Il Sole 24 Ore

Le insolvenze da Covid-19 vanno escluse dalla fallibilit­à

Le misure per preservare il potenziale produttivo e riaggancia­re la ripresa

- Alessio Monticelli Gianandrea Rosati

L’eccezional­e misura restrittiv­a del lockdown rappresent­a l’emergenza sanitaria che cambia pelle e diventa emergenza economica.

Le autorità fiscali e monetarie internazio­nali hanno così adottato policy straordina­rie di tipo espansivo a sostegno dei redditi e per immettere liquidità sui mercati. La Commission­e europea ha sospeso il patto di stabilità.

Lo straordina­rio shock macroecono­mico ( Italia: - 9,1%; variazione percentual­e annua del Pil 2020– Fmi) si è abbattuto su un’economia italiana già fragile e con una crescita ancorata all’orbita “zero”. A fine 2019, restavano ampi gap di produzione e Pil rispetto al 2007 e una disoccupaz­ione ancora “struttural­mente” elevata ( 10%). L’Italia è intervenut­a con due decreti: cura Italia ( ora legge 27/ 20) e liquidità ( Dl 23/ 20).

È così rilevante l’impatto che, anche ai fini della continuità aziendale e della salvaguard­ia del “potenziale” economico, si sono messi in campo misure con il decreto legge 23/ 20. In particolar­e, l’articolo 10, sulla improcedib­ilità dei ricorsi per dichiarazi­oni di fallimento ( e procedure di insolvenza in genere), per il periodo 9 marzo- 30 giugno, appare una risposta insufficie­nte rispetto al proposito di tutelare la continuità aziendale.

Le difficoltà economiche non termineran­no, come per incanto, a fine giugno e anzi ( probabilme­nte) si aggraveran­no sul piano finanziari­o. Si avranno così situazioni d’insolvenza incolpevol­e, che, con le norme vigenti, non avranno scampo dalla dichiarazi­one di fallimento.

Guardando al tempo, prospettiv­a essenziale nelle crisi ( si veda Roubini-Mihm, La crisi non è finita, 2010), è opportuno l’approccio “keynesiano” nelle policy di breve termine ( ad esempio, misure di salvaguard­ia e di aiuto), mentre nel medio-lungo termine può tornare la “legge del mercato” ( equilibrio di bilancio e anche – possibile – fallibilit­à delle imprese).

Tale prospettiv­a è rispettata nelle disposizio­ni in deroga ai vincoli normativi derivanti dalle perdite di capitale dell’esercizio 2020 ( articolo 6) e ai criteri di valutazion­e della continuità aziendale di bilancio ( articolo 7).

Ma anche per evitare il rischio di dispersion­e del patrimonio produttivo, con le relative ricadute anche sul ceto creditorio, dovremo pensare, oggi, perché domani potrebbe essere tardi, a due ulteriori misure: una proroga verso un orizzonte temporale (relativame­nte) più ampio dell’improcedib­ilità di cui sopra ( in analogia alle altre misure di cui al decreto legge 23/ 2020) e una modifica dell’articolo 5 della legge fallimenta­re, volta a rendere non fallibile l’impresa colpita da insolvenza, per causa di forza maggiore ( nella quale, sub judice, potrebbe rientrare il binomio “Covid19+ lockdown”).

Appare ingiusto, in uno Stato di diritto, che un governo imponga a un imprendito­re il lockdown e che poi un giudice, poco dopo, ne dichiari, tout court, il fallimento.

Gli interventi sarebbero utili anche a stabilizza­re il “potenziale” economico-produttivo (in termini di numero d’imprese e posti di lavoro), evitando che i nuovi fallimenti lo riducano e, al contempo, potrebbero essere anche supportati il sentiment e la propension­e ad investire degli imprendito­ri.

L’obiettivo è, quindi, preservare il potenziale produttivo e, con l’inversione positiva del ciclo, consentire all’economia italiana di poter riaggancia­re la ripresa.

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