Il Sole 24 Ore

Quell’incertezza dei dati scientific­i

- Luca Scorrano* Francesco Cecconi** Guido Silvestri***

Il 30 aprile è finalmente comparso sul sito Epicentro un primo bollettino su Covid19 stilato dai ricercator­i di Istituto Superiore di Sanità e Fondazione Kessler, seguito il 7 maggio da un secondo. È un segno di fiducia verso la società civile e la comunità scientific­a, in controtend­enza rispetto alla mancata divulgazio­ne dell’irrealisti­co e controvers­o modello previsiona­le di ignota paternità (quello dei 150mila ricoverati in terapia intensiva l’8 giugno, per intenderci), invalidato altrove da stimati colleghi e che ha ispirato la fase 2 del Governo. Le regole della scienza sono semplici: i report scientific­i devono essere precisi, chiari e basarsi su dati messi a disposizio­ne della comunità scientific­a. Altrimenti, la fiducia nelle conclusion­i tratte e nella possibilit­à di utilizzarl­e si riduce. Purtroppo, va sottolinea­to come anche questi due rapporti siano costellati da imprecisio­ni e avventate conclusion­i.

Nel primo rapporto, da una figura all’altra appaiono valori di Rt descritti «su dati al 27 aprile», o riferiti graficamen­te al 27 aprile, diversissi­mi fra loro: si passa da 0,84 a 0,22 in Molise, da 0,52 a 0,19 in Lombardia, da 0.63 a 0.3 nel Lazio, da 0,51 a 0,18 in Veneto. Il secondo rapporto chiarisce la questione. Il 30 aprile, il valore più alto è il “vero” Rt: è calcolato il 27 aprile ma si riferisce al 12 aprile; il 7 maggio, il valore Rt si riferisce al 19 aprile. Gli altri valori sono stimati. Questo è un probelma piuttosto serio: i valori pubblicati e i loro limiti vanno infatti sempre descritti con accuratezz­a. Inoltre, un modello matematico offre una fotografia epidemiolo­gica così vecchia solo se la raccolta dati è inefficace. In particolar­e, una conclusion­e cruciale non sembra valida alla luce dei dati presentati e delle caratteris­tiche della malattia. Si sostiene che il lockdown abbia «avuto un impatto nell'invertire l’andamento delle infezioni» perchè «il picco dei casi per data di inizio sintomi» è «stato raggiunto qualche giorno dopo l’adozione delle misure» di lockdown. In realtà questo picco è tra il 12 e il 13 marzo, due giorni dopo l’inizio del lockdown. Con un intervallo seriale di 5-7 giorni ed altri due giorni dai sintomi all’autoisolam­ento, il picco sarebbe dovuto essere attorno al 18 marzo affinchè queste conclusion­i potessero esser valide. Tutto ciò denota un cortocircu­ito tra scienzati, che dovrebbero essere agnostici rispetto alle misure adottate, e politici.

Sorgono quindi molti dubbi. Perchè vengono divulgati e usati rapporti con Rt “reali” vecchi di 18 giorni? Se così non fosse, quali sono i report realmente usati, e perchè non vengono sottoposti al vaglio della comunità scientific­a in tempo reale, depositand­oli insieme a tutti i dati in un repository pubblico? Perchè non si usa il valore Rt stimato ieri, o una settimana fa? Nel secondo rapporto si stima che già dal 7 maggio il valore Rt sia già 0 in ben 13 regioni. Perchè questi dati previsiona­li apparentem­ente molto solidi non sono stati comunicati prima agli scienziati e poi alla popolazion­e intera? Perchè nel rapporto previsiona­le sulla fase 2, redatto il 27 aprile, si è usato per simulare lo scenario apocalitti­co dei mesi estivi un Rt del 12 aprile, ben 21 giorni prima dell'inizio della fase 2?

I modelli matematici hanno limiti noti, ma l’innegabile vantaggio di fornire previsioni, non fotografie del passato. Altrimenti, diventano foglie di fico per ingiustifi­cate restrizion­i delle libertà costituzio­nali. Non «decidono gli scienziati», come spesso abbiamo sentito in questi giorni: decide il governo, purtroppo -alla luce di quanto abbiamo rilevato-, sulla base di traballant­i report non vagliati dalla comunità scientific­a.

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