Calcolo danni: non retroattivi i criteri della riforma
L’applicazione precedente al Codice della crisi divide i giudici sulla liquidazione
La nuova disciplina sui criteri di liquidazione del danno prevista dal Codice della crisi che ha modificato l’articolo 2486 comma 3 del Codice civile ed è in vigore dal 15 aprile 2019, sebbene recepisca principi già applicati dalla giurisprudenza, non può essere applicata retroattivamente perchè comporta un’inversione dell’onere della prova a beneficio dell’attore e in danno del convenuto.
Lo ha stabilito la Corte di Appello di Catania con una sentenza del 16 gennaio scorso che si è discostata dall’orientamento seguito da altri giudici di merito che avevano di fatto esteso gli effetti della norma introdotta dal Codice ella crisi anche alle procedure fallimentari avviate prima della sua entrata in vigore, in considerazione della continuità tra la precedente applicazione giurisprudenziale e la n uova disposizione. Così aveva fatto ad esempio il Tribunale di Bologna con una sentenza del 2 dicembre 2019 (si veda Il Sole24 ore del 20 gennaio scorso).
Con una lettura più articolata, la Corte di Appello di Catania evidenzia però che, pur recependo un preesistente criterio giurisprudenziale, la norma è innovativa.
La sentenza riguarda un’azione di responsabilità promossa in base all’articolo 146della legge fallimentare da un curatore nei confronti degli ex amministratori di una società fallita, che avevano proseguito l’attività di impresa in violazione dell’articolo 2486 del Codice civile, nonostante si fosse verificata una causa di scioglimento della società.
La questione attiene alle modalità con le quali accertare il danno provocato dagli amministratori, se non sono state tenute le scritture contabili e fiscali e non è stato possibile per questo quantificare il pregiudizio a loro imputabile.
In assenza di una norma che prevedesse dei criteri, la giurisprudenza di legittimità ne aveva elaborato uno equitativo, corrispondente alla differenza tra il passivo accertato e l’attivo liquidato in sede fallimentare. Un criterio recepito dal Codice della crisi che con l’articolo 378 ( una delle poche norme del Codice entrata in vigore) ha modificatol’articolo 2846 comma 3 del Codice civile.
La nuova norma introduce in via generale una presunzione semplice con riferimento alla quantificazione del danno secondo il criterio dei “netti patrimoniali”, facendo salva la prova di un diverso ammontare.
Stabilisce però anche una presunzione assoluta e di diritto in favore della procedura concorsuale con riguardo all’adozione del criterio residuale della differenza tra attivo e passivo, quando non sia possibile determinare i netti patrimoniali per la mancanza o irregolarità delle scritture contabili. In entrambi i casi il legislatore ha quindi introdotto una presunzione legale invertendo l’onere della prova, e di fatto liberando da tale onere chi propone l’azione di responsabilità.
Se questa novità venisse applicata ai processi in corso, riguardanti quindi condotte poste in essere prima della sua entrata in vigore, scrivono i giudici etnei, si pregiudicherebbe la posizione processuale del convenuto, « imponendogli un onere probatorio cui non sapeva di andare incontro nel momento in cui il processo è iniziato, con le evidenti conseguenze relative alla scelta della strategia di difesa da proporre in giudizio » .