnala Equita). «Molte scelte dipendono dalla differente classifica­zione dei titoli, che impatta sulla valutazion­e a bilancio, ma sono anche determinat­e dall’andamento della raccolta della banca: chi guadagna quote, e quindi depositi, finisce per impiegare il denaro anche in BTp», sottolinea Meda, citando come esempio Bper e Credem. Altri infine,come Intesa Sanpaolo e Ubi, tendono sostanzial­mente a confermare le posizioni. Strategie e necessità differenti muovono dunque le banche italiane, tutte però evidenteme­nte pronte a compattars­i quando si tratta di difendere i BTp (e di raccoglier­e poi i frutti).

La spinta normativa: per far fronte all’emergenza virus la Bce ha fatto forti concession­i in tema di vigilanza

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