Leggi e decreti da 40 anni per cambiare marcia alla Pa
Dal fisco alla burocrazia ai cantieri, luci e ombre delle semplificazioni
Semplificare, ridurre gli adempimenti burocratici a beneficio dei cittadini e delle imprese. Non c’è governo negli ultimi quarant’anni che non abbia inserito nei suoi programmi imponenti proposte di riforma della macchina pubblica. Un diluvio di leggi, regolamenti attuativi, norme di raccordo che ora anche il governo Conte promette di attuare per avviare la “Fase3”, quella che dovrebbe consentire al nostro Paese di superare l’emergenza e provare a ripartire.
Il problema è che a dispetto dei reiterati interventi legislativi susseguitisi nei decenni (e sarebbe ingeneroso non riconoscere che alcune novità di rilievo sono state introdotte, ad esempio sul fronte degli adempimenti fiscali), il potere di interdizione della burocrazia è stato appena scalfito. Prevale un istintivo approccio autoconservativo. Le conseguenze di un federalismo zoppo, amplificato dalla pasticciata modifica del Titolo V della Costituzione, hanno reso ancor più fitto il reticolo di norme e regolamenti, attribuzioni e competenze tra Stato e autonomie locali.
In tempi recenti, la prima, vera riforma della pubblica amministrazione, all’insegna (ovviamente) della semplificazione, risale al 1990 (sesto governo Andreotti, ministro della Funzione pubblica Remo Gaspari). Un testo corposo che prende le mosse dalle conclusioni cui era giunta dieci anni prima la Commissione presieduta da Massimo Severo Giannini. Principi sacrosanti, come quello che prevede che i procedimenti amministrativi debbano avere «un inizio e una fine», entro tempi certi da verificare con un «responsabile». E anche l’autocertificazione ha faticato non poco ad affermarsi e la stessa legge 241 del 1990 prova a rendere operative misure già previste dalla legge n.15 del 4 gennaio 1968, varata dal terzo governo Moro in cui l’autocertificazione era già prevista.
Si arriva alle leggi Bassanini del 1997 per ottenere l’applicazione di alcuni principi già presenti nell’ordinamento. Tra questi era (e sarebbe) previsto già dal 1990 che qualora «l’interessato dichiari che fatti, stati e qualità» siano attestati in documenti già in possesso «della stessa amministrazione procedente o di altra pubblica amministrazione», il responsabile del procedimento debba procedere d’ufficio all’acquisizione «dei documenti stessi o di copia di essi». Nel maggio del 2008, vede la luce il “piano industriale” messo a punto dal ministro per la Pubblica amministrazione del quarto governo Berlusconi, Renato Brunetta, parte integrante del disegno di legge in materia di «Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria».
Poi arriva la grande crisi del 20082010 e nel 2012 vede la luce il decreto Semplifica-Italia del governo Monti, che fa seguito al Salva-Italia e al Cresci-Italia. Non è da meno il governo Letta che nel giugno 2013 vara il decreto Fare con più di 80 interventi di semplificazione e di stimolo all’economia. Ci prova il governo Renzi, che introduce nel novembre 2014 una serie di semplificazioni, la più rilevante delle quali è l’avvio della dichiarazione dei redditi precompilata (un indubbio passo in avanti).
La più complessiva riforma dell’amministrazione pubblica, affidata alla legge Madia approvata nell’agosto 2016 (governo Gentiloni) anch’essa all’insegna della semplificazione e della lotta alla burocrazia, segna invece il passo. Semplificazioni fiscali che compaiono anche nell’apposito decreto approvato nel maggio 2019 ad opera del governo Conte 1. Ora si apre un nuovo capitolo, per far fronte all’emergenza e agli effetti nefasti della pandemia. Sarà la volta buona?
I primi tentativi in ordine sparso, la riforma del 90 (Andreotti), le leggi Bassanini del ’97, la riforma Madia 2016