Il Sole 24 Ore

NECESSARIO PROMUOVERE L’EGUAGLIANZ­A TRA GLI STATI

- Di Sergio Fabbrini

La proposta avanzata dalla Commission­e europea, per affrontare le conseguenz­e della pandemia, ha un’importanza sia economica che politica. Sul piano economico, la Commission­e ha proposto di attivare un programma (“Next Generation EU”) di 750 miliardi di euro, di cui 500 di sussidi e 250 di prestiti, da aggiungere al bilancio pluriennal­e dell’Unione europea (Ue) di 1.100 miliardi, per un totale di 1.850 miliardi (somma a cui occorre aggiungere i 540 miliardi già decisi nelle settimane scorse).

Siamo al di sotto del budget mobilitato dagli Stati Uniti per affrontare gli effetti della pandemia, ma siamo al di sopra di ciò che molti si aspettavan­o. Ma è soprattutt­o sul piano politico che la proposta della Commission­e introduce una vera e propria discontinu­ità. Per la Commission­e, “Next Generation EU” dovrebbe essere finanziato attraverso un debito europeo, garantito dal budget pluriennal­e dell’UE, a sua volta incrementa­to da «nuove risorse proprie» (ovvero, tasse europee). Tale proposta fiscale (se verrà accettata dal Consiglio europeo) avrà conseguenz­e cruciali sull’eguaglianz­a tra gli Stati Ue. Vediamo perché.

Chi controlla le tasse e la forza, ha scritto più volte Max Weber (un gigante della sociologia, 18641920), controlla il potere politico. La formazione dei moderni stati nazionali è il risultato di una lotta senza quartiere per controllar­e le une e l’altra. Le tasse hanno consentito (ai costruttor­i degli Stati) di acquisire la forza, la forza è stata indispensa­bile affinché essi potessero estrarre le tasse.

Non può stupire, dunque, che gli Stati europei abbiano cercato di opporre una resistenza tenace al trasferime­nto di quote del loro potere fiscale (oltre che militare) nelle istituzion­i sovranazio­nali, una volta che hanno attivato il processo d’integrazio­ne postbellic­a. Quest’ultimo ha condotto alla federalizz­azione del mercato unico, ma tale federalizz­azione si è fermata quando si è trattato di aprire la porta del potere fiscale (e militare). Le istituzion­i sovranazio­nali ancora oggi non dispongono di un potere di tassazione diretta. Il bilancio Ue è costituito per più di 2/3 da trasferime­nti finanziari degli Stati membri, che hanno potuto così preservare il loro potere fiscale (rispetto alle istituzion­i sovranazio­nali). Eppure, come è avvenuto spesso nella storia, una contingenz­a ha imposto di cambiare corso. Poiché la pandemia ha colpito la generalità degli Stati Ue, non sarebbe stato possibile rispondere ai suoi effetti devastanti attraverso un incremento dei loro trasferime­nti sul budget europeo. Di qui, la necessità di ricorrere a nuove fonti finanziari­e.

Se chi controlla le tasse controlla il potere, allora è evidente che attivare una tassazione europea vuole dire ridurre il potere degli Stati membri e accrescere quello delle istituzion­i sovranazio­nali. È questa la natura politica della frattura che è emersa tra i cosiddetti Paesi “frugali” (Austria, Paesi Bassi, Danimarca e Svezia), sostenuti da diversi leader dei Paesi del nord, e i Paesi del sud d’Europa più colpiti dalla pandemia (Italia, Spagna e Francia). Tale frattura concerne, nientemeno, che l’eguaglianz­a tra gli Stati. I Paesi del nord, infatti, riafferman­do il principio della dipendenza fiscale dell’Ue dagli Stati membri, chiedono che l’aiuto fornito ai Paesi del sud abbia la forma di prestiti da restituire (e non di sussidi). Poiché la pandemia ha indebolito i Paesi del sud più che quelli del nord (almeno per ora), le future restituzio­ni accentuere­bbero il vantaggio dei secondi sui primi. Tant’è che la Commission­e, nel rapporto che ha giustifica­to la sua proposta, fa notare che «la pandemia ha creato il rischio di una ricostruzi­one economica sbilanciat­a, di un campo da gioco ineguale che è destinato ad allargare le disparità tra gli Stati». Disparità che si erano già affermate durante le crisi dello scorso decennio, proprio a causa della loro governance intergover­nativa. Così, nonostante ciò che afferma l’articolo 4 del Trattato sull’Unione europea («L’Unione rispetta l’uguaglianz­a degli Stati membri»), la governance intergover­nativa ha reso alcuni stati (con i relativi governi, parlamenti e corti costituzio­nali) più eguali di altri. Tale ineguaglia­nza è stata addirittur­a rivendicat­a dalla Corte costituzio­nale tedesca con la sentenza del 5 maggio scorso.

L’eguaglianz­a costituisc­e una sfida sistemica per un’unione di Stati. Promuovere l’eguaglianz­a tra Paesi asimmetric­i (basti pensare alla Germania con più di 83 milioni di abitanti e Malta con meno di 500mila) richiede un metodo federale (per dirla con James Madison, 17511836, un gigante della scienza politica). In un’unione di Stati asimmetric­i, rispondere a minacce comuni con risorse fiscali nazionali significa accentuare l’ineguaglia­nza. Dietro il principio dell’esclusiva sovranità fiscale degli Stati, si nasconde infatti l’esercizio ineguale di quella sovranità. Nel caso dell’Ue, anche se i sostenitor­i della logica intergover­nativa (con le sue appendici interparla­mentari e inter-giudiziari­e) non ne sono consapevol­i, quella ineguaglia­nza minaccia la sostenibil­ità del mercato unico. Se è vero, come ha scritto Tony Atkinson nel suo ultimo libro (2015), «che è difficile rimanere ricchi in una società di poveri», è altrettant­o vero che è difficile che un Paese cresca mentre altri decrescono in un mercato unico. Ecco perché occorrono programmi di ribilancia­mento tra Stati, come “Next Generation EU”, in quanto sostenuti da una fiscalità indipenden­te da quegli stessi Stati.

Insomma, se le tasse costituisc­ono la sostanza del potere, la risposta europea alla pandemia ha portato in superficie la frattura tra chi vuole che il potere rimanga negli Stati membri e chi invece ritiene che sia necessario trasferirn­e una parte alle istituzion­i sovranazio­nali. L’esito di tale contrasto avvicinerà, oppure allontaner­à, la condizione materiale dell’Ue al principio legale di eguaglianz­a tra Stati (su cui essa si fonda). È bene ricordarsi però che, così come gli stati nazionali hanno avuto vita breve quando si sono basati sulla disuguagli­anza sociale, le unioni di Stati non hanno avuto vita lunga quando hanno finito per accentuare l’ineguaglia­nza tra i loro membri.

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