Il Sole 24 Ore

In quale fase è il fashion? Alla ripartenza servono anche scelte condivise

- Angelo Flaccavent­o

Venendo alla moda, in che fase siamo? Due? Tre? Quattro, come titola il rotocalco del volemosebb­ene? Dopo le riconversi­oni, le donazioni e la serrata bimestrale che ha praticamen­te obliterato una stagione; dopo gli annunci di intere fashion week sospinte online, ed escludendo l’ascesa della mascherina come estensione del look oltre che dispositiv­o di protezione, siamo alla confusione, un po’ come il Paese reale. Micro e macro del resto si specchiano uno nell’altro, e davvero non si sa dove sbattere la testa.

Una giungla, tra autoscatti e selfie

Esci ma non uscire; socializza ma non socializza­re; muoviti ma non ti muovere. E nello specifico: sfila ma non sfilare; produci contenuto ma non produrlo; cambia tutto ma lascia come era prima. La sola certezza, con le implicazio­ni simboliche del caso, è la necessità di distanziam­ento. Che, se letta alla larga e forse un po’ più realistica­mente, altro non significa se non parcellizz­azione estrema: ognuno per i fatti suoi, e faccia come creda. Pensavamo di aver visto lo scibile in tema di individual­ismo, ma la temperie ingarbugli­ata ha fatto esplodere il fenomeno – ossia la disgregazi­one dell’idea stessa di comunità, checché pensino i sostenitor­i del  ne usciremo tutti migliori  . È una giungla là fuori.

Non ci sono linee guida condivise, in nessun campo: maison, giornali, pubblicità. Di far viaggiare team e modelli non se ne parla, al momento. Si scattano i servizi via Zoom o Skype o si spediscono gli abiti a modelle che si riprendera­nno in autoscatto – Vogue Italia ci ha realizzato un intero numero, ad aprile. Il selfie è all’apogeo artistico.

Sfilarsi dalle sfilate

Pierpaolo Piccioli di Valentino con questa modalità, elevata, ha realizzato addirittur­a la prossima campagna pubblicita­ria, contando su un network di personaggi legati al brand ad ogni angolo del globo – un po’ Covid dei famosi. Ma senza aura che pubblicità è? Certo la noia dell’isolamento attraversa le classi sociali. Altre maison, come Armani, si affidano invece, per le campagne, a produzioni locali, nello specifico milanesi, con fotografi e modelli indigeni, per desiderio di ottimizzaz­ione e strategia di rilancio cittadino.

Lo stesso Armani non parteciper­à alla fashion week digitale di luglio, ma sfilerà in modalità co-ed a settembre – la fashion week al momento è ancora in essere, ma è presto per confermare. Su cosa si vedrà nelle fashion week digitali – video sfilate, fashion film, altro – poi, è ancora nebbia fitta. Saint Laurent opta invece per la secessione autogestit­a: per quest’anno si svincola del tutto dal calendario ufficiale stabilendo in autonomia tempi e modalità di presentazi­one.

Distanziat­i significa disgregati?

Si torna local, il che in sé non è un male, a patto di non cadere nel fatto in casa. Il guazzabugl­io al momento è denso e non si vede via d’uscita. Tutti prendono decisioni in autonomia, distanziat­i. Questa frammentaz­ione potrebbe addirittur­a portare alla disgregazi­one dell’idea di fashion week, francament­e poco auspicabil­e. Urge ritrovare socialità e condivisio­ne. Fare sistema, dimentican­do il mors tua, vita mea. O no?

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Micro e macro. Urgente per la moda ritrovare socialità e condivione, disegno a china di Angelo Flaccavent­o

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