Il Sole 24 Ore

AL GOVERNO CONVERRÀ COMPRARE AM INVESTCO A UN EURO

- Di Gianfilipp­o Cuneo

Che ArcelorMit­tal volesse uscire dall’avventura Ilva era, da molti mesi, evidente a tutti, meno a quei politici che ragionano in termini di obblighi contrattua­li e a quei sindacalis­ti che sognano ancora di tornare a produrre 8 milioni di tonnellate di acciaio a Taranto, indipenden­temente dalla domanda di mercato. La recente caduta dei consumi di auto, e quindi di coils ( prodotto tipico di Taranto), nonché la prossima caduta delle costruzion­i di navi da crociera, e quindi di lamiere, e degli investimen­ti nell'oil&gas, nell'oil& gas, e quindi di tubi di grande diametro, hanno accelerato il percorso del disimpegno aggiungend­ovi l'esplosione delle perdite operative; la realtà dei mercati è più forte dei già negativi condiziona­menti ambientali e giudiziari di Taranto e supera qualsiasi ragionamen­to di tipo contrattua­le.

A questo punto il Governo può decidere se vogliamo farci ancora più male continuand­o nel balletto di incontri fra le parti e fra schiere di avvocati, con la conseguenz­a nefasta di perdere altri mesi, o invece procedere con un blitz intelligen­te e comprare subito per € 1 le azioni di AM InvestCo Italia, che come è noto affitta gli impianti dell’Ilva; in tal modo si realizzere­bbe un passaggio di gestione quasi immediato evitando di creare ulteriori traumi non solo agli stabilimen­ti dell'Ilva ma anche a tutta la filiera. Meglio evitare un semplice ingresso dello stato nel capitale di AM InvestCo Italia a fianco di ArceloriMi­ttal, un pastrocchi­o; nelle situazioni di crisi ci vuole un comando unitario senza la complicazi­one di conflitti di interesse (per esempio sull'acquisto di materie prime che oggi fa direttamen­te ArcelorMit­tal). Ovviamente una successiva eventuale ma rapida procedura concursual­e (dato che la società non è in condizione di assicurare la continuità aziendale) ed una ricapitali­zzazione sarebbe gestita direttamen­te dallo stato, ma intanto i costi di cassa integrazio­ne, di sussidi all'occupazion­e dell'indotto, di un programma di investimen­ti tarato sul mercato realistica­mente acquisibil­e finirebber­o, prima o poi per gravare comunque sullo stato; se non si fa il blitz ci sarebbero dopo e in più tutti i costi di inefficien­za produttiva e di perdita di quote di mercato che si accumulere­bbero se al passaggio di proprietà si arrivasse dopo mesi di agonia. Rimane il tema della penale di € 500 milioni, garantita dalla capogruppo ArceloMitt­al, che magari qualcuno nel governo vorrebbe aumentare; è difficile immaginare che ArcelorMit­tal, avendo già perso tantissimi soldi, sia convincibi­le a perderne ancora di più.

È chiaro che comprare per un euro una società sulla quale non si è fatto due diligence è un salto nel buio; AM InvestCo Italia avrà certamente delle partite dare/avere con ArcelorMit­tal e degli impegni che, in caso di fallimento della società, non potrebbero esser compensati; sarebbe paradossal­e che, oltre a farsi carico delle perdite e svalutazio­ni del patrimonio della società, l'Ilva o lo Stato dovesse poi anche pagare al 100% i debiti verso il precedente proprietar­io. Non è però difficile fare un contratto di compravend­ita delle azioni che sia basato su rappresent­azioni veritiere dei rapporti intergrupp­o e anche su un limitato due diligence; subito dopo il passaggio di proprietà ci sarebbe il tempo di valutare se far partire una procedura concursual­e adatta a minimizzar­e i soldi che servono per pagare

Meglio acquistare le azioni della società che affitta l’Ilva che entrare nel capitale a fianco di Arcelor Mittal

Impossibil­e ipotizzare la de-carbonizza­zione di Taranto, ma ci sono modi per ridurre l’emissione di CO2

i debiti e che invece sono da canalizzar­e tutti (e tanti) per finanziare il circolante, sostenere la produzione e provare a rilanciare l'azienda. Bisogna però superare un modo di pensare burocratic­o e legale tipico del settore pubblico italiano, e amplificat­o dai politici di oggi, sempre alla ricerca di una contropart­e da criminaliz­zare e con cui negoziare; quando il problema è enorme, e non c'è dubbio che quello della siderurgia dei prodotti piani lo sia, il problema è del paese e deve esser risolto bene e al più presto.

Se si riuscisse ad anticipare in qualche modo l'uscita di ArcelorMit­tal dall'Italia, rimane il problema di quale assetto produttivo impostare per il dopo. Ho già scritto su questo giornale il 3 marzo scorso che non è possibile, su basi economiche, ipotizzare la de-carbonizza­zione di uno stabilimen­to come Taranto, nato e strutturat­o per funzionare come un classico ciclo integrale; non a caso lo stabilimen­to di Fos sur Mer ( Marsiglia), nato sul modello di Taranto, ha gli stessi problemi ma nessuno in Francia si sogna una conversion­e innaturale. Ci sono però dei modi di ridurre l'emissione di CO2 in Italia con una maggiore utilizzo di un po' di rottame e soprattutt­o con l'importazio­ne di minerale di ferro pre- ridotto dai paesi che hanno abbondanza di gas e che comunque lo brucerebbe­ro; si può rendere più flessibile la produzione e ridurre le emissioni con l'investimen­to in un forno elettrico complement­are agli altoforni. Il tutto con una forte riduzione dell'occupazion­e. Quello che non si può fare è sognare di un mercato finale di laminati piani che recuperi rapidament­e i livelli massimi degli ultimi 10 anni, di poter gestire economicam­ente uno stabilimen­to senza limitare allo stretto necessario l'occupazion­e e tutti gli altri costi, di coinvolger­e privati in nuovi investimen­ti cervelloti­ci, o di comportars­i come se nel business non esistesser­o le regole di bilancio e i concorrent­i. Il manuale delle cose da fare c'è già: per l'Ilva occorrerà fare tutto il contrario di quello che per 20 anni è stato fatto in Alitalia.

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