Tutte le vie (della ricerca) portano al plasma
Il trattamento al plasma da convalescenti sta avendo un restyling da ventunesimo secolo. E come per il vaccino si stanno creando alleanze strategiche per arrivare con differenti approcci ad avere dal plasma un “farmaco” anti-Covid-19. Note come immunoglobuline iperimmuni, questi farmaci sono prodotti purificando gli anticorpi dal plasma dei donatori. Ma il plasma è un medicinale? «Se dal plasma andiamo ad estrarre gli anticorpi e li concentriamo in un prodotto specifico inattivato e ben standardizzato di cui possiamo valutarne la potenza di neutralizzazione, abbiamo un pannello di anticorpi che si dirige verso più siti del virus - spiega Alessandro Gringeri, Chief Medical and R&D Officer di Kedrion Biopharma - In questo modo, può essere somministrato come un prodotto farmaceutico, sia nel malato sia come “immunizzazione passiva” nei soggetti ad alto rischio, come prevenzione in attesa del vaccino».
E così, la prima linea di difesa potrebbe essere una tecnologia secolare: dal plasma sanguigno purificato agli anticorpi poli o monoclonali iniettabili per intramuscolo, come prevenzione complementare al vaccino o come una vera e propria terapia. «Il vantaggio è di usare pochi millilitri con dosaggi anticorpali più alti rispetto all’infusione di mezzo litro di plasma. Somministrazione che nei pazienti con malattia polmonare acuta dà un sovraccarico di liquidi che può essere controproducente - continua Gringeri -. La copertura contro Sars-CoV-2 è breve (3-4 settimane), ma permette all’organismo di chi è esposto al virus di sviluppare gli anticorpi mitigando o facendo regredire la malattia».
Nell’industria del plasma tutti hanno avviato un progetto sulle immunoglobuline, perchè è ritenuta una scelta terapeutica molto valida e competitiva. Ma ognuna di loro ha scelto strade diverse. La giapponese Takeda, alleata con l’australiana Csl Behring, è stata la prima ad annunciare la ricerca su una immunoglobulina iperimmune policlonale (H-IG), chiamata Tak-888, a cui si sono aggiunti altri player del plasma del Regno Unito, della Svizzera, Germania e Francia. Oltre a collaborare a studi clinici e produzione, questa alleanza affronterà un ostacolo chiave nella produzione di una terapia a base di plasma: la sua raccolta.
Questa è una strada che richiede un lotto di partenza molto elevato: migliaia di litri di plasma, che può essere un impedimento perchè ci sono tantissimi convalescenti, ma meno donatori. Ed è anche la ragione che ha portato alcune grandi aziende a consorziarsi, mettendo a fattor comune la capacità di raccolta. « Noi abbiamo optato per una soluzione diversa, partendo dal fattore critico “time to patient”, cioè arrivare al paziente nel più breve tempo possibile con una tecnologia molto efficace in termini di resa, partendo da lotti di produzione molto più piccoli. E abbiamo fatto un accordo di collaborazione con una azienda che conosciamo bene e che ha un processo che risponde a queste caratteristiche, l’israeliana Kamada - continua Gringeri - Le immunoglobuline sono già in sviluppo a partire da plasma israeliano, e Kamada conta di avviare la prima sperimentazione sull’uomo entro giugno. Noi stiamo già collaborando con l’Università Federico II di Napoli con cui prevediamo di partire sull’uomo tra settembreottobre. Dopo questi studi, partirà il trial clinico controllato internazionale » .
Anche la scelta degli anticorpi diversifica i player in campo. Il progetto, sempre italiano, avviato dallo Spallanzani di Roma in collaborazione con Toscana Life Sciences (Tls) prevede un procedimento biotecnologico indipendente dalla raccolta del plasma. In pratica, si identifica l’immunoglobulina attiva su Covid-19, la si ingegnerizza, la si replica attraverso una coltura biologica animale, si purifica e alla fine si ottiene l’anticorpo monoclonale. È tecnicamente avanzata e non ha il limite di dipendere dal donatore. La difficoltà sta nel selezionare l’immunoglobulina giusta su 400. La strategia di Kedrion Biopharma è invece di avere un bouquet di immunoglobuline - all’interno del quale c’è sicuramente l’anticorpo specifico per Covid-19 - purificarle e reiniettarle tutte insieme al paziente come profilassi o terapia. In questo caso però, si continua a restare dipendenti dal plasma nel lungo termine. «C’è però un altro vantaggio - precisa Gringeri - Questi anticorpi che noi andiamo a estrarre dal plasma sono diretti verso più siti del coronavirus. È un po’ come fare un bombardamento a tappeto, mentre il monoclonale è mirato verso un solo sito virale, come un colpo di fucile di precisione. Se il bersaglio è quello giusto risolve il problema in maniera brillante, ma se si sbaglia mira perché il virus è mutato, l’obiettivo fallisce».
Anche Aifa ha autorizzato uno studio su scala nazionale per valutare la reale efficacia della plasmaterapia. A oggi nel progetto, che ha l’acronimo di Tsunami, sono coinvolti 56 centri distribuiti in 12 regioni d’Italia. Sarà coordinato dall’Istituto superiore di sanità, mentre i due principali investigator sono l’Azienda ospedaliero-universitaria di Pisa e il Policlinico San Matteo di Pavia.