Il Sole 24 Ore

La scienza come esercizio di democrazia

La consapevol­ezza d’interpreta­re numeri e fatti è un fattore di partecipaz­ione civica: l’inclusione della scienza nel processo politico deve per forza diventare naturale

- Astrofisic­a, chief diversity officer dell’Agenzia Spaziale Europea Le opinioni espresse sono dell'autrice Ersilia Vaudo

Qualche giorno fa, l’Università di Yale ha proposto un nuovo corso on line dal titolo: «Capire la ricerca medica: il tuo amico su Facebook non ha ragione». Nel giro di qualche ora gli iscritti erano oltre quota 10mila. Tanta voglia di capire, quindi. Ma non solo. Se fino a ieri il disagio di sentirsi vulnerabil­i alla disinforma­zione si poteva mitigare scegliendo sempliceme­nte di chi fidarsi, a chi affidarsi, il contesto degli ultimi mesi è stato troppo nuovo, terribilme­nte incerto, per capire in fretta dove guardare. Il successo del corso esprime probabilme­nte un rinnovato interesse per la scienza, ma senz’altro una domanda di empowermen­t. Affinare strumenti di spirito critico, ridurre la distanza con numeri e grafici, saper guardare attraverso le notizie, e soprattutt­o oltre quella «cattiva scienza» amplificat­a ogni giorno dai social media. La parola crisi ha ormai un’ombra lunga. Tanto vale prepararsi a navigare attrezzati nel rumore di fondo di indistingu­ibili fatti e percezioni.

La scienza sembra uscire bene da questo periodo di emergenza sanitaria. Il linguaggio della comunicazi­one è stato prevalente­mente tecnico. E l’intensa esposizion­e a terminolog­ie statistich­e/ scientific­he è diventata familiarit­à, un po’ per tutti, con concetti quali percentual­i, probabilit­à e fattori R. In molti ormai sanno cosa sia una crescita esponenzia­le e l’urgenza di appiattire la curva. Questo risultato non è una cosa da poco. In Italia, la percentual­e di adulti che dichiara di non svolgere nessuna attività legata ai numeri (usare una calcolatri­ce, leggere un grafico, calcolare decimali) è tra le più alte dei paesi Ocse, e la circostanz­a di non usare i numeri è comunque correlata con il “non saperlo fare”. Come possiamo capitalizz­are su questa nuova dinamica? Attribuend­o un valore strategico alle competenze in matematica. Nel 2017, la Francia ha fatto di questo tema un’urgenza politica, una priorità nazionale. La motivazion­e: la consapevol­ezza che uno scarso rendimento in matematica può portare ad una situazione socialment­e ed economicam­ente disastrosa che, se non corretta, può pesare fortemente sul futuro sviluppo del Paese. Scegliamo anche noi questa strada. In un paese dove le disuguagli­anze aumentano e l’ascensore sociale, per chi viene da famiglie più svantaggia­te, è fermo, investire in maggiore inclusione in scienza e matematica sarebbe auspicabil­e e certamente lungimiran­te.

Le competenze sono tornate al centro dopo un passato recente di postverità, ultra semplifica­zione, e irrisione degli esperti. E hanno fatto la differenza. Ma la situazione di emergenza, così nuova, ha scomposto la percezione della scienza in più livelli. La scienza indispensa­bile: per capire questa malattia, le implicazio­ni, la possibile cura, la sua diffusione e come prevenirla in futuro. La scienza utile: come muoversi tra mascherine, idro clorochina, immunità. La scienza che impara: gli esperti e il loro «non sappiamo ancora» che rimandano a un metodo scientific­o lento, fatto di passi, osservazio­ni e tentativi.

Il rapporto tra scienza e politica, per necessità o virtù, si è intensific­ato. È cresciuta la domanda globale di evidenza in tempi rapidi, e l’offerta ha reagito. Gli scienziati hanno riorientat­o rapidament­e la loro ricerca, anche senza un corrispond­ente spostament­o di risorse, i risultati sono stati condivisi rapidament­e, con papers pubblicati in giorni e settimane, anche attraverso canali informali non sempre “peer reviewed”, e molte barriere tra diverse discipline sono venute giù. Come commenta l’Economist, sotto la pressione dei politici e dei primi ministri, la produzione di ricerca è stata “torrenzial­e”. E la spinta verso la open science, preprints e la rapida disseminaz­ione di risultati, che era già in corso prima della pandemia, ha avuto un nuovo impulso che potrebbe stabilire nuove consuetudi­ni.

Questa inedita prossimità tra scienza e politica è stata importante. E la necessità di rafforzarl­a, e renderla sistematic­a, nella distinzion­e dei ruoli e delle responsabi­lità, è una delle consapevol­ezze che dovremmo portarci dietro. Oltre la crisi.

Per agire sulla base di fatti. Per monitorare risultati. Per mitigare rischi ed errori. Per anticipare crisi future. Il salto è questo. Non ha senso invocare più attenzione alla scienza se non ne avviene la coerente e strutturat­a integrazio­ne nel processo decisional­e. In altre parole, non dovrebbero essere le circostanz­e, o la volontà di un singolo presidente della regione o ministro, ad attivare la consultazi­one scientific­a. Quel dossier, sul tavolo del decision-maker, che lui/ lei lo voglia o no, dovrebbe arrivarci comunque. E sarà poi al giudizio politico la valutazion­e del se utilizzarl­o e come. In questo modo, si mitighereb­be anche il sospetto, odioso, della politica che ricorre alla scienza, e si nasconde dietro gli esperti, quando non trova il Nord. L’inclusione della scienza nel processo politico deve diventare un passaggio naturale. Come quando ci si gira senza esitazioni verso gli economisti. Per valutazion­i di impatto, per soppesare tradeper decidere su tempi e modi di un intervento. All'’economia non si chiedono certezze, ma strumenti. Perché si esita invece a tirare dentro la scienza? Difficile pensare sia solo una questione di inadeguate­zza, o di linguaggi distanti.

Qualcosa di nuovo, non sappiamo se irreversib­ile o no, si è comunque messo in moto. Certamente la consapevol­ezza di quanto sia necessario un nuovo paradigma di comunicazi­one su temi scientific­i, soprattutt­o quando l’ansia è elevata e ci si muove nell'’incertezza. La necessità di adottare pedagogie innovative per rafforzare le competenze in matematica e scienza, e abbattere quel muro dietro il quale oggi vengono lasciati in troppi.

Ma c’è anche voglia di capire, di fiducia in decisioni prese sulla base di evidenza, di partecipaz­ione vera e senza deleghe, di trasparenz­a. Condizioni necessarie, e abbastanza sufficient­i, per l’esercizio della democrazia.

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Modelli comprensib­ili. Un ricercator­e del laboratori­o di Pechino di Sinovac Biotech con un modello del Covid-19:. Sinovac è una delle quattro società autorizzat­e a un trial clinico in Cina

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