Così l’Unione può aiutare i rating italiani
Le misure eccezionali che l’Unione sta adottando hanno una portata potenziale positiva nella stabilizzazione dei giudizi, ma non bisogna aspettarsi automatismi
I nuovi strumenti europei di aiuto e sostegno finanziario contro la pandemia, indirizzati ai Paesi più indebitati della Ue e dell’area euro tramite Mes, Bei, Sure e in prospettiva la Recovery Facility legata al budget europeo, hanno una portata potenziale positiva sui rating sovrani degli Stati europei. Più i sussidi che i prestiti. E questo perché queste misure eccezionali, per ora temporanee, frenano l’aumento dello stock dei debiti pubblici nazionali provocato dall’emergenza coronavirus, riducono il costo del rifinanziamento del debito, creano per un lungo periodo una protezione contro la volatilità estrema dei mercati e alleviano la dipendenza dagli acquisti della Bce dettati da logiche di politica monetaria: ma non c’è da aspettarsi automatismi in promozioni di rating o in miglioramenti di outlook in un momento pandemico in cui fioccano declassamenti e peggioramenti di prospettive. Il rischio di una valanga di retrocessioni è elevato e la Bce si è già mossa nelle sue misure pandemiche: ora accetta i junk bond come garanzia collaterale e acquista titoli di Stato greci pur con rating speculativo. La prossima settimana i mercati si attendono che estenderà gli acquisti del QE e del programma Pepp pandemico ai junk bond.
La vera grande svolta in termini di rafforzamento della sostenibilità dei debiti pubblici europei, di stabilizzazione dei rating in controtendenza rispetto alla pressione all’ingiù esercitata dal mix di recessione ed esplosione della spesa pubblica, starà nella capacità degli Stati più deboli - se volontariamente accetteranno le nuove forme di assistenza - di usare al meglio, in tempi rapidi e in quantità importanti questi nuovi strumenti per rilanciare la crescita.
È così che le agenzie di rating stanno iniziando a soppesare gli sforzi senza precedenti dell’Europa contro il coronavirus. Covid-19 nell’immediato ha un impatto negativo sul rischio sovrano, tra peggioramento del debito/Pil e l’enorme incertezza sulla durata della pandemia e sulla ripresa post-Covid. L’Italia è stata declassata da Fitch lo scorso aprile e questo mese ha avuto l’outlook calato da stabile a negativo per DBRS e Scope. Ferme per ora le due più temute dai mercati, Moody’s e S&P’s. Gli esperti del rating guardano con favore il pacchetto Mes-Sure-Bei e ancor più la Recovery Facility della Commissione: ma restano in attesa del quando, dei quanti aiuti saranno usati da quali Paesi a fronte di quali misure, investimenti e riforme.
«La governance EU sulle misure di sostegno all’attività economica e finanziaria dei singoli Paesi sarà un elemento importante da considerare nell’analisi di rating, in particolare per i Paesi con una flessibilità fiscale limitata come Italia e Spagna. Non significa che queste misure potrebbero condurre a un miglioramento del rating, ma sicuramente rappresentano un elemento di sostegno per il rating attuale», commenta Guy Deslondes, responsabile rating sovrani e banche EMEA di S&P Global Ratings, interpellato dal Sole 24 Ore.
I prestiti Mes e Bei determineranno un incremento del rapporto debito/Pil ma «registriamo comunque un effetto positivo: sono a lunga scadenza, circa il doppio della scadenza media del debito italiano che attualmente è di 7 anni, e sono stati offerti a tassi molto bassi. L’attuale costo di finanziamento a 15 anni della Ue è pari allo 0,2% e quello del Mes è quasi identico, mentre il costo medio di finanziamento dell’Italia sul mercato si aggira al momento intorno allo 0,7%». La situazione potrebbe cambiare con il piano da 750 miliardi della Commissione, che ha anche sovvenzioni.
Carlo Capuano, vice president dei rating sovrani di DBRS Morningstar e capo analista per Ue e Italia, ha detto al Sole 24 Ore che in questa fase è importante mettere in campo rapidamente risorse finanziarie adeguate per mitigare le conseguenze economiche dei lockdown. I prestiti Mes, Sure e Bei possono aiutare l’Italia in un momento di forte aumento del fabbisogno finanziario, «contenendo il costo della raccolta e riducendo così la pressione sul deficit, ma non sono un game changer». Se l’Italia dovesse usare per 36 miliardi la linea Mes, DBRS stima un risparmio sulla spesa per interessi pari a 5 miliardi su dieci anni.Il Recovery Facility della Commissione può avere una portata più rilevante «perché non è per l’emergenza, è mirato alla ripresa post pandemia: se l’Italia dovesse ricorrervi, saranno cruciali la qualità della spesa e la velocità delle misure governative per sostenere l’economia».
Ma ancora oggi l’Eurozona rimane un’unione monetaria incompleta: a sottolinearlo è Michele Napolitano, Head of Western Europe sovereign ratings di Fitch, interpellato dal Sole 24 Ore. Nonostante i progressi 2011-2012, «la mancanza di stabilizzatori fiscali centralizzati e automatici fa sì che, nell’assenza di una maggiore condivisione dei rischi, la risposta fiscale alla pandemia ricadrà principalmente sui singoli Paesi». I prestiti Sure, Mes e Bei sono «chiaramente uno sviluppo importante, ma non sono un game changer» mentre per la Recovery Facility bisogna aspettare la versione finale per capire quale sarà la proporzione definitiva tra sussidi e prestiti, e con quale la velocità arriveranno gli interventi.
Per Alvise Lennkh, director di Scope Ratings (agenzia nata in Europa ma non ancora riconosciuta dalla Bce), i prestiti Sure e Mes sono una «rete di sicurezza nel breve termine» e il loro beneficio è attenuato dagli acquisti della Bce che hanno già ridotto molto i rendimenti dei titoli di Stato. Ora servono trasferimenti tra Stati. La Recovery Facility, per essere un game changer, dovrà avere una dimensione appropriata rispetto alla perdita potenziale di Pil nel 2020: se si parte dal presupposto che il Pil europeo calerà quest’anno tra il 7% e il 10%, il Recovery Fund dovrebbe avere una dimensione tra 800 e 1.200 miliardi.