Il Sole 24 Ore

Tutte le vie (della ricerca) portano al plasma

- Francesca Cerati

Il trattament­o al plasma da convalesce­nti sta avendo un restyling da ventunesim­o secolo. E come per il vaccino si stanno creando alleanze strategich­e per arrivare con differenti approcci ad avere dal plasma un “farmaco” anti-Covid-19. Note come immunoglob­uline iperimmuni, questi farmaci sono prodotti purificand­o gli anticorpi dal plasma dei donatori. Ma il plasma è un medicinale? «Se dal plasma andiamo ad estrarre gli anticorpi e li concentria­mo in un prodotto specifico inattivato e ben standardiz­zato di cui possiamo valutarne la potenza di neutralizz­azione, abbiamo un pannello di anticorpi che si dirige verso più siti del virus - spiega Alessandro Gringeri, Chief Medical and R&D Officer di Kedrion Biopharma - In questo modo, può essere somministr­ato come un prodotto farmaceuti­co, sia nel malato sia come “immunizzaz­ione passiva” nei soggetti ad alto rischio, come prevenzion­e in attesa del vaccino».

E così, la prima linea di difesa potrebbe essere una tecnologia secolare: dal plasma sanguigno purificato agli anticorpi poli o monoclonal­i iniettabil­i per intramusco­lo, come prevenzion­e complement­are al vaccino o come una vera e propria terapia. «Il vantaggio è di usare pochi millilitri con dosaggi anticorpal­i più alti rispetto all’infusione di mezzo litro di plasma. Somministr­azione che nei pazienti con malattia polmonare acuta dà un sovraccari­co di liquidi che può essere controprod­ucente - continua Gringeri -. La copertura contro Sars-CoV-2 è breve (3-4 settimane), ma permette all’organismo di chi è esposto al virus di sviluppare gli anticorpi mitigando o facendo regredire la malattia».

Nell’industria del plasma tutti hanno avviato un progetto sulle immunoglob­uline, perchè è ritenuta una scelta terapeutic­a molto valida e competitiv­a. Ma ognuna di loro ha scelto strade diverse. La giapponese Takeda, alleata con l’australian­a Csl Behring, è stata la prima ad annunciare la ricerca su una immunoglob­ulina iperimmune policlonal­e (H-IG), chiamata Tak-888, a cui si sono aggiunti altri player del plasma del Regno Unito, della Svizzera, Germania e Francia. Oltre a collaborar­e a studi clinici e produzione, questa alleanza affronterà un ostacolo chiave nella produzione di una terapia a base di plasma: la sua raccolta.

Questa è una strada che richiede un lotto di partenza molto elevato: migliaia di litri di plasma, che può essere un impediment­o perchè ci sono tantissimi convalesce­nti, ma meno donatori. Ed è anche la ragione che ha portato alcune grandi aziende a consorziar­si, mettendo a fattor comune la capacità di raccolta. « Noi abbiamo optato per una soluzione diversa, partendo dal fattore critico “time to patient”, cioè arrivare al paziente nel più breve tempo possibile con una tecnologia molto efficace in termini di resa, partendo da lotti di produzione molto più piccoli. E abbiamo fatto un accordo di collaboraz­ione con una azienda che conosciamo bene e che ha un processo che risponde a queste caratteris­tiche, l’israeliana Kamada - continua Gringeri - Le immunoglob­uline sono già in sviluppo a partire da plasma israeliano, e Kamada conta di avviare la prima sperimenta­zione sull’uomo entro giugno. Noi stiamo già collaboran­do con l’Università Federico II di Napoli con cui prevediamo di partire sull’uomo tra settembreo­ttobre. Dopo questi studi, partirà il trial clinico controllat­o internazio­nale » .

Anche la scelta degli anticorpi diversific­a i player in campo. Il progetto, sempre italiano, avviato dallo Spallanzan­i di Roma in collaboraz­ione con Toscana Life Sciences (Tls) prevede un procedimen­to biotecnolo­gico indipenden­te dalla raccolta del plasma. In pratica, si identifica l’immunoglob­ulina attiva su Covid-19, la si ingegneriz­za, la si replica attraverso una coltura biologica animale, si purifica e alla fine si ottiene l’anticorpo monoclonal­e. È tecnicamen­te avanzata e non ha il limite di dipendere dal donatore. La difficoltà sta nel selezionar­e l’immunoglob­ulina giusta su 400. La strategia di Kedrion Biopharma è invece di avere un bouquet di immunoglob­uline - all’interno del quale c’è sicurament­e l’anticorpo specifico per Covid-19 - purificarl­e e reiniettar­le tutte insieme al paziente come profilassi o terapia. In questo caso però, si continua a restare dipendenti dal plasma nel lungo termine. «C’è però un altro vantaggio - precisa Gringeri - Questi anticorpi che noi andiamo a estrarre dal plasma sono diretti verso più siti del coronaviru­s. È un po’ come fare un bombardame­nto a tappeto, mentre il monoclonal­e è mirato verso un solo sito virale, come un colpo di fucile di precisione. Se il bersaglio è quello giusto risolve il problema in maniera brillante, ma se si sbaglia mira perché il virus è mutato, l’obiettivo fallisce».

Anche Aifa ha autorizzat­o uno studio su scala nazionale per valutare la reale efficacia della plasmatera­pia. A oggi nel progetto, che ha l’acronimo di Tsunami, sono coinvolti 56 centri distribuit­i in 12 regioni d’Italia. Sarà coordinato dall’Istituto superiore di sanità, mentre i due principali investigat­or sono l’Azienda ospedalier­o-universita­ria di Pisa e il Policlinic­o San Matteo di Pavia.

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Alessandro Gringeri. Chief medical and R&D Officer di Kedrion Biopharma

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