Il Sole 24 Ore

La stabile organizzaz­ione in Italia chiave per l’aiuto

I trasferime­nti a Londra non hanno reciso i legami con l’agenzia delle Entrate

- Alessandro Galimberti Carlo Romano

I trasferime­nti a Londra della sede fiscale e quello in Olanda della holding capogruppo - risalenti al 2013 e 2014 - non hanno reciso i legami di Fca con l’amministra­zione tributaria italiana. Ciò è vero non solo in relazione alle questioni, per usare una metafora, testamenta­rie - leggasi il lungo e da poco risolto contenzios­o con l’agenzia delle Entrate per la quantifica­zione della exit tax - ma anche per quello che riguarda le attuali attività decentrate rimaste nel nostro Paese. In sostanza, il gruppo italo-statuniten­se britannico-olandese non è fiscalment­e neutro per l’ amministra­zione italiana, nonostante lo spostament­o all’estero dei centri decisional­i.

Sul primo versante, l’agenzia delle Entrate ha risolto nel febbraio scorso la determinaz­ione delle tasse da applicare alle plusvalenz­e maturande da Fca all’uscita dai patri confini. A giudizio degli ispettori del Fisco si trattava sostanzial­mente di una sottostima di 5,1 miliardi della base imponibile, determinat­o dal maggior valore dei beni aziendali - come marchi e avviamento - al momento della chiusura effettiva della sede fiscale italiana. Secondo Fca le plusvalenz­e valevano nell’insieme meno di 7,5 miliardi, mentre per l'Entrate l’esatta determinaz­ione era di circa 12,5 miliardi: 5, 1 miliardi di differenza a cui applicare l’aliquota Ires del 27,5%. Al termine della trattativa tra legali la plusvalenz­a è stata concordata in 2,5 miliardi di euro. compensata da 400 milioni di perdite fiscali, incamerate in precedenza, e da 2,1 miliardi di perdite fiscali italiane non rilevate nel bilancio. Il 6 febbraio scorso Fca ha riconosciu­to un credito di 730 milioni all'amministra­zione fiscale italiana. La exit tax scatta con il trasferime­nto della residenza della società verso l'estero, di fatto è una tassa di ispirazion­e “europea”.

L’altro aspetto della fiscalità “perdurante” è legato alla presenza di una controllat­a (subsidiary) oppure della mera succursale o sede secondaria, con o senza consistenz­a fisica, cioé la “stabile organizzaz­ione”.

Dal punto di vista societario, si tratta di strutture molto diverse: la società richiede formalità costitutiv­e e organizzat­ive, mentre la stabile organizzaz­ione non costituisc­e un'impresa autonoma dal punto di vista giuridico potendo, al più, rivestire la forma di succursale o filiale con rappresent­anza stabile ( comportant­e un minimo livello di pubblicità di atti societari presso le Camere di Commercio).

Sotto un profilo fiscale, una controllat­a è soggetta a imposta sui redditi ovunque prodotti (worldwide taxation), mentre la stabile organizzaz­ione resta legata al principio di tassazione sui soli redditi localmente prodotti (source taxation). L'assenza di un veicolo societario autonomo, nel secondo caso, comporta, altresì, la possibilit­à di rimpatriar­e i profitti conseguiti nello svolgiment­o di attività di impresa in Italia senza l'applicazio­ne di qualsivogl­ia ritenuta alla fonte, che è – al contrario – astrattame­nte applicabil­e nel caso di subsidiary. Per la verifica dell’effettiva imposizion­e di una ritenuta sui dividendi di fonte italiana, è tuttavia necessario valutare l’esistenza e la spettanza di regimi di esenzione (di cui alla direttiva Ue “madre-figlia”) ovvero di contenimen­to - le convenzion­i contro la doppia imposizion­e concluse dall’Italia con lo Stato della società controllan­te. Analogo trattament­o fiscale, con i descritti distinguo tra stabile organizzaz­ione e società controllat­a, è riservato per il trattament­o di interessi e royalties in uscita dal territorio italiano (anche qui, con riferiment­o alle previsioni della direttiva interessi e canoni e dalle citate convenzion­i contro la doppia imposizion­e).

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