Il maxi risarcimento del caso Itavia monito per la revoca di concessioni statali
La pubblicazione, nei giorni scorsi, della sentenza della corte di appello di Roma sul caso Itavia ha suscitato aspri commenti di segni opposti. Da un lato, quanti hanno gridato allo scandalo per essersi prodotte così due verità sulla vicenda di Ustica: una sancita dal giudice penale, che avrebbe accreditato la tesi di una esplosione interna all’aereo; l'altra di quello civile, che invece avrebbe avallato una ricostruzione giornalistica che si rifarebbe all’ipotesi di abbattimento da parte di un missile. Altri invece hanno salutato la decisione come passaggio conclusivo di una storia tipicamente italiana.
In realtà, non dovrebbe esservi ragione di sorpresa, in quanto la Cassazione già nel giugno del 2018 aveva accolto la tesi della corte di appello, anzi ne aveva ampliato la portata, disponendo che in sede di rinvio la corte, in diversa composizione, tenesse conto sia del danno correlato nella misura del 70% alla riduzione dell'attività che anche di quello derivante dalla revoca delle concessioni di volo, intervenuta una settimana dopo la dichiarazione di fallimento. L'esito del giudizio, quindi, era scontato; mancava solo il tassello della quantificazione, che potrà peraltro essere ancora contestato con un nuovo ricorso per cassazione.
Il dato più importante di questa quarantennale vicenda giudiziale, al di là dell'enorme importo del risarcimento posto a carico dello Stato, è un altro: risulta ormai assodato che la catena di pronunce considera comunque concausa dell'evento l'omessa vigilanza dei Ministeri e di Enav per non avere garantito la sicurezza delle vie aeree né un’adeguata prevenzione di sinistri imputabili ai passeggeri. Inoltre, la Cassazione ha disposto che si debba tenere conto ai fini del risarcimento tanto del danno diretto da fermo degli aeromobili quanto di quello, pur se indiretto, derivante dalla esposizione debitoria così causata, dal fermo conseguente dei voli e alla fine dalla susseguente revoca delle concessioni.
È proprio quest’ultimo punto a meritare la massima attenzione. Nonostante una causalità non immediata, la revoca di concessione viene sanzionata a distanza di quarant'anni. Lo Stato viene così condannato a ripristinare la situazione patrimoniale della società, che riveste la qualifica di soggetto danneggiato, ponendola nelle condizioni in cui si sarebbe trovata se l’evento non si fosse verificato. L’allora Ministro dei trasporti, va ricordato, era stato indotto alla revoca della concessione di volo dalle pressanti richieste di Gruppi parlamentari influenzati dalle notizie circa le responsabilità aziendali per l’incidente e dall'esito dei lavori di una Commissione d'inchiesta nominata dallo stesso Ministro. Oggi, pur sulla base di un giudizio solo probabilistico – avendo i giudici civili ritenuto “più probabile” che la strage fosse stata causata dal lancio di un missile che da responsabilità della compagnia –, l’allora concessionaria può ottenere un risarcimento milionario per una revoca della concessione giudicata ingiusta o per lo meno ingiustificata.
La condanna di oggi potrebbe forse fungere da monito a fronte di ipotizzate revoche di concessioni statali, da più parti invocate, prima dei necessari approfondimenti giuridici sulle responsabilità.