Investitori alla cieca: le società non danno stime
In Usa 779 aziende hanno ritirato le previsioni sugli utili, in Ue l’ha fatto il 44%
Da Ibm ad Altria fino ad AT&T e Uber. Sono molte le aziende di Wall Street, ma anche in Europa, che a causa del Covid-19 hanno ritirato le stime sul business. Secondo Intelligize, al 14 maggio scorso erano 779 i gruppi ad avere rinunciato alle previsioni sugli utili del 2020. Una dinamica, a ben vedere, replicata nel Vecchio continente: qui è circa il 44% delle società che ha rimosso le previsioni.
Si tratta di numeri importanti i quali «creano un problema» dice Carlo De Luca, Head of Asset Management di Gamma Capital Markets. «Una mancanza d’informazione - fa da eco Giacomo Calef, country manager di Notz Stucki- che somma incertezza ad incertezza». Certo: anche Warren Buffet ha criticato il “meccanismo” delle stime aziendali. Un sistema che, è l’accusa, focalizza il management sui risultati di breve periodo. Il tutto a scapito del ben più importante sviluppo societario di medio-lungo termine. Ciò detto però, il fenomeno ha una sua rilevanza. Non solo perchè il ritiro delle stime è legato alle previsioni annuali (quindi il rischio di “shortismo” è limitato). Ma anche, e soprattutto, perchè la iper tecnologizzazione dei mercati ha reso questi dati rilevanti. Gli algo trader, ad esempio, inseriscono non di rado le stime aziendali nei loro modelli. Nel momento in cui l’informazione viene meno la loro accuratezza ne risente. Non solo. Ci sono indicatori che, pur venendo criticati, sono usati a piene mani dagli operatori (anche automatici). Un esempio? Il rapporto tra prezzo e utile per azione. Da tempo il “mitico” P/e è oggetto di dubbi rispetto alla sua valenza segnaletica. A Wall Street, tanto per dirne una, sono ancora di moda i miliardari riacquisti di azioni proprie da parte delle aziende. Una strategia che, implicando l’annullamento del titolo ricomprato, consente, a parità di utile consolidato, d’incrementare il profitto per ogni singola azione. Il che a sua volta, riducendo il P/e, fa apparire “per incanto” il titolo meno caro. Di là da simili considerazioni, tuttavia, il rapporto tra prezzo e utili rimane, per l’appunto, un tassello rilevante nelle strategie d’investimento. Insomma: la mancanza delle indicazioni aziendali crea un buco informativo e aumenta l’istabilità dei mercati. In un simile contesto gli operatori cercano di ovviare al problema. «Un’opzione -riprende De Luca -è quella di guardare le linee guida pubblicate dai competitor». Inoltre «può essere d’aiuto analizzare il consensus degli analisti rispetto ai singoli settori». Sennonché, ammette lo stesso De Luca «stimare i profitti di realtà in rapida crescita quali, ad esempio, la robotica o il biotech è difficile».
«A fronte di ciò - precisa Lorenzo Batacchi, socio di Assiom Forex e portfolio manager di Bper Banca- da una parte è utile, conoscendone il track record, fare affidamento sui manager capaci. E, dall’altra, realizzare l’analisi cosiddetta top-down». Cioè: partire dai valori macro per poi, via via, arrivare a selezionare le società più interessanti. Anche in questo caso, però, i problemi non mancano. Uno tra tutti: gli scenari sulla ripresa economica sono tutti differenti tra loro. «In realtà - sottolinea Antonio Cesarano, chief glogal strategist di Intermonte Advisoryin questo momento il mercato compra la liquidità». Vale a dire? «Confortati dalle manovre ultraespansive delle banche centrali, gli investitori acquistano i titoli delle aziende che hanno molto cash. Non si guarda alle prospettive. Bensì si fa shopping di chi adesso ha una posizione finanziaria solida». È rilevante chi è ricco oggi. Ma questa strategia ha un limite. Nasconde il rischio che, se le prospettive saranno meno favorevoli, il mercato possa scivolare.