AL GOVERNO CONVERRÀ COMPRARE AM INVESTCO A UN EURO
Che ArcelorMittal volesse uscire dall’avventura Ilva era, da molti mesi, evidente a tutti, meno a quei politici che ragionano in termini di obblighi contrattuali e a quei sindacalisti che sognano ancora di tornare a produrre 8 milioni di tonnellate di acciaio a Taranto, indipendentemente dalla domanda di mercato. La recente caduta dei consumi di auto, e quindi di coils ( prodotto tipico di Taranto), nonché la prossima caduta delle costruzioni di navi da crociera, e quindi di lamiere, e degli investimenti nell'oil&gas, nell'oil& gas, e quindi di tubi di grande diametro, hanno accelerato il percorso del disimpegno aggiungendovi l'esplosione delle perdite operative; la realtà dei mercati è più forte dei già negativi condizionamenti ambientali e giudiziari di Taranto e supera qualsiasi ragionamento di tipo contrattuale.
A questo punto il Governo può decidere se vogliamo farci ancora più male continuando nel balletto di incontri fra le parti e fra schiere di avvocati, con la conseguenza nefasta di perdere altri mesi, o invece procedere con un blitz intelligente e comprare subito per € 1 le azioni di AM InvestCo Italia, che come è noto affitta gli impianti dell’Ilva; in tal modo si realizzerebbe un passaggio di gestione quasi immediato evitando di creare ulteriori traumi non solo agli stabilimenti dell'Ilva ma anche a tutta la filiera. Meglio evitare un semplice ingresso dello stato nel capitale di AM InvestCo Italia a fianco di ArceloriMittal, un pastrocchio; nelle situazioni di crisi ci vuole un comando unitario senza la complicazione di conflitti di interesse (per esempio sull'acquisto di materie prime che oggi fa direttamente ArcelorMittal). Ovviamente una successiva eventuale ma rapida procedura concursuale (dato che la società non è in condizione di assicurare la continuità aziendale) ed una ricapitalizzazione sarebbe gestita direttamente dallo stato, ma intanto i costi di cassa integrazione, di sussidi all'occupazione dell'indotto, di un programma di investimenti tarato sul mercato realisticamente acquisibile finirebbero, prima o poi per gravare comunque sullo stato; se non si fa il blitz ci sarebbero dopo e in più tutti i costi di inefficienza produttiva e di perdita di quote di mercato che si accumulerebbero se al passaggio di proprietà si arrivasse dopo mesi di agonia. Rimane il tema della penale di € 500 milioni, garantita dalla capogruppo ArceloMittal, che magari qualcuno nel governo vorrebbe aumentare; è difficile immaginare che ArcelorMittal, avendo già perso tantissimi soldi, sia convincibile a perderne ancora di più.
È chiaro che comprare per un euro una società sulla quale non si è fatto due diligence è un salto nel buio; AM InvestCo Italia avrà certamente delle partite dare/avere con ArcelorMittal e degli impegni che, in caso di fallimento della società, non potrebbero esser compensati; sarebbe paradossale che, oltre a farsi carico delle perdite e svalutazioni del patrimonio della società, l'Ilva o lo Stato dovesse poi anche pagare al 100% i debiti verso il precedente proprietario. Non è però difficile fare un contratto di compravendita delle azioni che sia basato su rappresentazioni veritiere dei rapporti intergruppo e anche su un limitato due diligence; subito dopo il passaggio di proprietà ci sarebbe il tempo di valutare se far partire una procedura concursuale adatta a minimizzare i soldi che servono per pagare
Meglio acquistare le azioni della società che affitta l’Ilva che entrare nel capitale a fianco di Arcelor Mittal
Impossibile ipotizzare la de-carbonizzazione di Taranto, ma ci sono modi per ridurre l’emissione di CO2
i debiti e che invece sono da canalizzare tutti (e tanti) per finanziare il circolante, sostenere la produzione e provare a rilanciare l'azienda. Bisogna però superare un modo di pensare burocratico e legale tipico del settore pubblico italiano, e amplificato dai politici di oggi, sempre alla ricerca di una controparte da criminalizzare e con cui negoziare; quando il problema è enorme, e non c'è dubbio che quello della siderurgia dei prodotti piani lo sia, il problema è del paese e deve esser risolto bene e al più presto.
Se si riuscisse ad anticipare in qualche modo l'uscita di ArcelorMittal dall'Italia, rimane il problema di quale assetto produttivo impostare per il dopo. Ho già scritto su questo giornale il 3 marzo scorso che non è possibile, su basi economiche, ipotizzare la de-carbonizzazione di uno stabilimento come Taranto, nato e strutturato per funzionare come un classico ciclo integrale; non a caso lo stabilimento di Fos sur Mer ( Marsiglia), nato sul modello di Taranto, ha gli stessi problemi ma nessuno in Francia si sogna una conversione innaturale. Ci sono però dei modi di ridurre l'emissione di CO2 in Italia con una maggiore utilizzo di un po' di rottame e soprattutto con l'importazione di minerale di ferro pre- ridotto dai paesi che hanno abbondanza di gas e che comunque lo brucerebbero; si può rendere più flessibile la produzione e ridurre le emissioni con l'investimento in un forno elettrico complementare agli altoforni. Il tutto con una forte riduzione dell'occupazione. Quello che non si può fare è sognare di un mercato finale di laminati piani che recuperi rapidamente i livelli massimi degli ultimi 10 anni, di poter gestire economicamente uno stabilimento senza limitare allo stretto necessario l'occupazione e tutti gli altri costi, di coinvolgere privati in nuovi investimenti cervellotici, o di comportarsi come se nel business non esistessero le regole di bilancio e i concorrenti. Il manuale delle cose da fare c'è già: per l'Ilva occorrerà fare tutto il contrario di quello che per 20 anni è stato fatto in Alitalia.