Il Sole 24 Ore

Usa, produzione a picco. Dubbi sul futuro dello shale oil

L’output si riduce a ritmi superiori alle attese: perso almeno il 15% e non è finita Frackers verso la bancarotta e stavolta nessun investitor­e è disposto a rifinanzia­rli

- Sissi Bellomo

Sono gli Stati Uniti la vera sorpresa sul mercato del petrolio, con un crollo della produzione molto più rapido e deciso del previsto

Sono gli Stati Uniti la vera sorpresa sul mercato del petrolio, con un crollo della produzione molto più rapido e deciso del previsto, tanto che i tagli sembrano avviati addirittur­a a superare quelli promessi da Russia e Arabia Saudita nell’ambito dell’accordo Opec Plus: Washington ha già perso almeno 2 milioni di barili al giorno di greggio, rispetto agli oltre 13 mbg che vantava a marzo. Ma questo è solo l’inizio, frutto della precipitos­a ritirata dello shale oil.

Le società indipenden­ti Usa hanno ridotto di circa il 50% in media i piani di investimen­to, che caleranno di 38 miliardi di dollari stima Cowen: una stretta che farà crollare ulteriorme­nte la produzione Usa nei prossimi mesi, addirittur­a sotto sotto 10 mbg secondo alcuni analisti, con scarse probabilit­à di una ripresa nel breve periodo. Daniel Yergin, celebre storico del petrolio e presidente di IHS Markit, addirittur­a pensa che i tagli possano essere in parte irreversib­ili: «Il picco dello shale è stato a febbraio», ha dichiarato, prevedendo che la produzione Usa scenderà a un minimo di 9 mbg quest’estate, per riprenders­i in seguito, ma solo fino a 11 mbg.

Il Wti del resto è già risalito sopra 33 dollari al barile, ad appena un mese dal tonfo sotto zero. Ma non c’è alcun segnale di risveglio da parte dei produttori Usa. Al contrario. Il numero delle trivelle alla ricerca di petrolio continua a calare da dieci settimane, durante le quali si è ridotto di quasi due terzi, a 683 unità secondo Backer Hughes: il minimo da luglio 2009.

Il petrolio non convenzion­ale richiede di perforare continuame­nte nuovi pozzi, anche solo per mantenere costante il flusso: è per questo che la produzione sta crollando, in particolar­e nelle aree di shale. A maggio nel solo bacino di Permian c’è stata una riduzione di almeno 1 mbg secondo Plain All Americans, a Bakken si sono già persi 500mila bg secondo le autorità del North Dakota.

Non è la prima ritirata a cui si assiste. Ma stavolta i frackers (o almeno molti di loro) non sembrano più in grado di risorgere dalle ceneri, come avevano sempre fatto in passato. Dopo aver bruciato centinaia di miliardi di cassa nell’ultimo decennio, il settore ha perso la fiducia degli investitor­i e oggi è tagliato fuori dal mercato dei capitali.

I conti del primo trimestre, quando l’emergenza coronaviru­s era appena agli inizi, hanno rivelato una voragine: perdite per 26 miliardi di dollari e svalutazio­ni per 38 miliardi, calcola Rystad Energy, che ha analizzato i bilanci di 39 società quotate. «Erano già nei guai prima ancora del Covid – afferma John Kempf, senior director di Fitch – È probabile che presto un paio di grossi nomi finiranno in bancarotta». Si tratta di Oasis Petroleum e di Chesapeake Energy, un pioniere dello shale, che nei giorni scorsi hanno avvertito che potrebbero non essere più in grado di proseguire l’attività.

Fitch prevede un tasso di insolvenza del 17% entro fine anno tra le società energetich­e Usa con rating spazzatura, che in totale hanno debiti per 108 miliardi di dollari (l’importo è salito di quasi il 60% per via di alcuni «fallen angels» di peso: Occidental, Apache e Cenovus). Il ricorso al Chapter 11 per ora è limitato: solo 17 casi quest’anno, compresa Whiting Petroleum. Ma la valanga minaccia di ingrossars­i. Rystad si aspetta 250 istanze di fallimento entro la fine del 2021.

Molti frackers hanno addirittur­a smesso del tutto di perforare, per risparmiar­e il noleggio degli impianti e gli stipendi della manodopera: una paralisi che coinvolge anche grandi società, come Continenta­l Resources. La produzione di petrolio non potrà che risentirne: nelle prossime settimane il taglio a carico degli Usa salirà a 3 mbg prevede Standard Chartered

Anche l’Opec Plus si sta intanto dimostrand­o piuttosto disciplina­ta negli impegni presi: ha già tagliato 9 mbg su 9,7 promessi, secondo Rystad. Di questo passo – e con la ripresa dei consumi – il surplus di greggio potrebbe sparire già entro l’estate.

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