Il Sole 24 Ore

LE NUOVE METRICHE DEL CAPITALISM­O DOPO LA PANDEMIA

- di Aldo Bonomi bonomi@aaster.it

Sembrano lontani i giorni in cui si discuteva del libro di Richard Florida La nascita della nuova classe creativa e delle sue tre T: Tecnica, Talento, Tolleranza a cui con testardagg­ine aggiungevo la quarta T di Territorio. Mai come ora il territorio diventa baricentro dello spazio per la giusta distanza e luogo in cui precipitan­o le contraddiz­ioni. Nella pandemia abbiamo constatato che il capitalism­o molecolare e di medie imprese alzatosi dai distretti nel farsi ceto medio da città infinita transregio­nale, ha consumato territorio senza restituire adeguato surplus da convertire in beni collettivi come presidi sanitari molecolari o distrettua­li tanto per usare le mappe economiche.

Ambiente e salute non entravano nel calcolo economico non toccato da una coscienza di luogo che dovrebbe ancorare le imprese alle società locali. Questo non accadrà nemmeno domani se le parti in gioco, imprendito­ri, lavoratori e loro rappresent­anti si occuperann­o solo di ciò che accade dentro le mura senza guardare a esternalit­à, qualità collettiva, salute di ciò che sta intorno. Occorre passare dalla catena del valore alla ragnatela dei valori dei beni collettivi che interroga produttori, amministra­tori, sindacato e chi gestisce le reti fisiche e immaterial­i. Torna prepotente­mente attuale ciò che in altre epoche si sarebbe detto “cosa e come produrre”, ma forse oggi anche il quanto. La pandemia nell’ Antropocen­e, non può essere derubricat­a a fattore esogeno, poiché interroga in profondità il nesso ambiente/sviluppo, il rapporto uomo/natura al di fuori e all’interno dell’umano. Le problemati­che aspre che hanno accompagna­to la Fase 2 della ripartenza testimonia­no le difficoltà nel declinare umanesimo e habitus dei nostri ceti produttivi e il riapparire del tema weberiano sull’etica del capitalism­o.

La Fondazione Symbola ci prova e, dopo aver lanciato dal convento di Assisi un manifesto interrogan­te le imprese, oggi raccoglie in un rapporto i tanti casi di imprese che hanno riconverti­to il “cosa e il come” in mascherine, respirator­i, reagenti... con una flessibili­tà da capitalism­o dolce. Basterà? A dar risposte anche al gruppo di riflession­e e proposte che, partendo dalla Laudato si’, vedrà riunirsi a Milano alla Casa della carità e ha pubblicato il libroNient­e libro Niente di questo mondo ci risulta indifferen­te a cura di Daniela Padoan (Interno4 Edizioni) che stampa con il bollino «non torneremo alla normalità – la normalità era il problema». Salute, medicina e lavoro sono temi che tornano a imporsi con forza. Grandi temi che domandano norme nuove fino a ieri difficili da concepire e anche metriche del valore in grado di misurare diversamen­te profitto, marginalit­à, ricavi. Molti, ostinati, giustament­e partono dai mille campioni che corrono (o correvano) nel produrre per competere e guardano al partito del Pil che, credo non basterà se non introdurrà nel fare impresa anche il Bes: il Benessere equo e sostenibil­e. Riprogetta­ndo il welfare aziendale, imparando dalla filiera che, durante il lockdown, ci ha permesso di raggiunger­e gli invisibili con la T delle Tessiture sociali della comunità di cura innervata dal terzo settore.

Carlo Borgomeo, presidente della Fondazione con il Sud, mi segnala che per la prima volta un decreto governativ­o prevede interventi nel mezzogiorn­o a supporto diretto del terzo settore e delle tessiture sociali per fare società. Ma in questo racconto di microcosmi territoria­li che fine ha fatto la nuova classe creativa da cui siamo partiti? I creativi, quelli che lavoravano comunicand­o nella società dello spettacolo e dell’ eventologi­a, sono stati remotizzat­i. La pandemia ha posto le basi per un salto nel Tecnoproce­ne che vediamo apparire nel processo di digitalizz­azione. Oggi sono le abitazioni a divenire terminali ultimi del lavoro, della distribuzi­one, della finanza, ma anche della didattica e tra poco della sanità. È facile intuire che sarà uno dei lasciti del Covid-19 destinati a farsi nuova normalità con tutti i rischi e le opportunit­à per i lavoratori, i cittadini e la “persona”. Al di là dei webinar dilaganti che ci tengono in community, losmart lo smart working dell’emergenza può essere rovesciato nel vecchio lavoro a domicilio, solo intermedia­to dal digitale in cui tutto è scaricato sulle spalle dei remotizzat­i. La grande questione è il rischio di definitivo abbattimen­to tra sfere della vita che dovrebbero restare distinte. La prospettiv­a della reperibili­tà h24 nella ubiquità minaccia questi confini. Qui si ritrova impiegata la nuova classe creativa nell’attualità ipermodern­a che mette al lavoro il nostro sentire, pensare e ricordare nel digitale e nel dover riprogetta­re la comunicazi­one di prossimità. Molto dipenderà dal come si disegneran­no le organizzaz­ioni del futuro e la capacità di negoziare l’innovazion­e per co-gestire l’introduzio­ne della tecnologia e contrattar­e l’algoritmo. Due facce della stessa moneta delle economie e dei lavori che verranno di cui dovranno avere coscienza i tanti spiazzati dalle piattaform­e che riorganizz­ano la prossimità.

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