Con la pandemia aumenta la distanza tra Stati Uniti e Cina
Il calo di scambi commerciali e investimenti riduce l’interdipendenza tra i due Paesi. E Pechino punta su altri mercati
Competizione tecnologica, guerra dei dazi e ora la pandemia stanno indebolendo i legami economici tra Stati Uniti e Cina: negli investimenti diretti, negli scambi commerciali e nelle catene del valore. Sulla fragile tregua commerciale siglata a gennaio pesano le tensioni innescate dal coronavirus e la campagna per le presidenziali Usa. Repubblicani e Democratici stanno elaborando proposte per spingere le società americane ad abbandonare la Cina, in cambio di agevolazioni.
Si accentua così il decoupling, il disaccoppiamento, tra i due giganti. Un fenomeno lento, ma dalle conseguenze potenzialmente destabilizzanti, dato che indebolisce i freni inibitori necessari a trattenere entro livelli di guardia la rivalità tra le due superpotenze, ideologicamente agli antipodi. Come fa notare su Foreign Policy Robert Zoellick, ex presidente della Banca mondiale, «rompere i legami economici porterà a un maggiore attrito » .
La discontinuità pandemica
«All’origine di tutto, c’è la competizione per la leadership del pianeta, con gli Stati Uniti che si sentono sfidati come mai prima, soprattutto sul campo tecnologico», spiega Giuliano Noci, vice rettore per la Cina del Politecnico di Milano. Su questo si è innestato lo scontro sul commercio, «dove però le due superpotenze sono troppo interdipendenti per rompere veramente». Poi, continua Noci, è arrivato il Covid, «che negli Usa introduce una discontinuità, con il balzo della disoccupazione, che porta il presidente Trump alla retorica del nemico esterno, la soluzione più agevole » .
Altro effetto del Covid: spingere gli Usa (e non solo) a riportare in casa la produzione di farmaci e dispositivi medicali, di cui la Cina è grande esportatrice.
Pechino frena gli investimenti
Secondo un rapporto della società di ricerca Rhodium Group e del Comitato nazionale sulle relazioni Stati Uniti- Cina, il valore degli annunci di investimenti diretti cinesi negli Usa è precipitato a 200 milioni di dollari nel primo trimestre di quest’anno, rispetto a una media di 2 miliardi al trimestre nel 2019, quando già erano ai minimi dal 2009. Nel 2016 e 2017, gli anni del boom, immediatamente precedenti all’inizio della guerra commerciale, la media era di 8 miliardi. Nell’intero 2019, passando dall’annuncio dei progetti d’investimento alle operazioni effettuate, il flusso dalla Cina agli Usa si è fermato a 5 miliardi, dai 5,4 del 2018. Erano 45 nel 2016.
È soprattutto la Cina ad allontanarsi (o a essere respinta) dagli Stati Uniti. Nella direzione inversa, il flusso degli investimenti diretti non si è inaridito. Gli annunci Usa nel primo trimestre sono a quota 2,3 miliardi di dollari, in linea con una media di 2,8 miliardi a trimestre del 2019. Nell’intero 2019, gli investimenti effettuati in Cina da gruppi Usa hanno raggiunto quota 14 miliardi, in crescita dai 13 del 2018 (pesa lo stabilimento Tesla a Shanghai). Secondo un report diffuso ad aprile dalla Camera di commercio americana in Cina, la maggioranza dei gruppi Usa nel Paese non ha intenzione di spostare gli impianti.
Spiega Noci: « Le catene dei fornitori si sono in parte disarticolate, ma sono talmente integrate che spezzarle è molto difficile. Anche perché l’Asia resta un mercato irrinunciabile». Un esempio: Apple sta chiedendo a uno dei suoi fornitori cinesi (Luxshare-Ict) di aumentare la produzione, per avere un’alternativa alla taiwanese Foxxconn.
Cina e Usa «sono ancora lontani