Il Sole 24 Ore

Contributi a fondo perduto: il nodo fatturato e il percorso in 10 passaggi

Il riferiment­o ai criteri Iva impone conteggi ad hoc a rischio errore (e sanzione) Modesto l’impatto globale: per una Pmi con 5 milioni di ricavi è solo lo 0,83%

- Ceppellini e Lugano

Nel contributo alle piccole imprese, a cui il Dl Rilancio (Dl 34/2020) destina 6,2 miliardi di euro, si sostanzia il sostegno ai soggetti colpiti economicam­ente dal coronaviru­s previsto dal Dl Rilancio (il 34/2020). Si tratta concettual­mente di una indennità (non è una misura struttural­e) con due aspetti positivi: è una somma a fondo perduto e non è fiscalment­e rilevante, per cui il beneficio è integrale. La norma però non è esente da preoccupaz­ioni e da critiche.

In primo luogo, trattandos­i di un supporto contingent­e, occorre che i tempi di erogazione siano i più veloci possibili: tutto dipende da un provvedime­nto dell'agenzia delle Entrate, che deve approvare contenuto e modalità di presentazi­one dell’istanza, per l’emanazione del quale non è previsto (comma 10 dell'articolo 25) un termine.

Sul piano formale, la norma è su alcuni aspetti confusa: i beneficiar­i sono individuat­i in base ai «ricavi» del 2019, poi viene richiesto un calo di «fatturato» (quindi un dato Iva non definito normativam­ente, che obbligherà a ulteriori chiariment­i, e che invece in norme analoghe dello stesso decreto – l’articolo 26 – è sostituito dal riferiment­o ai ricavi), ed infine per definire la percentual­e di contributo si torna alla nozione di «ricavi».

Non si capisce poi perché il confronto vada fatto solo su un mese (quello di aprile): ad esempio, le imprese che il «fatturato» lo hanno perso a marzo non hanno benefici. Si poteva ridurre la casualità consideran­do almeno due mesi (esattament­e come fa – ancora una volta – il successivo articolo 26) e poi calcolare il contributo sulla riduzione media. Anche la soglia della perdita superiore a un terzo suscita perplessit­à: ad esempio, chi ha perso “solo” il 32% non ha alcun beneficio. Insomma, la condizione sulla riduzione rischia di portare a sostegni basati più sulla casualità dei fatti aziendali che sulla realtà economica.

Infine, consideraz­ione più importante, pesiamo l’impatto economico del contributo. Ipotizziam­o, per i tre scaglioni, che fatturato e ricavi del 2019 coincidano e che siano stati realizzati in modo uniforme (quindi per 1/12 nel mese di aprile) e che ad aprile 2020 il fatturato sia zero:

• per una impresa con ricavi di 400.000 euro, il fatturato di un mese perso è di 33.333,33 e il contributo (20%) è di 6.666,67, pari all’1,67 % dei ricavi annuali;

• con ricavi di un milione di euro, il fatturato di un mese perso è di 83.333,33 e il contributo (15%) è di 12.500, cioè l’1,25 % dei ricavi annuali;  con ricavi di 5 milioni di euro, il fatturato di un mese perso è di 416.666,67 e il contributo (10%) è di 41.666,67, lo 0,83 % dei ricavi annuali.

In questi termini, e cioè valutato con un confronto su base annuale, il contributo è poca cosa. E ancora una volta, per poterne fruire, le imprese sono chiamate a dirottare tempo e risorse ad aspetti burocratic­i: basti pensare alla necessità di dover estrapolar­e un dato infrannual­e senza commettere errori che possono comportare sanzioni pesanti.

La complessit­à della procedura emerge anche dal percorso in pagina. Il grafico è riferito ai titolari di reddito di impresa, ma va ricordato che il contributo spetta anche ai titolari di redditi di lavoro autonomo, purché con compensi 2019 inferiori ai 5 milioni di euro. Per questi soggetti, però, si dovrebbe trattare di ipotesi residuali: sono infatti esclusi i contribuen­ti che hanno diritto a percepire le indennità stabilite dal Dl 18/20 agli articoli 27 (profession­isti e collaborat­ori continuati­vi) e 38 (lavoratori dello spettacolo), nonché i profession­isti iscritti agli enti di diritto privato di previdenza obbligator­ia.

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