La stabile organizzazione in Italia chiave per l’aiuto
I trasferimenti a Londra non hanno reciso i legami con l’agenzia delle Entrate
I trasferimenti a Londra della sede fiscale e quello in Olanda della holding capogruppo - risalenti al 2013 e 2014 - non hanno reciso i legami di Fca con l’amministrazione tributaria italiana. Ciò è vero non solo in relazione alle questioni, per usare una metafora, testamentarie - leggasi il lungo e da poco risolto contenzioso con l’agenzia delle Entrate per la quantificazione della exit tax - ma anche per quello che riguarda le attuali attività decentrate rimaste nel nostro Paese. In sostanza, il gruppo italo-statunitense britannico-olandese non è fiscalmente neutro per l’ amministrazione italiana, nonostante lo spostamento all’estero dei centri decisionali.
Sul primo versante, l’agenzia delle Entrate ha risolto nel febbraio scorso la determinazione delle tasse da applicare alle plusvalenze maturande da Fca all’uscita dai patri confini. A giudizio degli ispettori del Fisco si trattava sostanzialmente di una sottostima di 5,1 miliardi della base imponibile, determinato dal maggior valore dei beni aziendali - come marchi e avviamento - al momento della chiusura effettiva della sede fiscale italiana. Secondo Fca le plusvalenze valevano nell’insieme meno di 7,5 miliardi, mentre per l'Entrate l’esatta determinazione era di circa 12,5 miliardi: 5, 1 miliardi di differenza a cui applicare l’aliquota Ires del 27,5%. Al termine della trattativa tra legali la plusvalenza è stata concordata in 2,5 miliardi di euro. compensata da 400 milioni di perdite fiscali, incamerate in precedenza, e da 2,1 miliardi di perdite fiscali italiane non rilevate nel bilancio. Il 6 febbraio scorso Fca ha riconosciuto un credito di 730 milioni all'amministrazione fiscale italiana. La exit tax scatta con il trasferimento della residenza della società verso l'estero, di fatto è una tassa di ispirazione “europea”.
L’altro aspetto della fiscalità “perdurante” è legato alla presenza di una controllata (subsidiary) oppure della mera succursale o sede secondaria, con o senza consistenza fisica, cioé la “stabile organizzazione”.
Dal punto di vista societario, si tratta di strutture molto diverse: la società richiede formalità costitutive e organizzative, mentre la stabile organizzazione non costituisce un'impresa autonoma dal punto di vista giuridico potendo, al più, rivestire la forma di succursale o filiale con rappresentanza stabile ( comportante un minimo livello di pubblicità di atti societari presso le Camere di Commercio).
Sotto un profilo fiscale, una controllata è soggetta a imposta sui redditi ovunque prodotti (worldwide taxation), mentre la stabile organizzazione resta legata al principio di tassazione sui soli redditi localmente prodotti (source taxation). L'assenza di un veicolo societario autonomo, nel secondo caso, comporta, altresì, la possibilità di rimpatriare i profitti conseguiti nello svolgimento di attività di impresa in Italia senza l'applicazione di qualsivoglia ritenuta alla fonte, che è – al contrario – astrattamente applicabile nel caso di subsidiary. Per la verifica dell’effettiva imposizione di una ritenuta sui dividendi di fonte italiana, è tuttavia necessario valutare l’esistenza e la spettanza di regimi di esenzione (di cui alla direttiva Ue “madre-figlia”) ovvero di contenimento - le convenzioni contro la doppia imposizione concluse dall’Italia con lo Stato della società controllante. Analogo trattamento fiscale, con i descritti distinguo tra stabile organizzazione e società controllata, è riservato per il trattamento di interessi e royalties in uscita dal territorio italiano (anche qui, con riferimento alle previsioni della direttiva interessi e canoni e dalle citate convenzioni contro la doppia imposizione).