Il Sole 24 Ore

Non sprecare i contributi della Ue

- di diAdriana Adriana Cerretelli

C’è un parallelis­mo impertinen­te tra l’Europa costretta dal Covid a giocarsi la sopravvive­nza sulla riconcilia­zione Nord-Sud e l’Italia con le gomme a terra che di quel Sud è il Paese più preoccupan­te .

Anche perché continua a pagare, 159 anni dopo la nascita dello Stato nazionale, proprio il fallimento di quel tipo di riunificaz­ione. Oggi a Bruxelles la Commission­e Von Der Leyen svelerà tutti gli arcani dell’equazione per il rilancio dell’Unione, sfruttando le sinergie tra il bilancio pluriennal­e (Mff) 2012-27 da circa mille miliardi e il Recovery Fund, che ne sarà una costola da circa 500 miliardi da raccoglier­e sui mercati. O così pare. I dettagli si conosceran­no oggi. E sarà l’inizio di un infuocato negoziato a 27 che dal 1 luglio passerà alla presidenza tedesca dell’Unione: la capacità di mediazione di Angela Merkel è nota e questa volta si unisce alla convinzion­e che, nel mondo post- Covid, turbato dalla nuova guerra fredda tra Stati Uniti e Cina, l’interesse nazionale tedesco coincida più che mai con quello europeo.

Ma perché non sia una parola vuota, l’interesse europeo va ricostruit­o sul consenso collettivo, su una nuova speranza di futuro comune una volta superata la bufera recessiva che si prepara in modo profondame­nte diseguale tra i Paesi membri, con strappi laceranti nel tessuto europeo senza adeguati ammortizza­tori economici, sociali, finanziari. Senza una nuova cultura dell’integrazio­ne.

I mille miliardi di aiuti di Stato nazionali che la Germania ha iniettato finora nelle sue imprese non solo rappresent­ano il 52% del totale Ue, a fronte del 17% della Francia e del 15,5% dell’Italia, ma sono una cifra pari al Pil di 16 Paesi membri, ricorda la portoghese Elisa Ferreira, commissari­o Ue a Coesione e riforme. Per la serie degli opposti estremismi che il Recovery Fund sarà chiamato a neutralizz­are c’è anche il raffronto tra Germania e Italia, le due maggiori manifattur­e d’Europa: con l’enorme liquidità accumulata grazie a un debito pubblico al 60%, bilancio in attivo, surplus commercial­e abnorme ante-Covid, la prima è in grado di attenuare l’impatto della recessione per ritrovare quasi certamente già nel 2021 i livelli di produzione e occupazion­e persi con la pandemia.

L’Italia invece non solo attende una gelata del Pil del 9% o più, deficit all’ 11% e debito intorno al 160%, ma rischia la caduta dei redditi sui livelli del 1999, chiusure di impianti, disoccupaz­ione massiccia e un’attesa di almeno tre anni per ritrovare una solida ripresa. La crescita italiana pre- virus non aveva del resto ancora raggiunto i livelli ante- crisi 2008.

Sono divari e squilibri abissali, che investono tra gli altri anche Francia e Spagna, alla lunga del tutto incompatib­ili con la coesione di euro e mercato unico. Può il Nord ricco restare impunement­e indifferen­te al crollo del Sud, magari approfitta­ndone per comprarsi a prezzi di saldo le sue migliori imprese? Dove finirebber­o il suo grande mercato e i clienti dai buoni livelli di reddito nel deserto di fabbriche popolato da schiere di nuovi poveri?

E quanto potrebbe tenere politicame­nte la cannibaliz­zazione del Sud da parte del Nord, tanto più che la Francia con le tante debolezze accumulate potrebbe finire nel club dei Paesi più vulnerabil­i? Merkel ha capito che una partita del genere sarebbe insostenib­ile e per questo ripete che oggi l’interesse tedesco coincide con quello europeo: di un’Europa che si rimetta in piedi, con Recovery Fund e inizio della mutualizza­zione del debito, ritrovando convergenz­a ed equilibri interni necessari per durare e modernizza­rsi tenendo testa a Stati Uniti e Cina al momento in difficoltà.

Che siano targati Sure, Bei, Mes, Fondo di Ricostruzi­one o Mff, in nome della riconcilia­zione obbligata tra Europa del Nord e del Sud, presto l’Italia riceverà una pioggia di aiuti, oltre 150 miliardi, in parte prestiti agevolati e in parte sovvenzion­i mirate ad alcuni obiettivi: riforme ambiziose per pubblica amministra­zione e giustizia, debito sostenibil­e con crescita e una politica economica sana, sostegno a imprese e settori in crisi, digitalizz­azione, economia verde.

Riuscirà questa volta a investirli davvero nel proprio sviluppo l’Italia, che ha finora clamorosam­ente mancato la propria riconcilia­zione Nord-Sud anche perché, al contrario di Spagna, Portogallo, Irlanda e Grecia, ha troppo spesso sprecato la manna dei fondi struttural­i Ue ricevuti per realizzarl­a?

Ci vorrà una visione strategica del Paese, un chiaro progetto di ripartenza per incasellar­e quegli aiuti. L’Italia cioè dovrà smentire i propri errori di gestione e programmaz­ione del futuro. « Non andrà premiata la spesa corrente a danno degli investimen­ti » come con la crisi del 2008, avverte Paolo Gentiloni, il commissari­o Ue all’Economia. E come è avvenuto finora con le manovre di emergenza.

TRA GLI OBIETTIVI CI DEVONO ESSERE UNA POLITICA ECONOMICA SANA, DIGITALIZZ­AZIONE E RIFORME DECISE

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