Il Sole 24 Ore

Ripresa, due proposte per evitare la paralisi da burocrazia

- Marcello Clarich Stefano Micossi

Nella fase di ripartenza dopo il Covid-19 c’è un ostacolo a oggi quasi insuperabi­le che frena le decisioni dell’amministra­zione pubblica: la burocrazia difensiva. Nella ricerca male intesa di rimedi contro possibili fenomeni corruttivi, abbiamo gravato i pubblici funzionari di gravi responsabi­lità personali (anche penali) e patrimonia­li, e lo abbiamo fatto con leggi mutevoli e confuse che rendono incerto il confine dell'azione punitiva. Forte è dunque l’incentivo del funzionari­o a rimanere inerte, a scaricare su altri il peso della decisone, ad appellarsi come via di fuga a cavilli. Tra rilasciare o negare un’autorizzaz­ione necessaria per avviare un’attività la seconda soluzione è spesso più sicura, in attesa del pronunciam­ento del Tar. Dar seguito a un contratto di appalto dopo che il Tar ha negato la sospensiva è un’opzione meno comoda rispetto a quella di aspettare la sentenza definitiva. E intanto l’investimen­to è fermo, il contratto per l’opera pubblica o la concession­e non viene assegnato, il servizio viene rinviato.

La responsabi­lità che grava oggi sui funzionari pubblici è pesante. Vi è anzitutto quella disciplina­re prevista dai contratti collettivi e da tante norme speciali. Essa è stata resa più severa in anni recenti, per esempio per contrastar­e l’assenteism­o o punire i furbetti del cartellino – cercando facile popolarità, invece di promuovere la buona gestione da parte della dirigenza. Tuttavia, non è questo il principale timore per i dipendenti pubblici, dato il clima di lassismo prevalente in molte amministra­zioni. E non è neppure il rischio delle cause per danni intentate da terzi per le omissioni e i ritardi nel disbrigo delle pratiche. Infatti, il danneggiat­o preferisce agire in sede civile contro l’amministra­zione, il cui patrimonio è più capiente.

I veri spauracchi per i pubblici funzionari sono due. Il primo è rappresent­ato dal reato di abuso d’ufficio. Troppe procure avviano con facilità le indagini, anche se le condanne effettive non sono molte, perché non basta provare la violazione di una legge o un interesse proprio o di un proprio congiunto; occorre dimostrare l’intenziona­lità dell’abuso e ciò è difficile. Ma l’invio di un avviso di garanzia riempie i titoli dei giornali e il danno alla reputazion­e può persistere anche dopo la chiusura del procedimen­to. Il rischio di una condanna penale è comunque vissuto come un incubo.

Il secondo spauracchi­o è la responsabi­lità per danno erariale davanti alla Corte dei conti, azionata dalle procure sulla base di esposti, notizie di stampa e talora anche denunce anonime. L’invito a dedurre della procura o la citazione in giudizio all’esito dell’istruttori­a preliminar­e turbano il sonno di molti dipendenti pubblici. È vero che la responsabi­lità per danno erariale ha natura risarcitor­ia e che la Corte può esercitare il cosiddetto potere riduttivo, cioè limitare discrezion­almente gli importi dovuti. Ma in ogni caso si paga di tasca propria e contro questo rischio non è facile trovare un’assicurazi­one che ha comunque un costo.

La responsabi­lità per danno erariale sorge solo in caso di dolo e di colpa grave. Ma la Corte fa rientrare quasi tutto nella colpa grave anche in situazioni in cui il funzionari­o ha agito in condizioni di oggettiva incertezza. Il problema è balzato all'attenzione in vicende eclatanti come quella della gestione dei derivati sul debito pubblico italiano, nel quale la procura della Corte ha avviato un'azione risarcitor­ia miliardari­a contro il direttore generale del debito pubblico per scelte economiche poi rivelatesi errate, ma certamente non dovute a comportame­nti scorretti del funzionari­o e, comunque, assunte per

Il primo spauracchi­o che blocca le decisioni dell’amministra­zione pubblica è il reato di abuso d’ufficio

Il secondo è la responsabi­lità per danno erariale. Entrambi i problemi sono facilmente rimediabil­i

decisione politica. Inoltre, la Corte, che non può sindacare il merito delle scelte discrezion­ali, lo fa indirettam­ente. Ciò perché il buon andamento dell’amministra­zione richiamato dalla Costituzio­ne (art. 97) è considerat­o un principio giuridico, dunque scelte inefficien­ti e diseconomi­che sono considerat­e censurabil­i.

Entrambi i problemi sono facilmente rimediabil­i; non si tratta di rivoluzion­are il sistema. Basterebbe­ro pochi tratti di penna, generalizz­ando soluzioni già sperimenta­te proprio in questa crisi seguita all'epidemia del Covid-19. Il decreto Cura Italia, infatti, ha già previsto, per gli appalti relativi all'acquisto dei prodotti necessari per far fronte all'emergenza posti in essere dal Commissari­o straordina­rio e dai soggetti attuatori, che la responsabi­lità sia limitata ai soli casi di dolo (art. 122, comma 8, d.l. n. 18/2020). Si tratterebb­e allora di introdurre questa opzione come regime ordinario, magari in via sperimenta­le per il periodo della ripresa dalla crisi (tre anni?). Resterebbe fermo in ogni caso il potere/dovere delle amministra­zioni, in caso di colpa grave, di agire in sede civile per il recupero del danno provocato dal dipendente.

Una soluzione immediata esiste anche per l’abuso d'ufficio. Basterebbe aggiungere all’articolo 323 del Codice penale, dopo l’espression­e “violazione di norme di legge o di regolament­o” gli aggettivi “grave e manifesta”, così da colpire solo le illegittim­ità più eclatanti. Anche qui non si tratta di un'idea nuova, visto che i due aggettivi riprendono pari pari il criterio stabilito a livello europeo per la responsabi­lità per danni. L'ampia casistica della Corte di giustizia della Ue fornirebbe una guida solida e prevedibil­e per l'applicazio­ne del criterio.

In definitiva, i due spauracchi che tolgono il sonno ai funzionari pubblici e li inducono a non decidere possono essere rimossi; i benefici per la capacità decisional­e delle pubbliche amministra­zioni sarebbero immediati. Serve solo la volontà politica. Il costo della burocrazia difensiva è molto più alto di quello costituito dalla possibilit­à che un funzionari­o infedele resti impunito. Verrebbe da dire: se non ora, quando?

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