UNA VERA UNIONE DELLE IMPRESE PER INCENTIVARE GLI INVESTITORI
La provocazione di Marco Ferrando sulla prossima frontiera del risparmio degli italiani, post- successo del Btp Italia, rappresenta, di fatto, ciò per cui lavoro da più di 40 anni. Costruire un ponte tra l’immenso stock stockdel del risparmio privato e la endemica sottocapitalizzazione delle nostre imprese è infatti uno dei temi principali di cui si dovrebbe occupare chiunque lavori, o anche solo ragioni, di economia o finanza. Ma visto che finora è stato fatto pochissimo, il problema è il come. Tre anni fa con i Pir si era sperato di dare vita, se non a un vero e proprio ponte, almeno a una grande campata. Grande entusiasmo, promesse, illusioni, poi qualche modifica, poi sboom. Oggi il governo ci riprova, la norma è migliorata, gli spazi aumentati e più che altro la consapevolezza di questa esigenza sembra diventata patrimonio generale, comune.
Insieme ai nuovi Pir è però necessario trovare modi per aiutare le imprese a fondersi, ad aumentare i capitali, ad aggregarsi. Insomma a superare quell’individualismo che da una parte ha dato e darà una grossa spinta emotiva agli imprenditori, ma dall’altra non ha finora consentito di dare vita alle centinaia di campioni, anche a livello mondiale, che si avrebbero se ci fossero consolidamenti a livello di settore, filiere o distretti. La Borsa italiana, se si esclude l’Aim, ha trent’anni e poco più di 300 società. Se si escludono i grandi gruppi pubblici, le multinazionali e le banche, la rappresentanza del sistema industriale è notoriamente scarsa.
Dato che una delle musiche che gli imprenditori italiani ascoltano più volentieri sono le agevolazioni fiscali, una super- Ace, l’abbassamento dell’imposta per affrancare il goodwill delle fusioni, gli ammortamenti delle differenze di incorporazione e ogni possibile aiuto per favorire aumenti di capitale, sono incentivi da attivare immediatamente. Assieme ad agevolazioni per chi si vuole quotare. L’orientamento positivo, come per il venture capital, pare ci sia e l’effetto sul gettito rischia di essere anche positivo. Ma non basta. Perché il capitale di debito sta arrivando, il fondo perduto per le piccolissime imprese anche, ma altro capitale di rischio, per chi non riesce a rientrare nei PIR, non può che arrivare dai private equity investor. Quelli che Ferrando chiama «capitali pazienti » . Il private equity in Italia si è molto sviluppato, ma è più che altro concentrato su dimensioni di società ben superiori a quelle su cui ci si dovrebbe dedicare per poter dare quell’impulso di sistema di cui abbiamo bisogno.
Basteranno le quote dei Pir sulle non quotate ? I gestori degli Eltif avranno il coraggio di investire su imprese con fatturati di pochi milioni ? L’allargamento al private debt inserito nella norma sui Pir non spingerà qualche imprenditore a fare di tutto per evitare di avere dei veri e propri soci?
Avendo chiaro che il pubblico deve regolare e non può ne deve fare impresa direttamente, mesi fa suggerii di favorire operazioni di matching, cioè quello che poi nel Dpcm Liquidità è diventato il pari passu. Lo hanno previsto per le imprese tra i 5 e i 50 milioni di fatturadi to, cioè proprio in quel segmento in cui è maggiore l’esigenza.
Peccato però che siano pochissimi gli investitori privati specializzati in quel segmento, che possano fare le istruttorie, prendersi comunque in carico quelle partecipazioni e poi essere così convincenti da dare vita ai pari passu.
Un’altra speranza è data dalle grandi case di gestione del risparmio, che stanno spingendo i clienti verso strumenti cosiddetti illiquidi. Si stanno sviluppando anche i club deal, la gente sembra aver sempre più voglia sia di economia reale che di aspettare che il tempo costruisca rendimenti decorosi.
Non male se si pensa che fino a poco tempo fa erano chiamati Bot- people.
Ma chi, se non Confindustria, ha la responsabilità di guidare un simile processo? Carlo Bonomi, all’atto dell’insediamento, ha proposto agli imprenditori di « darsi una mano», soprattutto per reagire e investire; in particolare per investire nell’innovazione, nel digitale e in quell’information technology che il Covid- 19 ha ancor più dimostrato quanto possa essere essenziale, per tutti.
Cosa di meglio di darsi veramente una mano provando, una volta per tutte, a credere che l’unione tra imprese – vera, seria, convinta, nelle varie forme che potrà avere – faccia la loro forza, a livello nazionale, di sistema, ma ancor più internazionale?