Le insolvenze da Covid-19 vanno escluse dalla fallibilità
Le misure per preservare il potenziale produttivo e riagganciare la ripresa
L’eccezionale misura restrittiva del lockdown rappresenta l’emergenza sanitaria che cambia pelle e diventa emergenza economica.
Le autorità fiscali e monetarie internazionali hanno così adottato policy straordinarie di tipo espansivo a sostegno dei redditi e per immettere liquidità sui mercati. La Commissione europea ha sospeso il patto di stabilità.
Lo straordinario shock macroeconomico ( Italia: - 9,1%; variazione percentuale annua del Pil 2020– Fmi) si è abbattuto su un’economia italiana già fragile e con una crescita ancorata all’orbita “zero”. A fine 2019, restavano ampi gap di produzione e Pil rispetto al 2007 e una disoccupazione ancora “strutturalmente” elevata ( 10%). L’Italia è intervenuta con due decreti: cura Italia ( ora legge 27/ 20) e liquidità ( Dl 23/ 20).
È così rilevante l’impatto che, anche ai fini della continuità aziendale e della salvaguardia del “potenziale” economico, si sono messi in campo misure con il decreto legge 23/ 20. In particolare, l’articolo 10, sulla improcedibilità dei ricorsi per dichiarazioni di fallimento ( e procedure di insolvenza in genere), per il periodo 9 marzo- 30 giugno, appare una risposta insufficiente rispetto al proposito di tutelare la continuità aziendale.
Le difficoltà economiche non termineranno, come per incanto, a fine giugno e anzi ( probabilmente) si aggraveranno sul piano finanziario. Si avranno così situazioni d’insolvenza incolpevole, che, con le norme vigenti, non avranno scampo dalla dichiarazione di fallimento.
Guardando al tempo, prospettiva essenziale nelle crisi ( si veda Roubini-Mihm, La crisi non è finita, 2010), è opportuno l’approccio “keynesiano” nelle policy di breve termine ( ad esempio, misure di salvaguardia e di aiuto), mentre nel medio-lungo termine può tornare la “legge del mercato” ( equilibrio di bilancio e anche – possibile – fallibilità delle imprese).
Tale prospettiva è rispettata nelle disposizioni in deroga ai vincoli normativi derivanti dalle perdite di capitale dell’esercizio 2020 ( articolo 6) e ai criteri di valutazione della continuità aziendale di bilancio ( articolo 7).
Ma anche per evitare il rischio di dispersione del patrimonio produttivo, con le relative ricadute anche sul ceto creditorio, dovremo pensare, oggi, perché domani potrebbe essere tardi, a due ulteriori misure: una proroga verso un orizzonte temporale (relativamente) più ampio dell’improcedibilità di cui sopra ( in analogia alle altre misure di cui al decreto legge 23/ 2020) e una modifica dell’articolo 5 della legge fallimentare, volta a rendere non fallibile l’impresa colpita da insolvenza, per causa di forza maggiore ( nella quale, sub judice, potrebbe rientrare il binomio “Covid19+ lockdown”).
Appare ingiusto, in uno Stato di diritto, che un governo imponga a un imprenditore il lockdown e che poi un giudice, poco dopo, ne dichiari, tout court, il fallimento.
Gli interventi sarebbero utili anche a stabilizzare il “potenziale” economico-produttivo (in termini di numero d’imprese e posti di lavoro), evitando che i nuovi fallimenti lo riducano e, al contempo, potrebbero essere anche supportati il sentiment e la propensione ad investire degli imprenditori.
L’obiettivo è, quindi, preservare il potenziale produttivo e, con l’inversione positiva del ciclo, consentire all’economia italiana di poter riagganciare la ripresa.