Colao, la relazione al premier bivio per l’uscita anticipata
In assenza di chiarimenti non è escluso un addio prima di metà giugno
Teoricamente, come si legge nel decreto istitutivo del 10 aprile, la task force Colao resta in carica «fino al termine dell’emergenza epidemiologica Covid-19». Ma le ruggini che viaggiano tra Roma e Londra, città mai abbandonata dall’ex Ad Vodafone, sono tali e tante da non far escludere l’addio del super manager dopo la prima settimana di giugno. Ovvero subito dopo la consegna al premier Giuseppe Conte del rapporto del gruppo di lavoro dedicato al rilancio del Paese.
I titoli dei vari capitoli su cui sono al lavoro i sette sottogruppi - lavoro, imprese e politica industriale, infrastrutture e ambiente, riconversione digitale, Pa, famiglia, scuola, Terzo settore - sono stati anticipati da Colao al presidente del Consiglio sabato scorso, nella convulsa giornata che ha preceduto il varo del nuovo Dpcm sulle riaperture di ieri. E la videocall ha provato ancora di più quello che viene definito «il grande gelo» tra i due. Una relazione fredda dall’esordio, visto che come raccontano fonti vicine a entrambi «in realtà il calore non si è mai avvertito». Tante le prove di una marginalizzazione della task force, all’inizio presentata come decisiva per la fase 2 insieme al Comitato tecnico-scientifico e poi subito finita nel calderone insieme a tutte le altre, scavalcata dalle Regioni e non ascoltata dal Governo. Con la beffa di non essere mai stata citata dal premier nelle ultime settimane se non per integrarla affrettatamente con cinque donne, visto che erano soltanto quattro tra i 17 esperti e i due membri di diritto Arcuri e Borrelli. Un’altra mossa che ha inasprito i rapporti. «Chiamerò Colao», aveva replicato Conte davanti alle proteste, lasciando quasi intendere che la responsabilità dello squilibrio nella rappresentanza fosse del manager, quando invece le nomine erano state decise con Dpcm.
Oggi pomeriggio il comitato si riunirà di nuovo, sempre in videoconferenza, per fare il punto sulle 140 audizioni e gli oltre 400 contributi arrivati dal mondo produttivo e finalizzare le attività dei sottogruppi in raccomandazioni concrete per far ripartire l’Italia. Perché l’intenzione è quella di servire sul piatto del Governo, entro il 7 giugno, un vero e proprio piano per la ricostruzione. E la speranza, neanche nascosta, è che non faccia la fine del documento del 21 aprile, quello con cui la task force aveva suggerito all’Esecutivo le linee guida per le prime riaperture. Tutte in gran parte disattese, dal consiglio di tenere ancora al riparo la popolazione ultra60enne alla necessità di raggiungere rapidamente un’uniformità su scala nazionale nella gestione delle informazioni e dei dati, dall’uso estensivo di screening alla rapida adozione della app per il tracciamento.
Sarà dunque la presentazione a Conte del piano la deadline per decidere il destino della task force e dell’incarico a Colao. Perché non è neanche escluso che il comitato possa sopravvivere, con un cambio al timone.